L’ultima volta che l’Italia si è trovata a dover scegliere tra il “sì” e il “no” in un referendum costituzionale è stato il 2016. Al governo c’era Renzi, supportato dalla ministra Boschi. Li ricordate, mentre mano nella mano in ogni studio televisivo pronunciavano il famoso “se vince il no lasciamo la politica”? La scena è storica. I due chiedevano agli italiani il voto per il “superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”. Quella volta andò male. Il no vinse con quasi il 60%, facendo cadere, in buona sostanza, il governo Renzi.

A quattro anni di distanza, ecco che dall’aula del Senato esce un nuovo quesito. Previsto per il 29 marzo e posticipato a causa del lock-down, il referendum che chiamerà i cittadini alle urne il 20 e il 21 settembre, recita:
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari’, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?”.
Con la riforma, i seggi della Camera, che oggi sono 630, diventano 400, mentre quelli del Senato, oggi 315, passano a 200. Inoltre, vengono ridotti i parlamentari eletti dagli italiani all’estero: passeranno da 12 a 8 e i senatori da 6 a 4. Viene infine stabilito un tetto massimo al numero dei senatori a vita nominati dai presidenti della Repubblica: mai più di 5.
Secondo i sondaggi, gli italiani sono ad oggi dalla parte del “sì”. Dai dati dell’istituto IPSOS, in un’indagine condotta a fine luglio, il “sì” veniva dato al 49% e il “no” all’8%, con la restante parte di intervistati che si dichiarava “indecisa” o “non interessata al voto”. Da ricordare come il referendum, essendo costituzionale, non abbia l’obbligo di raggiungere un quorum e come dunque non esista una soglia minima di voti per poter giudicare l’esito valido.

Le ragioni del “sì” e quelle del “no” sono chiaramente molteplici. Chi vota a favore parla, come prima cosa, del denaro che la riforma farà risparmiare al Paese. Con 345 parlamentari in meno, i costi della politica diminuiranno di 100 milioni di euro all’anno, mezzo miliardo per ogni legislatura. Non una grande somma, certo, ma in un momento di pesante crisi economica dovuta alla pandemia, ogni euro tenuto nelle casse dello Stato può fare la differenza. Esiste poi una questione legata all’efficienza. Con meno membri, i lavori dovrebbero essere più snelli, rapidi e funzionali.
Chi vota contro, invece, si appoggia dal lato economico alla convinzione che il risparmio sarà decisamente inferiore ai 100 milioni promessi dalla riforma. Lo studio condotto dall’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli, sostiene che “alcuni esponenti governativi del M5S hanno sostenuto che questo taglio garantirà risparmi per 500 milioni a legislatura. In realtà, il risparmio netto generato dall’approvazione di questa riforma sarà molto più basso (285 milioni a legislatura o 57 milioni annui) e pari soltanto allo 0,007% della spesa pubblica italiana.” Argomento ricorrente tra i sostenitori del no è anche quello relativo alla rappresentatività. Attualmente, l’Italia è il terzo Paese al mondo per numero di parlamentari, dietro soltanto a Cina, imparagonabile visto il quasi miliardo e mezzo di abitanti e anche il suo sistema politico non certo democratico ma a “partito unico”, e Regno Unito. Con l’approvazione della riforma passerebbe al settimo posto, finendo dietro a Francia, India, Germania, Giappone e Spagna.

Per quanto riguarda le forze politiche, è il Movimento 5 Stelle a guidare il carro dei sostenitori del “sì”. Per loro, anti-casta dal giorno della nascita, quella sul taglio dei parlamentari è una delle ultime crociate identitarie da poter ancora combattere dopo la giravolta compiuta sulla maggior parte dei temi che li hanno portati al governo. L’opposizione li appoggia, con Matteo Salvini e Giorgia Meloni che voteranno una riforma proposta dal governo rimarcando come il bene del paese, per loro, venga prima della faida ideologica. Ovviamente contrari i piccoli partiti che, in caso di approvazione, rischierebbero il posto nella prossima legislatura. Al “no” hanno aderito i Radicali, Sinistra italiana, Verdi, Rifondazione comunista, Partito socialista, Azione e +Europa. Italia Viva rimane invece nell’ambiguità. Per ora decidono di non schierarsi ed è probabile che, al momento di decidere, lasceranno ai propri parlamentari libertà di voto.
