Poco prima di morire, Massimo Bordin, nel corso della sua ultima battaglia, quella contro la chiusura di Radio Radicale, impresse un’epigrafe di rara fattura: “gerarca minore”, perche ne venisse eternato il Senatore Vito Crimi: nel frattempo divenuto “Capo Politico” del M5S, in successione all’On. Luigi Di Maio.
E’ un’epigrafe di ampia gittata, perché rimanda ad una nostra “essenza” politica, alla nostra storia. E simili essenze non si possono nascondere.
Consideriamo la questione dei “vitalizi”. Leggiamo, a destra e a manca, che la loro soppressione sarebbe stata, a sua volta, soppressa da una decisione del Senato: segnatamente, di un suo organo interno, la Commissione Contenzioso. E che questa decisione (rieccoli), sarebbe “La Casta [che] si tiene il malloppo” (Crimi) e un “atto di una gravità assoluta” (Di Maio). Con appendici/rutto di tirapiedi vari: “Che schifo! Noi non molliamo” (Stefano Buffagni), “Mi resta lo schifo per questi Dracula” (Barbara Lezzi), Viceministro l’uno e, rispettivamente, Senatrice ed ex Ministro della Repubblica, l’altra.
Sono squadristi in carriera perché coniugano la menzogna metodica, la violenza plebea, alla distruzione costituzionale quale propria ragione politica. Coadiuvati dal Partito Democratico, con la limitata eccezione del Sen. Zanda (“ho sempre considerato le decisioni prese tempo addietro, sui vitalizi e le pensioni dei parlamentati come decisioni pessime e quindi tutto quel che viene per correggerle per me è positivo”), ma entro un monocorde e miserabile appiattimento generale.
Zingaretti: “Una scelta insostenibile e sbagliata. La cassa integrazione è in ritardo e si rimettono i vitalizi. Non è la nostra Italia“. Ad ogni buon conto, un comunicato del Nazareno rivendica: “Il Partito democratico è totalmente contrario alla decisione assunta dalla commissione contenziosa del Senato sui vitalizi” .
Ma non basta. Perché è tutta una gara dell’intero “Arco Incostituzionale”, a cui un irresponsabile immoralismo moltitudinario travestito da moralismo, ha voluto affidare le sciagurate sorti della Repubblica.
Salvini: “Siamo orgogliosi di aver votato contro i privilegi anche in commissione, unici ad averlo fatto”. Meloni: “Fratelli d’Italia è contraria ai vitalizi mentre il PD è favorevolissimo“. Serracchiani: “E’ politicamente inaccettabile il blitz della commissione presieduta dal forzista Caliendo”. Inarrivabile la Senatrice Casellati, parlando in terza persona: “La presidente del Senato non c’entra nulla con la decisione della giunta”. Una sudaticcia e inguardabile corsa, uno sgomitare di zelante demagogismo, che si fa fatica solo a sogguardare senza correre al lavabo, se non alla tazza.
Ma non bisogna farsi ingannare. Chi grida al Fascismo per le prove di paramascolina guardianìa (confinaria e domiciliare) esibite da Salvini, e poi vorrebbe traccheggiare su questi assatanati di Antidemocrazia; chi acuisce di là e attenua di qua; chi fa l’ermeneuta di una “romanizzazione dei barbari”; chi distingue fra Conte I e Conte II, peraltro a Leggi “caratteristiche” immutate, o è un imbecille o è un farabutto. E, se farabutto, il più insinuante, il più insidioso fra i farabutti.
Nè è un caso che, in seno alla predetta Commissione Contenzioso, i due “eroi” delle Squadre siano stati i Senatori Simone Pillon, della Lega, e Alessandra Riccardi, M5S, ora “passata” alla Lega pure lei. Come non è, questa, una coincidenza “laterale”, da accantonare fra le fortuite convergenze fra sedicenti “opposti”, che nulla lasciano dietro di sè: essendo, invece, l’espressione più cruda di un comune nucleo antipolitico e antidemocratico, che riassume l’Alfa e l’Omega della loro nefasta azione politica.
Ma di che stiamo parlando? Vediamo cosa c’è, davvero, sotto questo mare di palindroma miseria, di indegnità istituzionale vile e codarda.
In primo luogo, i vitalizi di cui si discute non sono stati reintrodotti: nel Luglio 2018, l’Ufficio di Presidenza del Senato ne impose un ricalcolo retroattivo, per cui 1405 Parlamentari avrebbero subito una decurtazione di quanto spettante; per 840 di costoro, fra il 30 e il 60% (con punte fino al 86%); di questi, oggi poco più di 200 sono ultraottuagenari. Inoltre, per avere un’idea dell’ordine di grandezza economico implicato, era previsto un minimo di 980 Euro e di 1450 (se la diminuzione fosse risultata superiore al 50%): cifre che riportano il discorso ad una dimensione tutt’altro che incomprensibile. E se fu previsto, è perché, in concreto, queste ipotesi si sarebbero variamente date.
