
La sinistra progressista statunitense ha scelto il proprio candidato per le Presidenziali del 2020: Bernie Sanders. Il settantottenne senatore del Vermont è balzato in testa ai sondaggi di Iowa e New Hampshire – due dei quattro stati con votazione anticipata – dopo aver ottenuto una serie di endorsement da parte di organizzazioni progressiste come il Sunrise Movement, il Center for Popular Democracy, e il People’s Action. Queste organizzazioni affrontano i temi che stanno maggiormente a cuore all’elettorato progressista Americano, come la lotta al cambiamento climatico e la giustizia sociale. Insieme raccolgono oltre 1.5 milioni di membri e molti sindacati, un buon bacino elettorale per Bernie Sanders.
Inoltre, Sanders ha anche incassato gli endorsement pesantissimi di tre dei quattro membri della cosiddetta “squad”. La “squad” è un gruppo di quattro donne elette con il Partito Democratico nell’elezioni di metà mandato del Novembre 2018, che hanno rapidamente guadagnato attenzione mediatica grazie al loro background multietnico – Alexandria Ocasio Corte è ispanica, Rashida Tlaib è di origini palestinesi, Ilhan Omar è di origini somale, e Ayanna Pressley è di colore – ma anche soprattutto attraverso le aspre critiche che hanno riservato all’establishment del partito Democratico fin dal primo giorno al Congresso. Insomma, un pò quello che Sanders fa dal lontano 1960, con la differenza che nessun membro della Squad è bianca, e perciò possono portare a Sanders il voto di alcune minoranze che con l’addio dei vari Booker, Harris, e Castro si sono ritrovate abbandonate.
Sanders può anche contare su una raccolta fondi che stacca di gran lunga gli altri candidati Democratici. Nel quarto trimestre del 2019 ha raccolto oltre $34 milioni da 1.8 milioni di contribuenti, con una donazione media di $18. Seguono il sindaco di South Bend Pete Buttigieg con $24.7 milioni raccolti e il Vice Presidente Joe Biden con $22.7 milioni. La senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, che in teoria dovrebbe competere con Sanders per il voto dei progressisti, si ferma poco sopra i $21 milioni nel quarto trimestre, provenienti da meno contribuenti rispetto a Sanders e una donazione media decisamente più alta: $23. Sanders è l’unico dei Democratici che tiene testa a Trump, che nel quarto trimestre ha raccolto la cifra monstre di $46 milioni, più del doppio di Biden e della Warren.
Ma Sanders surclassa gli altri candidati Democratici anche a livello di outreach e interazioni. Sui social media, ad esempio, nonostante sia il candidato più anziano, Bernie guida la classifica dei follower su Instagram con oltre 4 milioni di seguaci e 5 milioni di interazioni al mese: il quintuplo di quelle che riceve Warren. Su Facebook si ripete la stessa storia, con Sanders che ha oltre 5 milioni di seguaci e 2.8 milioni di interazioni: il quadruplo di quelle che riceve Warren. Ma outreach e interazioni non significano solo social media. Il senatore del Vermont va anche forte sui podcast: i contenuti audio che permettono di essere ascoltati in qualsiasi momento attraverso l’utilizzo di uno smartphone, e che sempre di più stanno diventando un punto di riferimento tra i mezzi di informazione. Ebbene, Bernie ha ricevuto endorsement pesantissimi da popolarissimi podcast progressisti come The Young Turks di Cenk Uygur e Ana Kasparian, e Sorry not Sorry di Alyssa Milano. Questi podcast vengono utilizzati anche da altri candidati per rilasciare interviste e cercare di diffondere il proprio messaggio a più persone possibili. Ma avere un podcast che, giorno dopo giorno, consiglia di votarti, è ben più efficace che rilasciare un intervista una volta ogni tanto.

Un’altro indizio che suggerisce come Sanders si sia ormai conquistato il voto dell’elettorato progressista a discapito della Warren sono i tweet di Trump. Ormai diventati un metodo infallibile per capire se un candidato è realmente in crescita. Generalmente, se Trump incomincia a twittare e a dedicarti soprannomi e insulti di ogni genere, stai andando abbastanza bene. Trump lo fece con Elizabeth Warren nel Luglio del 2019 – quando la senatrice del Massauchussets era in forte ascesa – chiamandola Pocahontas per via delle sue affermazioni fasulle sulle sue origini di nativa americana. Da quel momento, i tweet di Donald contro la Warren si sono progressivamente fermati. D’altronde, la Warren è ormai in caduta libera. È scesa al 14.8%, giù di 12 punti percentuali rispetto all’apice toccato lo scorso Ottobre. D’altro canto, Sanders è in forte ascesa e infatti, proprio l’altro giorno, riceve un bel tweet da Donald Trump che lo chiama “pazzo Bernie”, in cui si chiede ironicamente che cosa significhi l’ascesa di Sanders nel partito Democratico. Sanders risponde a tono sempre su Twitter, dicendo che significa che Trump perderà l’elezione a Novembre.
Ma ora che Sanders si è conquistato il trono dei progressisti, surclassando la Warren a livello economico, di endorsement, di outreach, e persino di attacchi da Donald, riuscirà realmente a sconfiggere l’ala moderata rappresentata da Biden, Buttigieg, Klobuchar, e Bloomberg? Questo dipenderà da una serie di fattori imprevedibili come il dibattito del 15 Gennaio in Iowa, l’elettorato della Warren, e persino la sequenza temporale dell’impeachment. Proviamo ad analizzare, uno ad uno, questi tre fattori fondamentali, per tentare di capire se Sanders ha realmente qualche possibilità contro i moderati del partito.
