Riusciranno i coraggiosi a vincere? È questa la domanda, tratta da una strofa dell’inno nazionale americano, che ha ispirato la campagna per la nomination democratica di Kirsten Gillibrand, senatrice dello stato di New York. Una domanda risuonata dal palco del kick-off tenuto a Manhattan, proprio davanti al Trump International Hotel, in una soleggiata e finalmente primaverile domenica di fine marzo. Da sottolineare la scelta della location, visto che Gillibrand, oltre a presentarsi come la “candidata delle donne”, intende posizionarsi anche come la più anti-Trump in assoluto: il Presidente, ha tuonato dal palco, è un “codardo”, impegnato operosamente a “lacerare il tessuto sociale del nostro Paese”, a “demonizzare i vulnerabili” e a “schiacciare chi ha più bisogno”. E lei, ha fatto sapere, al Congresso vanta il record di voti contrari alle politiche del Commander-in-Chief, “più di chiunque altro in Senato”.
“Candidata delle donne”, si diceva. Indubbiamente, prima ancora di presentarsi come “giovane madre” in occasione dell’annuncio della propria candidatura, la senatrice 52enne è assurta agli onori delle cronache per aver chiesto a gran voce le dimissioni del popolare e influente senatore democratico Al Franken, accusato da alcune donne di molestie o quantomeno di comportamenti inopportuni. Circostanza che ha alienato a Gillibrand le simpatie di ampia parte del suo partito, ma che, d’altra parte, le ha permesso di costruirsi un posizionamento politico chiaro, che tutt’oggi persegue nel tentativo (dall’esito tutt’altro che scontato) di emergere nell’affollatissimo campo democratico in vista delle elezioni 2020. Non è un caso che, a introdurre il suo discorso poco lontano dal Columbus Circle, siano stati giovani attivisti impegnati in prima linea per i diritti dei Dreamers e degli immigrati, della comunità transgender e LGBTQ, e rappresentanti delle istanze delle vittime di violenza sessuale e dell’uso sconsiderato delle armi.

Queste scelte non rappresentano soltanto il manifesto programmatico della senatrice in questa corsa alla presidenza (oltre a Medicare for All, Green New Deal, istruzione universitaria a prezzi accessibili), ma fungono anche da “ammenda” ad alcuni errori e “giravolte politiche” del passato. Non c’è da stupirsi se la prestigiosa rivista Forbes, in un’analisi pubblicata dopo il lancio del mandato esplorativo di Gillibrand a gennaio, l’abbia innanzitutto caratterizzata con il termine “cinismo”, esattamente il contrario di come l’attenta strategia di comunicazione costruita intorno alla candidata sta cercando di farla percepire. Innegabile, il fatto che il percorso politico della senatrice non sia stato esattamente “lineare”. Nel 2006, è stata eletta nel 20esimo distretto dello stato di New York come uno dei rari membri del Partito democratico ad essere favorevole alle armi, al punto da ricevere l’endorsement della National Rifle Association. Non solo: all’epoca promuoveva una linea piuttosto dura e restrittiva sull’immigrazione e si era detta favorevole alle unioni civili piuttosto che ai matrimoni tra persone dello stesso sesso. Qualcuno ricorda almeno i suoi voti, insieme ai repubblicani, a favore dell’invio di nuovo contingente in Iraq senza stabilire una precisa deadline per il ritiro, mentre dal palco del suo kick-off si è schierata contro le “guerre senza fine”.
Interrogata più volte sul suo passato politico, Gillibrand ha sempre rivendicato il coraggio di cambiare idea. Giustificazione che chi la sostiene sembra in effetti sposare appieno: “Chi la critica non capisce che lei rappresenta un distretto, e se quel distretto è a favore delle armi, tu lo devi rappresentare”, spiega la 50enne Karen, già sua convinta elettrice e ancora oggi sua sostenitrice. “Anche sull’immigrazione può aver sostenuto un certo tipo di politiche in passato, ma sono davvero convinta che abbia capito che è l’essenza di questo Paese e che abbia voltato pagina”. Secondo Karen, “nessuno resta uguale. Vivendo si cambia, e si diventa migliori. Lei è diventata migliore”. Nonostante i sondaggi non la premino affatto (per il momento si attesta in coda alla lunga lista di candidati, a pari merito con altri, poco al di sotto dell’1%), per la nostra interlocutrice Gillibrand ha concrete possibilità di vincere la nomination perché “è una senatrice meravigliosa, schierata a fianco delle donne, impegnata contro le violenze sessuali nell’esercito. È un tipo tosto”.
Ed è proprio questa immagine di donna forte, indipendente e coraggiosa che il suo staff sta cercando di veicolare di lei, se si pensa che il brano che ha introdotto e seguito il suo intervento sul palco è stato Woman, di Kesha. Per chi non lo sapesse, il ritornello recita:
“I’m a motherfucking woman, baby alright / I don’t need a man to be holding me too tight / I’m a motherfucking woman, baby, that’s right / I’m just having fun with my ladies here tonight / I’m a motherfucker”.
Proprio il genere di donna che non ha paura di dire che “[Il Presidente Trump] stampa in oro il suo nome su ogni edificio. E fa tutto questo per farvi credere che è forte. Non lo è. Il nostro Presidente è un codardo”.”Guardate quella torre”, ha detto indicando la maestosa Trump Tower che le faceva da sfondo, “un santuario di avidità, divisione e vanità. E ora guardatevi intorno. La forza più grande, di gran lunga, è la nostra. Il potere è dentro di noi”. Gillibrand ha rincarato la dose chiedendo la pubblicazione integrale del rapporto sul Russiagate di Robert Mueller: “Non mi succede spesso di essere d’accordo con Richard Nixon, ma aveva ragione nel dire che gli americani hanno il diritto di sapere se il loro Presidente è un farabutto”. “La gente in questo Paese si merita un presidente che sia degno del nostro coraggio, un presidente che non solo sia da esempio, ma a sua volta segua il vostro esempio”, ha proseguito. “Il vostro coraggio mi ispira ogni giorno, ed è per questo che sono candidata per diventare presidente degli Stati Uniti”.

