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June 26, 2019
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Tutto quello che c’è da sapere sui dibattiti di Miami tra i candidati democratici

Tra stasera e domani si sfideranno i 20 candidati che si sono qualificati al primo round di dibattiti. Ecco cosa tenere d'occhio

Andrea ArlettibyAndrea Arletti
Tutto quello che c’è da sapere sui dibattiti di Miami tra i candidati democratici

2020 Presidential candidates, Joe Biden, Elizabeth Warren, Bernie Sanders, Peter Buttigieg, Kamala Harris.

Time: 3 mins read

È finalmente arrivata l’ora dei dibattiti tra i candidati del Partito Democratico; stasera 10 di loro si sfideranno allo Arsht Center di Miami dove diranno la loro su una gamma di tematiche attuali: dalla crisi migratoria al confine col Messico, alla guerra sfiorata con l’Iran; dall’interferenza Russa nelle elezioni del 2016, all’apparizione di nuove leggi anti-aborto; dal pericolo dell’automatizzazione, al cambiamento climatico.

Seguiranno domani sera gli altri 10 candidati che si sono qualificati raggiungendo le 65 mila donazioni individuali necessarie o ricevendo almeno l’1% di preferenze su 3 sondaggi a livello nazionale. I prossimi dibattiti saranno a Detroit il 30 e 31 luglio ma tanti dei candidati che vedremo oggi e domani non ci saranno; infatti per qualificarsi ai prossimi dibattiti è necessario raggiungere almeno 130 mila donazioni individuali o il 2% di preferenze su 3 sondaggi a livello nazionale. I dibattiti di Miami sono dunque la grande occasione che i candidati poco conosciuti dovranno sfruttare per raccogliere abbastanza consenso e continuare a sperare nella nomination. Da questo punto di vista c’è il rischio che molti candidati, ansiosi di farsi conoscere e centrare i requisiti per i prossimi dibattiti, si affideranno a slogan propagandistici e attacchi personali contro i candidati in testa ai sondaggi, con la speranza di rallentare la loro ascesa e rubare qualche voto qua e la. Questa pratica produrrebbe dei dibattiti privi di contenuti e poco utili nell’aiutare il popolo Americano a formarsi una propria idea razionale e ragionata su chi possa rappresenta la migliore alternativa a Trump.

Certamente, non aiuta il fatto che ci siano cosi tanti candidati e cosi poco tempo a disposizione: contando che i dibattiti sono programmati per durare due ore, e lasciando almeno 40 minuti per le introduzioni, la pubblicità, e le domande, ci rimangono solo 80 minuti da dividere su 10 candidati. Riusciranno i candidati a far emergere le proprie idee, e nel mentre ribattere quelle degli altri, in soli 8 minuti? Ma soprattutto, è conveniente per i candidati meno conosciuti spiegare nel dettaglio le loro proposte o è meglio affidarsi a slogan e attacchi personali che catturino l’attenzione del pubblico? Teniamo in considerazione anche il fattore social, che è ormai diventato un elemento fondamentale in qualsiasi elezione politica. Abbiamo già constatato con l’elezione di Trump nel 2016 come lo slogan e l’attacco personale siano post con molto più successo – like e condivisioni – che la proposta dettagliata, difficile da spiegare in un post. Questo è dovuto anche al fatto che su Twitter, la piattaforma più utilizzata dai politici, c’è spazio solo per 280 caratteri, mentre i video devono essere limitati a 2 minuti e 20 secondi.

Riflettiamo un attimo. Un video su Twitter è praticamente un terzo di tutto il tempo a disposizione dei candidati durante il dibattito. Se dal dibattito ci puoi ricavare solo 3 video buoni, da poi ritwittare e sperare di conquistare un pò di supporto online, è molto più convenevole se questi video sono quelli con più potenziale di essere retwittati, che come abbiamo visto sono rappresentati da slogan e attacchi. D’altronde, se un candidato deve raggiungere il 2% nei sondaggi o le 130 mila donazioni individuali, ha certamente bisogno di sostanza, e perciò, 5000 retweet da utenti Twitter scioccati o sorpresi, saranno sempre meglio di 200 like da followers che hai comunque già conquistato. 

Questa esperienza l’abbiamo già ampiamente vissuta durante l’arco delle primarie repubblicane nel 2015 e 2016, quando i candidati repubblicani si sono attaccati e insultati ad ogni occasione possibile, producendo cosi una nomina che ha vinto grazie agli slogan, più che grazie alla bontà delle proprie proposte. Speriamo dunque che i Democratici presenti in queste due serate non ripetano gli stessi comportamenti dei loro colleghi qualche anno fa, ma che invece riescano a ristabilire un pò di forma, sostanza, e dignità alla politica martirizzata dai bruti modi comunicativi dei populisti. Come farlo? Rinunciare allo slogan facile e alla battuta contro l’avversario, nonostante tutti i fattori che abbiamo evidenziato in questo articolo ne dimostrino i vantaggi, e invece sfruttare quel poco tempo concesso per spiegare cosa veramente si vuole, e si può fare, se eletto Presidente della prima potenza mondiale. Pazienza se i conduttori o gli altri candidati scorbutici ti interrompono. Pazienza se ci ricavi solo 1 buon post su Twitter invece che 3. Per una volta bisognerebbe provare ad elevarsi dalla drammaticità della politica attuale, lasciando stare per un attimo le ambizioni personali di potere, e mettendo in primo piano i principi e le morali. Chissà poi se il popolo americano se ne accorgerà e riuscirà a guardare oltre lo slogan fuorviante. Sarebbe anche ora.   

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Andrea Arletti

Andrea Arletti

Andrea si è laureato alla New York University, sede di Abu Dhabi, con un B.A. in Scienze Politiche e Studi Legali. Ha un forte interesse per tutto ciò che concerne la politica statunitense e la comunicazione politica del ventunesimo secolo. Andrea is an Italian student pursuing a Bachelor degree in Political Science and Legal Studies at New York University Abu Dhabi. His interests revolve around U.S. politics and political communication in the 21st century.

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