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October 16, 2019
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Resoconto del dibattito più affollato di sempre: Biden trema, Buttigieg vola

Biden, Sanders e Warren si sono ritrovati per la prima volta tutti e tre sullo stesso palco e si sono battuti per convincere l'elettorato democratico a votarli

Andrea ArlettibyAndrea Arletti
https://www.facebook.com/cnn/videos/433498073968080/
Time: 6 mins read

Il quarto dibattito è stato lo specchio degli attuali cambi di potere all’interno delle primarie del Partito Democratico. Gli attacchi che un mese fa si riversavano su Joe Biden, ora si riversano su Elizabeth Warren, vista ormai da tutti come la frontrunner per la nomination. A parte l’argomento dell’Ucrainagate, Joe Biden è infatti rimasto in disparte per la maggior parte della serata, poco chiamato in causa sia dai moderatori che dagli altri candidati. Le posizioni moderate ricoperte da Biden sono state adottate dal sindaco di South Bend Pete Buttigieg, e dalla deputata del Minnesota Amy Klobuchar, la quale ha avuto il suo miglior dibattito finora. Questi due candidati hanno preso il ruolo di Biden, attaccando duramente le posizioni radicali della Warren e di Sanders, accusandoli di promettere “sogni irrealizzabili” con “costi stratosferici”. Una delle proposte più aspramente criticate è stato il cosiddetto “Medicare for All”, la riforma che vuole trasformare l’attuale sistema di sanità privata in un sistema di sanità completamente pubblica. Mentre Sanders ha ammesso che per completare un’opera del genere si dovrebbero necessariamente incrementare le tasse del ceto medio, la Warren si è ostinata a promettere che le tasse saliranno solo per i super ricchi, evitando di specificare nel dettaglio come pensa di finanziare una riforma del genere. Pete Buttigieg ha offerto un’alternativa credibile a quella della Warren, e con un astuto gioco di parole, l’ha chiamata il “Medicare for all who want it”, cioè il mantenimento del sistema privato attuale con l’aggiunta di un’opzione pubblica per chi volesse cambiare. Una proposta che dimostra come Buttigieg stia provando a riposizionarsi per diventare la figura chiave del “centrismo” democratico. Mentre i moderati e i radicali si scannavano sulla sanità, Kamala Harris – la grande sorpresa del primo dibattito di quest’anno, poi sparita nel nulla – ha deciso di concentrarsi sul diritto di aborto delle donne, ricevendo applausi scroscianti da tutto il pubblico in sala. In effetti, la Harris ha toccato un argomento che non era ancora stato menzionato nei tre dibattiti precedenti, ma che rimane comunque di fondamentale importanza per l’elettorato democratico femminile.

Si è poi parlato di lavoro e di tasse. C’è da sottolineare l’ottima performance del businessman senza cravatta Andrew Yang, il quale continua a cavalcare l’onda del reddito di cittadinanza per combattere l’automazione in atto nel paese. Yang si scontra contro la Warren, che invece è convinta che la perdita del lavoro sia dovuta alle grandi corporazioni multinazionali che non rispettano il lavoro degli Americani. La proposta della Warren è quella di un “accountable capitalism”, cioè far in modo che il 40% di qualsiasi consiglio di amministrazione sia eletto dai lavoratori dell’azienda, cosi che quest’ultimi possano dire la loro su argomenti che li riguardano, come la ricollocazione del lavoro. Questa volta però, il pubblico di Ohio da ragione all’imprenditore Yang, il quale spiega come 40’000 posti di lavoro siano già stati automatizzati nella sola Iowa.

Ecco poi subentrare il povero Biden che commette una gaffe destinata a girare per settimane sui social media: prima – in completo stile Repubblicano – dichiara di voler eliminare l’imposta sulle plusvalenze, ma pochi secondi dopo si corregge dicendo di volerla aumentare. E visto che Biden apre le danze sull’argomento delle tasse – tanto amate dal partito Democratico – ecco che parte la ramanzina della Warren su quello che è oramai diventato il suo cavallo di battaglia, la “wealth tax” – la tassa sui ricchi. La Warren accusa chi non sostiene la wealth tax di stare dalla parte dei miliardari, ma Yang le risponde a tono ricordandogli che la tassa sui ricchi è già stata adottata in tanti paesi europei e ha fallito. La soluzione migliore, secondo Yang, è far pagare le grandi aziende tecnologiche per i dati che ogni giorno consegniamo gratuitamente senza neanche accorgercene. Come dice giustamente Yang, i dati sono il petrolio del ventunesimo secolo. Nel frastuono generale del dibattito sulle tasse irrompe Booker, che ricorda a tutti dell’importanza di comunicare più pacatamente, visto che hanno tutti delle ottime proposte e non serve attaccarsi a vicenda, dato che il vero problema non sta sul palco ma dentro la Casa Bianca. Booker ha deciso di agire da pacificatore lungo tutto il corso del dibattito, non attaccando mai nessuno, ed entrando veramente poco nel dettaglio delle sue proposte. Mentre in superficie questa può sembrare una strategia errata, dal momento che tutti fanno a gara per assicurasi l’attacco più memorabile, nel lungo periodo potrebbe avvantaggiare Booker, il quale sta evitando di farsi nemici e strizza l’occhiolino un pò a tutti i candidati. Sembra quasi che il Senatore del New Jersey abbia ormai rinunciato alla candidatura da Presidente e stia ormai puntando a quella di Vice Presidente, tenendosi buoni un pò tutti i candidati papabili per la nomination. Una strategia che magari dovrebbero incominciare ad adottare tanti altri candidati finiti nel bassofondo delle preferenze. 

