Che una potenziale “notizia”, sia diventata una “non-notizia”, potrebbe rivelarsi buona cosa: per es. il processo per sequestro di persona ed altro, che oggi, a Catania, si svolgerà a carico dell’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini, davanti il Gup omonimo. Tutto tace. Guardate i giornali, leggete i social, ascoltate i talk.
Nemmeno l’ombra, come notizia maggiore, fino a tutta la serata di Venerdì: oggi, si possono leggere vari resoconti cronachistici: l’attesa in Tribunale; i selfies, con e senza mascherina; le manifestazioni pro e contro Salvini; la scontata riproposizione del non luogo a procedere da parte della Procura (perché replica le conclusioni già rassegnate in sede preliminare); il possibile rinvio a dicembre per ragioni istruttorie; la zona del Palazzo di Giustizia blindata, e via enumerando particolari di superficie: più congrui a descrivere un happening, che una questione politica e democratica del massimo rilievo.
Ci possono essere ragioni distinte, per un sottotono così corale.
I sostenitori di Salvini, forse stanno seguendo una qualche indicazione a tenere la bocca chiusa, per non indisporre il giudice.
Gli avversari, lo stesso, per sottrargli un comodo palcoscenico o, comunque, per non concorrere ad accrescerne le luci, ad ampliarne l’eco, le risonanze “vittimarie”, ove ci fosse un allestimento improvviso (la “piega vittimaria”, del resto, anche per indefesso contributo sottoculturale di Salvini, è diventato una specie di must, ormai, del Processo Penale in Italia: per lo più, sul registro lacrimoso, larvatamente vendicativo, o semplicemente recitativo).
Ma, dal momento che il clamore, la ridda, lo schiamazzo persino, e le anticipazioni, le indiscrezioni, il bordello, insomma, sono stati a lungo (e non possiamo certo escludere che presto tornino ad essere) la cifra costituiva della “Giustizia”, specie nei casi “di pubblico interesse” (come se l’interesse all’accertamento giurisdizionale dovesse essere quello stesso di un Rave Party), verrebbe da dire: meglio così.

D’altra parte, le preoccupazioni, vecchie e nuove, non mancano, sicché, si passi pure ad altro.
Senonché, un tale atteggiamento, sproporzionato nel palindromo silenzio, quanto quello opposto lo è stato nel rumore, sarebbe non solo un’illusione, ma una mezza presa in giro, se non peggio.
Su cosa cade, oggi, questo innaturale sopore? Sulla formale scomparsa del Processo, sulla sua conseguita vanità, strutturale inconcludenza: “impossibilità”. E si badi, la definitiva scarnificazione, persino la fisica evaporazione dei luoghi della “Giustizia”, sono state solo accelerate dal Covid: meglio, condotte al loro ultimo passo.
Lasciamo stare il “Processo Play-Station”, o “da remoto”, che secondo gli immancabili “dotti”, sarebbe una panacea. Certo, “la scomparsa del processo penale”, “deve” implicare, quale suo finale approdo, la sua trasformazione “fictional”: le sofferenze, le speranze, le paure, che costituiscono la rete insuperabile di connessioni fondamentali fra “le persone” del Processo, Pubblici Ministeri, Difensori e Giudice, finché alitano, finché presenziano, costituiscono comunque un ingombro, un ostacolo, per tentazioni e per conseguimenti liquidatori, frettolosi, inumani: che ci sono sempre stati, ma che inflitti attraverso uno schermo (parola “polisemica” quant’altre mai, in questo contesto), saranno, non solo agevolati, ma resi persino più irresponsabili di quanto già non siano: moralmente, psicologicamente, istituzionalmente. Ma lasciamo stare, dicevamo.
Un tale ovattamento, tradisce la mala fede, o almeno il tatticismo, delle parti in causa, d’accordo.
Ma la Magistratura? Santa pazienza: avete occupato ogni istante, ogni millimetro dell’ideale giornata degli italiani, e ora, scusate, togliamo il disturbo? Va benissimo: ma prima, il conto dello spettacolo, per favore.
Consegnate all’Italia e agli italiani, un nome “Palamara”, che ANM e CSM, e, perciò, “i magistrati”, hanno voluto rendere eccezionale; quando invece era riassuntivo: di metodi, di subculture burocratiche, di distanza morale, di interessi e miserie comuni. Tanto che il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, ha potuto mettere, nero su bianco, che la raccomandazione è la grammatica di Vostro Onore. Testualmente: “L’autopromozione non è un illecito”, nemmeno disciplinare.
Sono state liberate legioni di mentecatti, avide e cupide di “prendersi tutto”; appagate di assolvere il loro “disegno politico”, sputacchiando a destra e a manca ogni sorta di insulto e di linciaggio “giudiziariamente giustificato”: contro “la casta”, contro “i neri”,”contro” e basta.
Avete legittimato la barbarie, e ora, in un comune abbraccio morfinico fra i predetti barbari, i loro vecchi e nuovi ruffiani, e “La Giustizia”, tutti a casa?
Questo silenzio, perciò, Salvini o non Salvini, serve solo ad occultare una responsabilità storica. Che, come ogni responsabilità storica che si rispetti, ipoteca però anche il futuro.
Ormai, “Il Processo”, non “tira” più, come “Perimetro Del Discorso Pubblico”, tutto maiuscolo: perché è stato esaurito. Consumato. Distrutto. Ed allora, è bene che non se ne parli più.
L’omicidio. Il cadavere. L’occultamento. E chi ha bisogno del semplice Processo, e non del “Perimetro”? Crepi pure lui.