Nella forte spinta verso l’impeachment che il cosiddetto Ucrainagate sta causando a Donald Trump, ci sono ormai due figure che stanno emergendo nel ruolo di protagonisti assoluti della vicenda: Rudy Giuliani e Mike Pompeo. Il primo, l’ex sindaco di New York che è stato per un periodo avvocato di Trump (durante l’inchiesta di Mueller), ma che ultimamente sarebbe soltanto un amico “consigliere” con a cuore le sorti del presidente, si merita il ruolo di protagonista per essere stato l’inviato speciale, anche se “non ufficiale”, della Casa Bianca a Kiev per sondare il terreno riguardo alla possibilità di mettere nei guai Biden padre attraverso indagini su presunte corruzioni che avrebbero invischiato Biden figlio, consigliere di una azienda energetica ucraina.
Il secondo, l’ex Congressman diventato con Trump prima Direttore della Cia e poi Segretario di Stato, diviene protagonista soprattutto da quando si è saputo che ha assistito alla famosa telefonata “intimidatoria” (secondo l’accusa dei democratici) di Trump al giovane Presidente dell’Ucraina appena eletto Zelensky. Pompeo, è questo che si sospetta da parte dei democratici, avrebbe poi “manovrato” insieme al suo capo per non far uscire la conversazione – pur sapendo che c’era stata una denuncia a riguardo da una “gola profonda” della Cia – e per questo continuerebbe a mettersi di traverso alle indagini del Congresso accusandolo di “intimidire” i diplomatici del Dipartimento di Stato con la richiesta di deposizioni (come a sua volta il Congresso ha intimato a Pompeo di non ostacolare le indagini né intimidire i possibili testimoni perché questo costituirebbe un crimine).
Pompeo, che in questi giorni si trova in Italia in visita ufficiale e che dopo Roma andrà anche in Abruzzo a far visita a Pacentro, il paese da dove emigrò la famiglia del suo nonno paterno (lo stesso che ha dato i natali alla famiglia della rockstar Madonna), da consigliere super fidato del Presidente continua a difendere le scelte del boss.
Nell’ammettere proprio oggi, da Roma, quello che il Wall Street Journal aveva rivelato fin da lunedì, e cioè che anche lui era lì ad ascoltare mentre Trump parlava dello scambio di favori con il presidente Ucraino, Pompeo ha detto che la chiamata “rientrava nel contesto della politica estera USA”, quindi era “coerente” nell’opposizione all’aggressione russa nella regione, nel rafforzare l’economia dell’Ucraina, e nell’“aiutare gli ucraini a liberarsi della corruzione” della loro burocrazia. E quindi Pompeo ha chiosato: “Questo è quello in cui gli ufficiali del Dipartimento di Stato che ho il privilegio di guidare sono coinvolti, ed è quello che continueremo a fare, anche con tutto questo baccano attorno”.
Queste dichiarazioni di Pompeo avvengono nel mezzo del duello che il Segretario di Stato ha ormai intrapreso da giorni col Congresso, con tre presidenti di commissione della Camera che gli hanno inviato un mandato di comparizione per venerdì per fornire documenti e rispondere alle domande per le indagini sul tentativo di Trump di coinvolgere le autorità ucraine in una nuova indagine sul suo rivale democratico, l’ex vice presidente Joe Biden e suo figlio. Pompeo ha replicato, con una lettera alle commissioni del Congresso, che lui non approverà la richiesta di rilasciare dei documenti o lasciare che degli ufficiali del Dipartimento di Stato identificati come importanti nella vicenda possano testimoniare.
Mentre Pompeo sembra un consigliere che sa il fatto suo o comunque dà la sensazione di essere freddo e con i nervi a posto (come era il bravissimo Robert Duvall nella parte del “consigliere” Tom Hagen nel film “Il Padrino”, per intenderci) l’altro “consigliere”, Rudolph Giuliani, ci appare sempre più una “testa calda” pronta a esplodere e a far emergere molto più di quello che “l’amministrazione-famiglia” può permettersi di rivelare. Insomma, nel vedere le performance di Rudy in televisione alla CNN al principio dello scandalo (quando, dopo aver negato a Cris Cuomo che era lì per convincere il presidente ucraino di indagare Biden, nello stessa conversazione, ha poi candidamente ammesso la sua “missione”), come nelle ultime sere persino nei canali della Fox tv, ci appare come il Sonny Corleone, il figlio maggiore di Don Vito, che, nell’agitarsi troppo, parlava troppo, e che farà una brutta fine mettendo in pericolo la famiglia…
Già, in questa faccenda, ricordiamo la definizione che il presidente della commissione sull’Intelligence, Adam Schiff, protagonista delle indagini che portano Trump verso l’impeachment, ha detto subito dopo la pubblicazione della sintesi della conversazione telefonica: l’atteggiamento di Trump nel chiedere un favore al presidente ucraino, di quelli “che non si possono rifiutare”, sembra quello di un padrino mafioso. A questo punto sembra che anche Trump tema molto il senatore Schiff, e soprattutto le indagini e le accuse della sua commissione, tanto da dichiarare, dalla Casa Bianca, che “Schiff dovrebbe essere accusato di tradimento, dovrebbe dimettersi”. Questo perché, secondo Trump, Schiff avrebbe fatto una ricostruzione sbagliata della conversazione da lui avuta con il presidente ucraino e della denuncia del “whistleblower”.
Intanto le conferenze stampa si sovrappongono e mentre i democratici sembrano mantenere i nervi saldi, il presidente Trump comincia a mostrare chiari segnali di nervosismo. Sopra e sotto gli esempio via video.
Ormai, per questa faccenda dell’impeachment, pensiamo che Trump dovrà servirsi ancora di “consiglieri” fidati. Ma tra quelli che in passato lo hanno messo nei guai e quelli che forse potrebbero toglierlo dai guai se solo lui li ascoltasse, sappiamo già tra Pompeo e Giuliani chi reciterà la parte di Tom Hagen e chi di Sonny Corleone.