Bernie Sanders, Elizabeth Warren e Joe Biden (Illustrazione di Antonella Martino)

Rispetto ai dibattiti precedenti c’è poi stato un lungo segmento dedicato alla politica estera, principalmente dovuto ai fatti che stanno avvenendo in Siria dopo il ritiro delle truppe Statunitensi voluto da Donald Trump. I candidati hanno avuto modo di criticare la politica estera del Presidente, accusandolo di aver tradito il popolo Curdo, alleato Americano nella lotta al terrorismo Islamico. Ma i candidati hanno anche preso quest’opportunità per fare chiarezza sulle loro posizioni in politica estera, spesso poco chiare nel corso delle campagne elettorali e anche poco considerate dall’elettorato Americano. Si è notata una differenza sostanziale tra l’approccio di Biden e Buttigieg – più in linea con la continuazione dell’ideologia che vede ancora l’America come il “poliziotto” del mondo – e quello di Elizabeth Warren, che invece dichiara di voler riportare a casa i militari proprio come sta facendo Trump, ma lo vuole fare in una maniera diversa, senza tuttavia specificare come. La candidata che una volta era considerata come quella che aveva una risposta a tutto, incomincia a far intravedere alcune lacune importanti nella sua agenda, non tanto per le idee che propone, ma più che altro per come concretamente pensa di realizzarle queste idee. 

Con il dibattito che incomincia a trascinarsi oltre le due ore e mezza, c’è anche spazio per parlare dell’emergenza delle armi. Beto O’Rourke, che nello scorso dibattito aveva orgogliosamente annunciato che se sarebbe diventato Presidente avrebbe sequestrato tutte le armi semi-automatiche degli Americani, questa volta si é inceppato proprio sul più bello, non riuscendo effettivamente a spiegare come intende farlo. Buttigieg, che oltre ad essere giovane e preparato è anche un buon opportunista, incalza subito Beto su questo argomento, sapendo perfettamente che non ha una risposta. Prima dichiara che non andrà a sequestrare le armi “porta a porta”, poi spiega che saranno gli Americani stessi, di loro buona volontà, a consegnarle, ma infine, sul suo profilo Twitter, dice che sarà il governo a ricomprare le armi dai cittadini Americani. Insomma, tanta confusione, poca chiarezza, e chance di diventare Presidente definitivamente azzerate: questo Beto non è neppure l’ombra di quello visto battersi solo un anno fa contro Ted Cruz in Texas. Veramente un peccato. 

Nell’ultima mezz’oretta di dibattito c’è spazio per un’altro paio di argomenti, come ad esempio la salute dei candidati – con Sanders che invita tutti a un suo rally per dimostrare quanto sia in forma – i diritti delle donne, e la crisi degli oppioidi. C’è da sottolineare un’ultimo attacco frontale da parte di Sanders nei confronti del povero Joe Biden. Dopo l’ennesima battuta di Biden sul fatto che lui è l’unico candidato ad aver fatto “qualcosa di importante” tra tutti quelli presenti sul palco, Sanders si scoccia e sbotta dicendo che Biden ha causato la guerra in Iraq e ha anche costruito dei cattivi accordi commerciali come il Nafta che stanno facendo soffrire milioni di Americani. Cala il silenzio in aula, e anche lo stesso Biden si zittisce. La rappresentazione perfetta di quello che sta accadendo all’ex Vice Presidente, il quale rimane ancora il favorito, ma non sembra più cosi tanto sicuro di vincere la nomination. Con Buttigieg e Klobuchar che provano a ricoprire il suo stesso spazio politico e con nuove notizie sull’impeachment che potrebbero metterlo in grossi guai, l’ex Vice Presidente si deve pure guardare attentamente alle spalle per via di un possibile ingresso in corsa di un nuovo candidato “alla Bloomberg”. Sicuramente non una corsa in discesa. 

Se dobbiamo decretare un vincitore di questo quarto dibattito è senza ombra di dubbio Pete Buttigieg, un candidato giovane, scaltro, e preparato. Mentre tutti gli altri facevano a gara per dimostrarsi “più radicali” o “più anti-trumpiani”, lui si è dimostrato ragionevole e razionale. Da qui a vincere la nomination c’è ne passa di acqua sotto il ponte, ma il fatto che Pete abbia capito di dover riposizionarsi più al centro per sfruttare il momento giù di Biden, è decisamente la strategia giusta. La sorpresa della serata è Amy Klobuchar, che proprio come Buttigieg ha provato a sfruttare il momento negativo di Biden per ritagliarsi uno spazio tra i moderati. Decisamente male Biden, che oltre a incepparsi ogni volta che prova a completare una frase complessa, sembra proprio non esserci con la testa incanalando una gaffe dietro l’altra. La Warren si difende e registra una prova sufficiente, mentre Sanders dimostra a tutti che nonostante l’età e la salute precaria lotterà fino in fondo per tenersi il suo elettorato di nicchia. Rimangono infine Andrew Yang e Cory Booker; il primo dimostra di saper tener testa ai frontrunner con decenni di esperienza politica quando si discute di argomenti pertinenti alla sua area di interesse come il lavoro e l’automatizzazione, mentre il secondo sta invece costruendo una buona campagna elettorale per diventare il Vice Presidente di qualsiasi candidato finirà per vincere la nomination. Per tutti gli altri sembra essere arrivata la notte fonda, e sarà veramente difficile rivedere l’alba. 

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Andrea Arletti

Andrea Arletti

Andrea si è laureato alla New York University, sede di Abu Dhabi, con un B.A. in Scienze Politiche e Studi Legali. Ha un forte interesse per tutto ciò che concerne la politica statunitense e la comunicazione politica del ventunesimo secolo. Andrea is an Italian student pursuing a Bachelor degree in Political Science and Legal Studies at New York University Abu Dhabi. His interests revolve around U.S. politics and political communication in the 21st century.

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