Chi scrive, all’inizio di questo mese ha assistito al rally newyorkese, al Brooklyn College, che ha lanciato la campagna per il 2020 di Bernie Sanders. A voler azzardare un confronto tra i due eventi, non sembra esserci partita. L’impressione è che il seguito del senatore socialista newyorkese che rappresenta il Vermont sia decisamente più ampio e convinto: la folla riunita alla Trump Tower per Kirsten Gillibrand non è paragonabile al fiume umano, specialmente composto di giovani e giovanissimi, che ha affollato l’innevato Brooklyn College, affrontando una lunghissima fila, nonostante le temperature, per entrare e accaparrarsi i posti più vicini al palco. La maggioranza di chi ha partecipato a quel rally, peraltro, era composta da agguerriti sostenitori di Sanders, che lo avevano apprezzato nel 2016 e che, spesso critici nei confronti dei suoi rivali democratici, lo hanno già scelto come proprio candidato per il 2020. Al kick-off di Gillibrand, invece, erano presenti molte persone incuriosite dalla senatrice, ma positivamente impressionate anche da altri candidati. Cathrine, 28 anni, ha un’ottima opinione di Gillibrand: “Vivo nello stato di New York ed è la mia senatrice, e penso stia facendo un buon lavoro. Mi piace la sua coerenza sul tema delle donne, mi piace il fatto che su questo si sia comportata allo stesso modo con i suoi colleghi di partito e con i rivali dell’altro. Sembra molto generosa e coraggiosa”. Ma quando si parla delle sue reali possibilità di vittoria e degli altri democratici scesi in campo, la ragazza non si sbilancia: “Non so quante possibilità abbia: ci sono tanti candidati, almeno cinque, a mio parere davvero meravigliosi. Non si può non apprezzare Kamala Harris, ma mi piace moltissimo anche Julian Castro, anche se non so se abbia possibilità di vittoria. Penso inoltre che se Stacey Abrams decidesse di correre sarebbe entusiasmante”.
Anche Jenna, 29 anni, è incuriosita da Gillibrand, ma non ha ancora fatto una scelta di campo: “Apprezzo molto almeno un paio di candidati. Gillibrand mi piace soprattutto per le sue proposte che riguardano la cura dell’infanzia, ho intenzione di approfondire”. La donna, che non si definisce “una fan di Bernie Sanders”, è madre di un bambino e, in quanto tale, “mi piace molto quello che la senatrice dice e immagino che tante altre madri la pensino come me: quindi sì, credo che abbia delle possibilità di vincere la nomination”, spiega. Rebecca, 35 anni, è “entusiasta dei candidati in campo, ma per il momento non ho una preferenza chiara. Vivo però in questo quartiere, e ho pensato che partecipare a questo rally fosse un’esperienza da fare”. Di Gillibrand, pensa sia “più empatica di altri candidati, e ha molta passione”. “Mi piace anche Sanders, ha sdoganato molte idee nuove che questa volta tanti candidati stanno portando avanti, quindi penso abbia giovato al Partito democratico”.


Dan, 25 anni, ha una piccola preferenza per la senatrice dello stato di New York, ma ancora non si definisce un suo sostenitore in vista del 2020: “Ero molto incuriosito da Gillibrand quando è diventata senatrice. Non sono ancora deciso a supportare la sua campagna, ma sono entusiasta della sua candidatura e ho a cuore molte delle tematiche su cui si spende, come la lotta senza quartiere alle molestie e violenze sessuali e la battaglia a favore del controllo delle armi. Sono impaziente di vedere il suo apporto in queste primarie”. Dan è incuriosito anche da Kamala Harris: “Ho incontrato molte persone entusiaste della sua discesa in campo, devo approfondire ma sembra molto interessante. Non sono un ammiratore di Bernie Sanders, mentre guardo con interesse a Joe Biden, in caso decida di scendere in campo”. Quanto ai frequenti “cambi di casacca” della senatrice di New York, Dan non è preoccupato: “A mio avviso, se è un tipo di persona disposta a imparare dai propri errori, e ad ascoltare le persone, penso che possa giovare al Paese. Ritengo sia una cosa importante per tutti noi: come nazione abbiamo fatto degli errori e credo che ascoltare qualcuno che sia capace di mettersi in discussione e interpretare la voce delle persone sia una cosa positiva”.
L’impressione, per ora confermata dai sondaggi, è che la senatrice non abbia ancora un seguito tale da riscrivere l’infausta storia moderna del suo seggio, occupato da Hillary Clinton prima che perdesse la sua corsa alle primarie nel 2008, e, 40 anni prima, da Bobby Kennedy, assassinato la notte delle primarie in California di cui era stato proclamato vincitore. Eppure, si sa, in ballo non c’è solo la presidenza: e Gillibrand, che si sta indubbiamente costruendo un profilo politicamente forte, potrebbe essere una candidata appetibile per la vicepresidenza, o per qualche importante nomina governativa. Trump permettendo.