Da qualche tempo, una parola circola con insistenza tra le intricate fila del mondo social e della comunicazione. “QAnon”.
Di cosa si tratta? Di una serie di teorie cospirazioniste nate negli Stati Uniti e basate principalmente sulla convinzione che un deep-state non ben identificato stia pianificando un modo per eliminare Donald Trump dalla scena politica. Il deep-state, per capirci, è ciò che in Italia viene chiamato “poteri forti”. Ognuno di noi ne avrà senza dubbio sentito parlare. QAnon, però, si muove negli USA, e quindi parla agli americani degli americani. Un tema ricorrente, ad esempio, è quello che un network internazionale di satanisti formato dagli alti funzionari dell’establishment finanziario e dai leader del Partito Democratico, voglia impedire a Trump di portare alla luce il loro enorme piano pensato per sovvertire l’attuale governo.

E pensare che quando è nato, QAnon, sembrava soltanto un grande scherzo, una storia da raccontare per far ridere qualche bambino. Invece, nel giro di qualche anno, le persone hanno iniziato a incuriosirsi e ad oggi, come riferisce NBC News, un’indagine interna di Facebook ha trovato migliaia di gruppi e pagine dedicate alle teorie del complotto, con milioni di membri e follower. Secondo quanto riferito, i dieci gruppi più grandi identificati da Facebook contengono più di un milione di membri e il totale di tutti i gruppi QAnon è di circa tre milioni. Ma non si tratta soltanto di social network. Marjorie Taylor Greene, candidata al Congresso nel distretto della Georgia, si è congratulata con Trump in un video Youtube, sostenendo come “esista un’opportunità unica nella vita di portare fuori questa setta globale di pedofili adoratori di Satana, e abbiamo il Presidente giusto per farlo”.
QAnon, per usare un termine estremamente popolare negli ultimi mesi, sembra quasi un virus. Si diffonde per la maggiore via social, appoggiandosi, su tutti, a Facebook e Twitter. Non disprezza nemmeno le vie di informazione tradizionali, giornali e telegiornali, sfruttando la popolarità che i professionisti dell’informazione gli concedono. Non importa se venga sbeffeggiato, reso ridicolo o raccontato con toni sarcastici. Il messaggio, in qualche modo, passa comunque. “There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about”, scriveva Oscar Wilde nel suo Ritratto di Dorian Grey. In Italia si traduce “nel bene e nel male, purchè se ne parli” e la frase rende bene l’idea sulla quale si fonda la strategia comunicativa di coloro che si fanno portavoce dal complotto QAnon.
Il Partito Repubblicano, che ha in sé alcuni sostenitori della teoria, si comporta in maniera ambigua. Da una parte prende le distanze dal complottismo, ma dall’altra alcuni membri del partito stesso hanno foraggiato le campagne elettorali dei candidati che invece lo sorreggono a gran voce.

Agli occhi degli esperti, come sostiene il giornalista Sam Thielman, somiglia addirittura ad “un ceppo ossessionato dalle notizie della teologia cristiana, che prende passaggi metaforici dalla Bibbia e cerca di decodificarli in singole profezie riferite direttamente agli eventi attuali”. Insomma, in poche parole si tratta di una teoria tramutatasi ormai in qualcosa di simile alla religione. Una religione che condivide molte caratteristiche anche con i “giochi di realtà alternativa”, dove non è più una console, ma addirittura il mondo intero, a funzionare come piattaforma per la giusta narrazione.
Leggerne sembra incredibile, scriverne surreale. Invece, milioni di persone si lasciano influenzare dal verbo del QAnon e ne rimangono per anni convinti promotori. Sarebbe lecito sperare che la politica se ne discostasse, ma parte di questa non fa altro che incitarlo. E così, un circolo vizioso invade le case degli americani, vittime non troppo incolpevoli di un’ideologia che ogni giorno si alimenta di ignoranza.
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