Fino a poche settimane fa avremmo potuto pensare di assistere ad un dibattito incentrato sull’impeachment di Donald Trump, e invece le vicende delle ultime settimane hanno riportato al centro dell’attenzione la politica estera. Il 15 Gennaio ci possiamo dunque aspettare un ampio spezzone dedicato alla questione Iraniana, dove ciascun candidato potrà dire la sua sulle azioni scellerate di Trump, che hanno portato all’uccisione del Generale delle forze Quds, Qasem Soleimani, e l’intero Medio Oriente sull’orlo della guerra. Qua Sanders avrà una ghiotta occasione per brillare, dato che è sempre stato un politico anti-interventista e fu già critico durante il corso degli scorsi dibattiti contro Biden per aver supportato l’invasione dell’Iraq nel 2003. Se Sanders riuscirà a far valere le proprie ragioni e ad attaccare la politica estera di Biden con efficacia e convinzione, potrebbe guadagnare dei punti essenziali nella lotta contro i moderati del partito, e trasformare Biden in un pericoloso guerrafondaio che in realtà non è. Inoltre, Sanders potrà contare sull’elettorato dell’Iowa, dato che il dibattito si svolgerà in Des Moines, che è fortemente non interventista. Il pubblico potrà dare una mano, Sanders gioca in casa.

La seconda incognita è rappresentata dall’elettorato della Warren. Abbiamo constatato come Sanders si sia guadagnato la leadership dei progressisti sulla pelle della Warren, ma che ne sarà dell’elettorato di quest’ultima? Nella peggiore delle ipotesi, la Warren regge ancora un bacino elettorale che vale almeno il 10% a livello nazionale. Numeri che naturalmente servono a Sanders per vincere la nomination contro i moderati del partito. Riuscirà Bernie a convincere l’elettorato della Warren a farsi votare? Ideologicamente non ci sarebbero dubbi: Bernie propone pressoché le stesse cose della Warren su tanti temi chiave come la sanità pubblica, l’immigrazione, e il modello di sviluppo economico. Eppure, se andiamo a vedere un sondaggio condotto da Morning Consult a inizio Dicembre 2019, troviamo che la seconda scelta per l’elettorato della Warren è abbastanza frastagliata. Al primo posto troviamo Sanders – e ci mancherebbe altro – con 30% dei supporter “Warriani” pronti a sostenerlo. Ma occhio a un 19% che stranamente sceglie il moderato Biden, e un altro 15% che si butta sul giovane sindaco di South Bend Pete Buttigieg. Non tutti dunque sembrano incantanti dal fascino progressista di Bernie, e preferirebbero piuttosto un moderato. Possiamo però cogliere un’altro dato che è assai più rassicurante per Bernie: fino al 26% dell’elettorato di Biden voterebbe Sanders come seconda scelta. I moderati di Biden preferirebbero dunque un radicale come Sanders invece che un’altro moderato alla Buttigieg – solo il 12% degli elettori di Biden lo selezionano come seconda scelta – o alla Bloomberg – il 9% lo sceglierebbe. Sanders dovrebbe dunque sperare in un tracollo di Biden, magari proprio causato dai suoi stessi attacchi nel dibattito del 15 Gennaio, per conquistarsi quel pezzo di elettorato moderato che ora gli manca. Ironia della sorte.
La terza e ultima incognita è rappresentata dalla sequenza temporale dell’impeachment. Nancy Pelosi ha annunciato che questa settimana, Martedì o Mercoledì, consegnerà i tanto attesi articoli d’impeachment al Senato, cosi da dare il via al processo per la rimozione di Donald Trump. Durante il processo, tutti i senatori sono richiamati a Washington fino al termine della procedura e del voto sulla rimozione. Sia Bernie Sanders che Elizabeth Warren, essendo senatori, sarebbero richiamati a Washington proprio prima del voto in Iowa, nel bel mezzo della loro campagna elettorale. Metti caso che tutta la procedura al Senato duri anche solo un paio di settimane, potrebbe causare un danno inimmaginabile ai due senatori in corsa per la Presidenza, i quali sanno perfettamente che ogni comizio e ogni stretta di mano o selfie scattato, potrebbe essere un voto in più. Sanders in particolare lo sa bene, dato che lo scorso Ottobre si dovette assentare per un paio di giorni dalla campagna elettorale per via di un infarto, ed ebbe un tracollo di circa tre punti percentuali e mezzo. Alcune malelingue sospettano che Nancy Pelosi – una moderata convinta – abbia aspettato apposta a mandare gli articoli d’impeachment proprio a ridosso del voto in Iowa cosi da poter far male alla campagna elettorale di un progressista come Sanders. Queste argomentazioni complottistiche lasciano il tempo che trovano, ma potrebbero riemergere con forza nel caso Bernie ed Elizabeth siano assentati per troppo tempo dalle loro campagne elettorali, rischiando poi di spaccare il partito Democratico in due.
Tutti questi fattori andranno presi in considerazione quando si faranno le stime su chi potrebbe vincere la nomination. La certezza al momento, è che il campo progressista pare aver trovato il proprio guerriero da sostenere contro le forze dell’establishment moderato, con buona pace di Elizabeth Warren.