Erano più di trecento nominati per il riconoscimento. Nella lista segreta dei candidati, fino a ieri i bookmakers consideravano favorita la sedicenne attivista svedese Greta Thunberg, che solo un mese fa aveva scosso i leader riuniti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con il suo j’accuse. Il comitato norvegese per il Nobel oggi ha deciso diversamente: il premio 2019 è del primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali per i “suoi sforzi per la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisa iniziativa di risolvere le dispute territoriali con la vicina Eritrea”.
Dall’indipendenza alla guerra tra il 1998 e il 2000, oltre due decenni di ostilità tra i due Paesi hanno provocato migliaia di morti e feriti e milioni di sfollati. Secondo stime recenti dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati, nel mondo i rifugiati eritrei sono più di cinquecentomila, tanti ancora in fuga dal regime autoritario del presidente Isaias Afwerki e dalla leva di massa.
Sin dall’elezione nell’aprile del 2018, il premier Abiy ha promesso di porre fine al conflitto e ha ripristinato le relazioni diplomatiche e le negoziazioni con Afwerki. Nello scorso luglio, i due leader hanno firmato la Dichiarazione Congiunta di Pace e Amicizia, considerando ufficialmente terminata la guerra.
Nel comunicato stampa, il Comitato per il Nobel ha ricordato altre riforme promosse da Abiy nei primi cento giorni di governo, come l’amnistia ai prigionieri politici, la legalizzazione dei gruppi di opposizione, lo stop allo stato d’emergenza nazionale e la promessa di elezioni libere e democratiche.
“Sicuramente molti penseranno che questo premio è stato dato troppo presto”, ha concluso il Comitato, riferendosi a critiche mosse in passato anche in occasione della scelta dell’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama, “ma è adesso che gli sforzi di Abiy Ahmed meritano riconoscimento ed è adesso che hanno bisogno incoraggiamento”.
“Ho sostenuto spesso che i venti della speranza stanno soffiando sempre più forti sull’Africa”, ha spiegato invece il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Il primo ministro Abiy Ahmed è una delle prove a sostegno della sua tesi.