Nel frattempo, però, mentre in Italia si infiamma il dibattito tra le due fazioni, un problema sorge oltre confine. Quasi un milione e mezzo di italiani residenti all’estero rischiano di non poter prendere parte alla votazione. In Brasile, ad esempio, dove vivono oltre 500.000 connazionali, a causa degli impedimenti dovuti alla pandemia i sindacati dei servizi postali hanno indetto uno sciopero a tempo indeterminato, rendendo di fatto impossibile la trasmissione dei plichi elettorali. È per questo che un nutrito gruppo tra ex parlamentari e componenti del CGIE, presidenti di Comites e altri rappresentanti della collettività residenti tra Stati Uniti, Brasile, Francia, Spagna, Asia, Australia e Sudafrica, ha scritto e firmato una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e, per conoscenza, al Premier Conte, ai presidenti di Senato e Camera, Casellati e Fico, e ai ministri dell’Interno e degli Esteri, Lamorgese e Di Maio. La richiesta è una sola: “rassicurazioni immediate sulla partecipazione di tutti gli aventi diritto residenti all’estero al ‘referendum sulla riduzione dei parlamentari’ nel pieno rispetto delle scadenze procedurali. Nel caso in cui ciò non fosse possibile, Le chiediamo di intervenire per il rinvio del referendum”.

Il 20 settembre si avvicina, ma l’Italia è davvero pronta al quarto referendum costituzionale della sua storia?
La lettera integrale a Mattarella e firmata da parlamantari, ex eletti e membri del CGIE
“Signor Presidente della Repubblica Mattarella,
sottoponiamo al Suo alto magistero la situazione in cui versa la rete diplomatico-consolare italiana all’estero, in procinto di organizzare, dove sarà possibile, nella Circoscrizione Estero le elezioni referendarie indette per confermare la riduzione del numero dei parlamentari.
Notizie diramate nei giorni scorsi dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale riportano la chiusura di almeno 20 sedi consolari all’estero a causa del contagio da Covid-19, e il ricovero di 29 impiegati ricoverati. La diffusione della pandemia in vaste aree del mondo precluderà la partecipazione al referendum di almeno un milione e mezzo di elettrici ed elettori; in Brasile, dove vivono oltre 500.000 connazionali, per questi impedimenti i sindacati dei servizi postali hanno indetto uno sciopero a tempo indeterminato rendendo di fatto impossibile la trasmissione dei plichi elettorali.
La situazione all’interno della rete diplomatico-consolare italiana potrebbe precipitare come da alcune settimane denunciano tutti i sindacati dei lavoratori dello stesso Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale. Intanto, in anticipo alle scadenze procedurali previste dalla legge 27 dicembre 2001, n. 459 e del relativo regolamento di attuazione approvato con D.P.R. 2 aprile 2003, n.104, risulta che in alcune circoscrizioni elettorali dell’America latina, il plico elettorale contenente il materiale elettorale sia già arrivato il 21 agosto 2020 con largo anticipo rispetto alle scadenze ordinarie.
In concreto la partecipazione di 1,5 milioni di cittadini italiani è seriamente compromessa dall’acuirsi della pandemia in Paesi dove grande è la presenza italiana, dal Brasile alla Francia, dagli Stati Uniti alla Spagna, in Asia, Australia e in Sudafrica.
Il contesto in cui si stanno preparando le consultazioni all’estero è a dire poco preoccupante, mentre il governo italiano (che ha appena prorogato lo stato di emergenza fino ad ottobre) non si è ancora espresso come sarebbe stato opportuno e auspicabile. Tra le nostre collettività all’estero l’informazione sull’oggetto referendario è assente. Si tratta, come sappiamo, di un fondamentale diritto di cittadinanza che non può subire alcuna limitazione, anche se comprendiamo la serietà delle ragioni che sono alla base dei provvedimenti di chiusura dei consolati.
