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September 6, 2019
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Grillo, il padre e le accuse sul figlio: “Qui c’è la Provvidenza”

Il tormento, l’angoscia, l’incertezza di un padre per un figlio. Noi non abbiamo nessun dubbio: fino a sentenza definitiva, Ciro Grillo è non colpevole

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Grillo, il padre e le accuse sul figlio: “Qui c’è la Provvidenza”

Beppe Grillo durante un comizio nel 2011 (Da Flickr, foto di Giovanni Favia)

Time: 4 mins read

Verrebbe da dire, con Manzoni: “Qui c’è la Provvidenza” (Renzo, all’ingresso nella Milano appestata). Siamo sicuri che, in queste ore, Grillo padre è preoccupato per suo figlio, Ciro, un ragazzo di 19 anni sottoposto ad indagine, per una ipotesi di stupro di gruppo e, ieri, a lungo interrogato dalla Procura di Tempio Pausania, a ridosso della Costa Smeralda, dove il Garante del M5S ha una villa.

Una ragazza lo ha denunciato, affermando che, insieme ad altri tre suoi amici, ne avrebbe abusato. Si replica che il rapporto sessuale c’è stato, perchè lei era consenziente.  

Sarà preoccupato comunque, Beppe Grillo: se sarà accertato un reato, perchè un figlio che si fosse affacciato alla vita da una prospettiva così distorta, preferendo l’inganno e la violenza al gioco e alla gentilezza, proprio lì dove gioco e gentilezza celebrano la loro più sublime estasi, farebbe preoccupare qualsiasi uomo e qualsiasi padre: e non c’è ragione di escludere dal novero, della specie e del sottogruppo, Beppe Grillo (che costui abbia ripetutamente fatto il mimo del MeinKampf, invece spregiando e degradando barbaramente i suoi interlocutori, proprio sul registro dell’insulto alla loro umanità, è ulteriore ragione per distanziarsi, nel metodo e nel principio morale, da un simile letamaio comunicativo).

Ma sarà del pari, e forse più, preoccupato, Grillo padre, se il ragazzo dicesse la verità, e nessun reato avesse in effetti commesso.

Che succede, allora? Il tormento, l’angoscia, l’incertezza.

Prima di immaginare, diciamo subito che noi non abbiamo nessun dubbio: fino a sentenza definitiva, Ciro Grillo e le altre persone sottoposte ad indagine, sono graniticamente non colpevoli, degni e puri come prima, rispettabili, in quanto esseri umani a cui legittimamente si può chiedere conto di una loro condotta, ma non altro. E siamo pure lieti che i ragazzi siano rimasti a piede libero. Se così non fosse stato, il tormento, l’angoscia, l’incertezza, oggi Grillo padre li vedrebbe oscuramente cementati dalla disperazione.

Dunque, nessun dubbio giuridico, nessun dubbio processuale.

E questo diciamo per ragioni di Principio, non perché gli elementi siano equivoci.

Sì: un filmato digitale, qui acquisito agli atti investigativi, parrebbe dire e non dire; la denuncia è intervenuta circa dopo dieci giorni, quando la ragazza, giunta a Milano e lontana dai luoghi, si è sentita di poterlo fare.

Ma gli elementi indiziari, tanto più in casi simili, sono sempre equivoci. Se il corpo non presenta segni oggettivi di violenza, resterebbe però ancora da accertare, tramite le voci, le espressioni, i gesti, se la volontà fu espressa, o ritenuta implicita; e, in quest’ultimo caso, se il dedotto convincimento non risulti in effetti implausibile, ad es., per il concorso fuorviante di fattori “esogeni”, rispetto alla libera autodeterminazione (alcolici; né la volontaria loro assunzione “a monte”, darebbe comunque campo libero ad ogni altra condotta conseguente); eccetera. Sappiamo.

Quanto al tempo della denuncia, già nella Legge è insito un tempo di decantazione, di prima sedimentazione, assai più lungo, durante il quale non possono maturare decadenze di sorta e, quindi, nemmeno una menomata credibilità; anzi, il contrario: la nebbia della rimozione si dirada, i ricordi si precisano, il coraggio si ritrova, la volontà si rafferma. Questo si potrebbe sostenere, sul tempo trascorso.

Oppure, no.

Oppure, l’equivoco si scioglierà, tutto sarà definito, e si capirà che non ci sono state brutture.

Oppure ancora, non sarà chiarito fino in fondo, però, però, però. Però, la regola della civiltà, prima che costituzionale, o, meglio, costituzionale perché di civiltà, e di civiltà perché costituzionale, esige che la colpevolezza si fondi su prove capaci di vincere “ogni ragionevole dubbio”.     

Ed ecco il punto. Questa serenità, questo piano sicuro, questo limite, varcato il quale, si aprono secoli, millenni, di tristezze e di miserie, Grillo padre e il suo Movimento politico, lo hanno deliberatamente cinto d’assedio.

Hanno fatto della bestemmia laica e sediziosa contro la sublime Presunzione di non Colpevolezza, contro l’art 27 Cost., dove Beccaria, Manzoni, Tortora, Sciascia sono idealmente scolpiti come su un Monte Rushmore italiano, la loro prima e più infame prodezza, la loro sconcia Colonna Infame.

Loro: con gli infelici e obliqui chansonnier del patibolo (Travaglio, il Fatto Quotidiano, e altri che tutti conoscono e, soprattutto, ricordano), pronti a infiorettare questa bestemmia anche di miserabili sdottoreggiamenti, sul suo “valore endogeno”, e sul suo “superamento di fatto”, grazie alla nazistica “imputazione perenne”: con il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, che soggioga un uomo e la sua vita all’arbitrio incontrollato di Sua Maestà il Processo Penale.

Loro: tutti insieme, camice giallo-grigie, menestrelli, e Dottori della Forca, hanno fatto ogni cosa per compromettere la serenità di quel piano, e per porre al suo posto “l’immondizia del trivio, e l’arroganza, e i vizi lor”.

Loro: compendiati nel nome del riconfermato Ministro Bonafede (oscura e pregiudicante conferma), cui anche gli Avvocati Italiani si sono genuflessi, col pretesto di un augurio di buon lavoro (come se non ci fosse tutto il già rammentato, precedente, “movimento”, legislativo e “culturale”), costituiscono un affronto vivente ad ogni speranza di Giustizia.

Tuttavia, noi auspichiamo che, pur fra simili fili spinati, torrette di avvistamento e cani latranti, anche Ciro Grillo riesca a conseguire la sua verità e a riprendere la sua vita.

Ma la Provvidenza (comunque intesa) c’è. E chiamerà ciascuno a pagare i suoi conti. Stiamo sereni.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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