In secondo luogo, si volle sottrarre questa sorta di requisizione mobiliare” alla possibilità di ricorrere al giudice, civile o amministrativo (si sa che questi delinquenti politici diffidano del giudizio, quanto amano stare proni di fronte al PM/Giustiziere). Pertanto, alludere, come (uno per tutti/tutti per uno) ha fatto ancora il Sen. Crimi, a chissà quale sotterfugio (“lo hanno fatto di notte, di nascosto”), si può solo essendo quel “gerarca minore”, mai sazio di compensare incompensabili frustrazioni.
In terzo luogo, se la Corte Costituzionale ha ammesso la possibilità di una disciplina previdenziale retroattiva, lo ha fatto alla precisa condizione che si tratti di regime temporaneo ed eccezionale; e, anzi, eccezionale perché temporaneo e temporaneo perché eccezionale (come accade nel 2006, per i cd “contributi di solidarietà”); la disciplina retroattiva, invece, oltre che tale, era pure destinata ad essere indebitamente “definitiva e ordinaria”. Quindi, il contrario di “temporanea ed eccezionale”.
In quarto luogo, la deroga retroattiva si può giustificare solo se non tocca il principio di uguaglianza: l’assegno vitalizio, che ha un meccanismo di determinazione a metà fra la pensione e una polizza/vita assicurativa, non può condurre ad un trattamento senz’altro superiore, rispetto a quello di ogni altro pubblico funzionario o impiegato: ma nemmeno peggiore. Semplificando (ma non troppo): se il “ricalcolo” doveva adeguare il regime previdenziale dei parlamentari al generale sistema contributivo, da retributivo che era, bisogna anche considerare che la Legge/Dini, nel 1996, lasciò molte posizioni di quiescenza maturate dopo soli 19 anni (14, per le donne) di contributi: e nessuno ha mai proposto di “ricalcolare”, ora per allora, queste posizioni.
Sicché, tirando le somme, quello che si è “tagliato” con un atto regolamentare non era un privilegio, ma un diritto come quello degli altri. E quanti obiettano, sdottoreggiando, che il Parlamento gode di “autodichìa” (il provvedere normativamente a sè stesso), dovrebbero almeno considerare che l’autonomia regolamentare vale se non si compromettono diritti fondamentali; altrimenti, se proprio si vuole porre la questione, si dovrebbe votare almeno una Legge. Ma esattamente questo non si vuole: proprio per sfuggire alle ovvie obiezioni sul principio di uguaglianza, e al rischio di un Tribunale che la Legge conosca, e la applichi: alla faccia di tutti i gerarchi, maggiori e minori, della cui mefitica presenza dobbiamo soffrire. Dunque, nessun vitalizio “reintrodotto”: solo un sopruso scongiurato, almeno per il momento.
Il privilegio non c’entra. C’entra un programma politico: di mortificare il Parlamento, le Libertà, la Democrazia; nel senso esatto di “fare morire”. Il “Taglio dei Parlamentari”, del pari votato con entusiastica coralità squadristica da questa classe di servette di Vostro Onore, il primo e reale Distruttore (mediante Lunga e trionfante Marcia Trentennale) della centralità del Parlamento, è riconducibile al medesimo, infame, disegno.
“Ogni mattina, il signor rappresentante del popolo si reca alla sede del Parlamento…Ivi, pieno di zelo per il servizio della nazione…per questi continui debilitanti sforzi, riceve in compenso un ben guadagnato indennizzo. Dopo quattro anni, o nelle settimane critiche in cui si fa sempre più vicino lo scioglimento della Camera, una spinta irresistibile invade questi signori. Come la larva non può far altro che trasformarsi in maggiolino, così questi bruchi parlamentari lasciano la grande serra comune e, alati, svolazzano fuori, verso il caro popolo”. (Hadolf Hitler, Mein Kampf, 1930).
“C’è un errore di fondo (che) risiederebbe nelle…tesi ricorrenti…secondo la democrazia consiste nella dittatura della maggioranza aritmetica. (Per)…impedire il suicidio della democrazia…bisogna ricorrere ad Autorità che …sospendono o relativizzano il dogma del consenso…Bisogna dunque affidare a un’istanza politica superiore il compito di ‘sospendere’ autoritativamente la democrazia elettiva aritmetica, al fine di salvare la democrazia sostanziale…[ricorrendo ad] un commissariamento europeo nei confronti degli stati membri…” (Antonio Ingroia- Roberto Scarpinato, Micromega 1/2003).
“Il Parlamento non sarà più necessario… grazie alla Rete e alle tecnologie, esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare” (Davide Casaleggio, Luglio 2018).
Gerarchi Minori. E Gerarchi Maggiori. Ecco di che stiamo parlando.
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