Signor Presidente Mattarella, la scadenza referendaria è ormai molto ravvicinata, mancano solo 15 giorni all’invio del materiale elettorale, e i tempi previsti di ulteriore sviluppo della pandemia appaiono tali da indurre i sottoscrittori di questa missiva a chiederLe di assumere provvedimenti straordinari per fare in modo che, oltre ai servizi essenziali a beneficio degli italiani residenti all’estero, siano garantiti anche i diritti politici, senza i quali verrebbero meno le garanzie costituzionali di cui Lei è somma espressione e custode.
Esimio Presidente Mattarella, Le chiediamo rassicurazioni immediate sulla partecipazione di tutti gli aventi diritto residenti all’estero al “referendum sulla riduzione dei parlamentari” nel pieno rispetto delle scadenze procedurali previste dalla legge 27 dicembre 2001, n. 459 e del relativo regolamento di attuazione approvato con D.P.R. 2 aprile 2003, n.104. Nel caso in cui ciò non fosse possibile Le chiediamo di intervenire per il rinvio del referendum.
Certi della Sua attenzione, signor Presidente Mattarella, La preghiamo di voler gradire l’espressione dei più fervidi sentimenti di riconoscenza e gratitudine da parte di noi sottoscritti e di coloro che rappresentiamo. Con i più vivi saluti”.
I sottoscrittori della lettera: Senatore Claudio Micheloni, Onorevole Gianni Farina, Onorevole Fabio Porta, Brasile, Michele Schiavone, Segr. Gen. CGIE, Svizzera, Silvana Mangione, V.seg. CGIE, Stati Uniti d’America, Pino Maggio, V.seg. CGIE, Germania, Mariano Gazzola, V.seg. CGIE, America Latina, Rodolfo Ricci, V.seg. CGIE, FIEI, Rita BLASIOLI, CGIE, Brasile, Alciati Silvia, Brasile, Alberto BECCHI, Argentina, Gerardo Pinto, Argentina,Marcelo Romaniello, Argentina, Gabriel PURICELLI, Argentina, Rucci Guglielmo, Argentina, Paglialunga Juan Carlos, Argentina, Carrara Marcelo, Argentina, Borgese Rodolfo, Argentina, Salvatore FINOCCHIARO, Argentina, Amelia Rossi, Argentina, Marisa BARBATO, Brasile, Franco PATRIGNANI, Brasile, Andrea LANZI, Presidente Comites Brasile, Filomena NARDUCCI, Uruguay, Renato PALERMO, CGIE Uruguay, Nello Collevecchio, Venezuela, Antonella PINTO, Venezuela, Mario Neri, Venezuela, Paolo Valente, Perù, Nello Gargiulo, Cile; Raffaele Napolitano, Presidente Comites Belgio, Roberto Parrillo, Belgio, Pietro Lunetto, Belgio, Rino Giuliani, Italia, Massimo Angrisano, Italia, Roberto Volpini, Italia, Andrea Mantione, Olanda, Antonella Dolci, Svezia, Santo Vena, Svizzera, Salvino Testa, Svizzera, Antonio De Bitonti, Svizzera, Nella Sempio, Svizzera, Egidio Stigliano, Principato del Liechtenstein, Valeria Zimotti, Svizzera, Domenico Micieli, Svizzera, Edith Pichler, Germania, Paolo Brullo, Germania, Maurella Carbone, Germania, Federico Quadrelli, Germania, Giuseppe Scigliano, Germania, Luigi Cavallo, Germania, Bruno Di Biase, Australia, Frank Barbaro, Australia, Franco Papandrea, Australia, Sandro Frattini, Tunisia, Fabio Ghia, Tunisia, Rocco Di Trolio, Canada, Franco Papandrea, Australia.