Nelle ultime ore di una campagna elettorale turbata dall’odio sui social e dalle fake news arriva un’altra notizia che aumenta la diffidenza dei cittadini verso le Istituzioni e fa crescere l’onda populista e sovranista. La vituperata Europa non avrebbe gestito al meglio il tavolo di lavoro degli esperti che dovevano scrivere le norme UE contro le fake news. In un dossier sono state pubblicate le testimonianze raccolte dai giornalisti di Investigate Europe, pubblicate da openDemocracy, nelle ultime ore. “Una schifezza totale” o “una foglia di fico” per uno degli esperti che ha parlato senza voler rivelare il suo nome perché Facebook e Google avevano ”alleati potenti al tavolo degli esperti”. Una notizia passata sotto silenzio rispetto a quella di qualche giorno fa in Italia, dove soltanto nel Belpaese, Facebook ha chiuso 23 pagine con 2,4 milioni di follower che diffondevano fake news e parole d’odio. Informazioni completamente destituite di fondamento e contenuti definiti divisivi contro i migranti, i vaccini, i semiti. Un’indagine della organizzazione non governativa Avaaz, specializzata in campagne per i diritti umani e per l’ambienti, aveva segnalato queste pagine. Facebook in un comunicato ufficiale ha scritto : “Ringraziamo Avaaz per aver condiviso le ricerche affinché potessimo indagare. Siamo impegnati nel proteggere l’integrità delle elezioni nell’Unione Europea e in tutto il mondo. Abbiamo rimosso una serie di account falsi e duplicati che violavano le nostre policy in tema di autenticità, così come diverse pagine per violazione delle policy sulla modifica del nome. Abbiamo inoltre preso provvedimenti contro alcune pagine che hanno ripetutamente diffuso disinformazione”.
Pagine riconducibili ai due partiti alleati di Governo in Italia, Lega e Movimento 5 Stelle, ma questo non significa che i vertici dei due movimenti ne erano a conoscenza. Del resto la giungla dei social è davvero incontrollabile. Le pagine avevano diciture facilmente identificabili “Vogliamo il movimento 5 stelle al governo”, “Beppe Grillo for President “, “Lega Salvini Sulmona”, “Lega Salvini Premier Santa Teresa di Riva”, “Noi siamo 5 stelle”. Pagine con tantissimi follower e molte interazioni. Odio e fake news venivano diffuse e condivise oltre che commentate. E la domanda che tutti si continuano a fare è: quanto i social network possono realmente condizionare l’elettore? Quanto lo possono spingere a votare per un partito o un altro dopo aver letto notizie false che magari non sono state mai smentite? E’ un gioco che già si faceva in passato quando si parlava del potere della televisione e quando la Lega era un esempio molto citato, da politologi e ed esperti di media: i leader, Bossi in testa non apparivano in tv ma i consensi al nord erano sempre tanti. Già nei primi tre mesi dell’anno Google ha bloccato soltanto in Italia 11717 account che hanno fornito false informazioni sull’identità, pubblicato annunci fasulli o diffuso sistematicamente fake news. Un profilo congelato dal motore di ricerca ogni dieci minuti. In Europa 79503 i siti bloccati: in media 1 ogni 120 secondi. Un vero bollettino di guerra. E poi la nuova guerra fredda sugli algoritmi, che però sono caldi tra Russia e Stati Uniti: la dichiarazione sibillina dell’ex numero uno della Nato, Anders Fogh Rasmussen: “Mosca farà di tutto per sabotare il voto europeo”. E poi altre inchieste parallele che rivelano come dalla Russia stanno orientando gli sforzi sui giovani sollevando dubbi sull’importanza del Parlamento Europeo cercando così di ridurre al massimo l’affluenza alle urne. La politica sfrutta la disintermediazione per una costruzione del potere fondato sull’annullamento del processo di costruzione della conoscenza dove non trova spazio la cultura partecipativa per lasciare spazio alla polarizzazione e ad una opinione pubblica fondata sulla misinformation. Evgenij Morozov, sociologo e giornalista, sostiene che la politica opera sul paradigma del compromesso. Non è perfetta: alcuni cittadini potranno restare delusi. Invece il clima di ricerca perenne del consenso, la trasformazione in atto nella società liquida, profetizzata da Zigmunt Bauman ha trasformato i cittadini in consumatori che acquistano attraverso il voto un ticket per un servizio che pretendono ritagliato sulle proprie esigenze, senza compromessi, e questo sta producendo con tutta evidenza una devianza pericolosa nel campo della politica.
I dati che emergono dall’indagine IPSOS MORI – Social Research Institute (2018) condotta in 27 paesi evidenzia come vi sia a livello globale una falsa percezione da parte degli individui sull’impatto che le notizie false, post-verità e i filtri dei motori di ricerca e dei social network hanno sulle proprie vite e su quelle degli altri. Il 65% pensa che le altre persone vivano in una bolla su Internet, per lo più in cerca di opinioni con le quali sono già d’accordo, ma solo il 34% afferma di vivere in una propria “bolla”, il 63% è fiducioso di poter identificare notizie false, ma solo il 41% pensa che gli altri siano in grado di farlo; il 58% pensa di essere meglio della media nell’individuare notizie false, solo il 28% pensa di non essere in grado di individuarle; il 60% pensa che le altre persone non si preoccupano più dei fatti, credono solo quello che vogliono, il 59% pensa di avere una migliore comprensione delle realtà sociali come i tassi di criminalità rispetto alla persona media, solo il 29% pensa di no.
In questo clima stiamo andando a votare. Certi che quello che abbiamo letto, non verificato e molto spesso condiviso, può essere falso. Che quello che ci è stato narrato dalle nostre cascate informative può essere quantomeno discutibile o opinabile. Gianni Rodari è tornato di moda. Lui sosteneva che nel “paese della bugia la verità è una malattia”. Partendo da questo concetto affermeremo che nell’Europa delle fake news la verità è un utopia? Forse si, e non è positivo.