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April 3, 2019
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Il sindaco che vuol essere Presidente: perché bisogna tenere d’occhio Pete Buttigieg

Il semisconosciuto primo cittadino, dichiaratamente gay, di South Bend (Indiana) sta catalizzando l'attenzione. Sarà una meteora o una vera stella?

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
Il sindaco che vuol essere Presidente: perché bisogna tenere d’occhio Pete Buttigieg

Pete Buttigieg (Wikipedia)

Time: 5 mins read

Non ha la popolarità di Bernie Sanders o di Joe Biden – in questi giorni nell’occhio del ciclone per le accuse di alcune donne di essere state da lui toccate “in modo inopportuno” –; i principali sondaggi nazionali lo danno ampiamente in coda rispetto a Kamala Harris, all’“Obama bianco” Beto O’Rourke e ad Elizabeth Warren: ma perdere di vista Pete Buttigieg nell’affollato campo democratico per le primarie 2020 sarebbe un errore. Altro errore, limitarsi a notarlo come il “candidato gay”, mero segnale di quella che pure va considerata una importante conquista: e cioè che, a giudicare dall’elezione della neosindaca di Chicago, afroamericana e lesbica, dalla vittoria di un’altra candidata omosessuale a sindaco di Madison, nel Wisconsin, e dal numero record di candidati LGBTQ usciti vincitori nelle elezioni di Midterm, essere dichiaratamente e fieramente gay in politica è per fortuna ormai sostanzialmente accettato negli USA, perlomeno tra gli elettori democratici. Non che ci si possa dire “arrivati”: lo saremo solo quando non ci sarà più bisogno di sottolineare – neppure in positivo – l’orientamento sessuale di un sindaco o di un candidato alla Casa Bianca.

Tornando a Buttigieg, vale però la pena accendere un riflettore su come un sindaco semisconosciuto di una città di grandezza media del Midwest, South Bend, circa 100mila abitanti, sia riuscito a diventare in poche settimane un contendente temibile tra coloro che aspirano a prendere il posto di Donald Trump. Partiamo proprio dalle cifre, che pure, al momento, non lo premiano in senso assoluto: da notare però che un sondaggio di fine marzo di Quinnipiac lo dava a praticamente a pari merito con Elizabeth Warren a contendersi il quinto posto tra i candidati, prima del senatore Cory Booker e della senatrice Kirsten Gillibrand. E qualche giorno fa, lo stesso Buttigieg ha annunciato che la sua campagna ha raccolto più di 7 milioni di dollari nel primo quarto del 2019: sempre al di sotto rispetto ai 18 milioni di dollari mossi da Sanders nelle prime 6 settimane di campagna, o ai 9,4 di Beto O’Rourke in 18 giorni, ma pur sempre una cifra di tutto rispetto per un candidato che quasi nessuno aveva preso seriamente quando aveva annunciato la propria discesa in campo.

Del suo sito, per la verità piuttosto essenziale, saltano all’occhio due cose: la prima, che Buttigieg si descrive come “un sindaco millennial, un veterano della guerra in Afghanistan, e un marito”. La seconda, è che non c’è una pagina specificamente dedicata ai punti chiave della sua proposta politica e alla sua posizione sui principali argomenti di dibattito. Ad ogni modo, non si può dire che questo candidato sia “spuntato” dal nulla: laureato ad Harvard e Oxford, ha lavorato per McKinsey, gigante delle consulenze, e si è arruolato nell’esercito prima dell’abolizione del “don’t ask don’t tell”, linea politica che in teoria limitava i tentativi di individuare membri dell’esercito o aspiranti tali omosessuali o bisessuali, escludendo però dal servizio militare le persone apertamente gay. Durante questo periodo, è stato sette mesi in Afghanistan come ufficiale di riserva della marina. A 29 anni, è stato eletto sindaco di South Bend, la quarta più grande città dello stato dell’Indiana, ed è stato annoverato dall’allora uscente presidente Obama tra i promettenti futuri leader del Partito Democratico. Nel 2017, la sua corsa alla leadership della Democratic National Committee è fallita, ma ha contribuito a suscitare interesse per la sua figura all’interno del partito.

Quanto al suo programma politico, Buttigieg si è espresso a favore, come gli altri principali candidati, di un sistema sanitario per tutti, ma ritiene ci si debba arrivare con un periodo di transizione che stabilisca un’opzione pubblica, oppure un’unica tariffa per tutte le assicurazioni sanitarie in relazione a una particolare procedura medica. Ha definito il Green New Deal un quadro solido per combattere il climate change, ha difeso la proposta di Alexandria Ocasio-Cortez di imporre una aliquota di imposta marginale al 70% (senza però esprimersi chiaramente sulla percentuale indicata), ha chiesto il ritiro del contingente americano dall’Afghanistan, come Warren si è detto favorevole all’eliminazione del Collegio Elettorale, e ha proposto un radicale ripensamento della composizione della Corte Suprema, il cui sistema di funzionamento, ad avviso dei democratici, ad oggi avvantaggia i repubblicani. A distinguerlo dal suo partito, dove cominciano ad emergere voci critiche nei confronti di Israele, la sua posizione fortemente pro-Tel Aviv, e il suo rifiuto di condannare certe controverse politiche dell’alleato mediorientale.

I social network lo stanno premiando: secondo Axios, tra il 10 e 31 marzo si è attestato al primo posto tra i candidati per interazioni su Facebook e Twitter ai post pubblicati. Google Trends ha di recente mostrato come le ricerche a suo nome siano aumentate clamorosamente dall’inizio dell’anno. Ma, passando dallo schermo alla vita reale, quante probabilità ha un sindaco di una città di 100mila abitanti di sconfiggere senatori, governatori ed ex vice presidenti e conquistare la nomination? Al giornalista di Vox che gli ha posto questa domanda, Buttigieg ha risposto che i sindaci possono vantare un livello di esperienza esecutiva che permette loro di gestire diverse questioni politiche, anche complicate, con grande competenza: un buon banco di prova, insomma, per chi voglia diventare Presidente. “Nessuno entra nell’Ufficio Ovale sapendo com’è essere Presidente”, ha osservato il candidato. “Essere sindaco di una città di qualsiasi grandezza significa accumulare una quotidiana esperienza esecutiva di governo sul campo”. Buttigieg ha anche fatto notare che South Bend è un’antica città industriale nel cuore del Midwest – una città che ha sofferto profondamente per la chiusura dell’impianto automobilistico di Studebaker –, e che ben pochi altri democratici sarebbero in grado di conquistare il cuore di questo genere di elettori. Da sottolineare, il fatto che la figura di Buttigieg sembri essere piuttosto apprezzata sia tra i democratici più moderati che tra quelli più liberali, collocandosi in netta ed esplicita opposizione a Donald Trump. E c’è anche chi fa notare che, da quando il candidato è diventato primo cittadino di South Bend, il declino demografico che caratterizzava la città si è rovesciato in una modesta ma osservabile crescita demografica e il tasso di disoccupazione è fortemente diminuito.

Certo: l’essere buon sindaco, se anche fosse questo il caso, non assicura la buona riuscita nella carica più prestigiosa e impegnativa al mondo; così come il successo sui social media non è garanzia di buon esito in una tanto competitiva corsa elettorale. È ancora presto, insomma, per capire se Buttigieg sarà una meteora, una stella, o addirittura sarà in grado di diventare la stella più luminosa del firmamento democratico. Ma l’attenzione che, quasi dal nulla, è riuscito a catalizzare in poco tempo suggerisce che sia bene tenerlo d’occhio.

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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