L’Italia è uno straordinario e bellissimo paese. I suoi abitanti, spesso, nutrono una sorta di soggezione e di complesso di inferiorità, nei confronti di quello che viene dall’estero; molto spesso immotivati, ingiustificati. Non c’è paese al mondo che possa competere con l’Italia per quel che riguarda le bellezze dell’arte; e con rispetto per gli artisti di tutto il mondo, le “eccellenze” che si trovano a Roma, in Toscana, in Veneto o in Sicilia, non hanno eguali. Lo stesso discorso si può fare per la cucina: la varietà e la qualità dei cibi italiani, la fantasia nel saper comporre pietanze, non ha eguali. Maschilisticamente parlando le italiane sono tra le più dotate di “grazia” ed eleganza. L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, e senza conceder nulla a vocazioni nazionalistiche o – come s’usa dire ora – “sovraniste”.
Dov’è allora, il guaio di questo “bel paese”? In una sorta di masochismo, in una rara capacità di rendere complicate le cose semplici, difficili le cose facili.
Per provare a motivare questa affermazione, ecco un esempio: l’orario di apertura e chiusura dei negozi. Viviamo in un mondo, si fa parte di una società che non è più regolata dai ritmi di solo dieci o venti anni fa. Oggi gli orari si sono dilatati; le fasce non sono più quelle di un tempo, scandite da tempi definiti. Tutto è molto più flessibile, e di conseguenza, in particolare nelle grandi città, così ci si dovrebbe rapportare. Oggi, molto più di “ieri” può far comodo a un cittadino trovare un esercizio commerciale aperto anche nei giorni festivi, e comunque a orari che vadano oltre la sera. Nel commercio le pur timide “liberalizzazioni” a suo tempo avviate dal ministro Pierluigi Bersani tendevano a portare l’Italia al passo di altri paesi.
Sono trascorsi da allora un buon numero di anni. Un po’ tutti ci siamo abituati a poter fare la spesa anche la domenica, negli altri giorni festivi, la sera anche dopo le 21. Non c’è nulla di male, in questo; e tutto di bene. L’importante è che i lavoratori siano tutelati: siano riconosciuti e rispettati i loro diritti, sia corrisposta una paga adeguata al tipo di lavoro che svolgono, non siano sfruttati.
Mesi fa il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha avuto una delle sue belle, innumerevoli, pensate. “I negozi sempre aperti dal lunedì alla domenica, senza rotazioni e senza possibilità di chiusura”, dice, “hanno massacrato le famiglie degli esercenti che non si riposano più. I bimbi devono crescere a contatto con i loro genitori. Famiglie più felici sono la premessa di una Italia più forte…l’assenza di chiusure obbligatorie per i negozi, infatti, è un favore solo alla grande distribuzione, ai mega centri commerciali che sono responsabili della scomparsa e del fallimento dei piccoli negozi che prima animavano le nostre città e i nostri borghi”.
Incredibile che, con tutti i problemi del paese, si discuta se e come togliere una norma di libertà che consente al commerciante di aprire quando vuole, e quando lo ritiene conveniente, il suo negozio. Secondo gli ultimi dati forniti da Eurostat, la domenica in Italia lavora circa il 15,2 per cento degli occupati: più o meno 3 milioni e mezzo di lavoratori.
Tutto da capire come si salvi la famiglia se un negozio la domenica è chiuso. Di sicuro qualcuno di quei 3 milioni e mezzo di lavoratori lavorerà di meno, o non lavorerà affatto.
Come ormai è prassi, se il Movimento 5 Stelle dice una cosa, l’altro “azionista” del governo, la Lega, dice l’opposto. E’ il bello del governo pentastellato: fa maggioranza e opposizione insieme. Poi, alla fine, dal momento che non è ancora venuto il momento di sciogliere il “contratto” e comunque ognuno dei due mira a lasciare il cerino acceso nelle dita dell’altro, ecco che si trova il compromesso.
E’ accaduto anche nel caso delle liberalizzazioni. Hanno concepito il seguente rompicapo: sì alle serrande alzate per metà dei week end, e in quattro festività su dodici. Ma, anche, norme ad hoc per luoghi turistici (in Italia tutto è turismo, vai a capire quali sono i “luoghi” scelti).
Ad ogni modo, si “concede” l’apertura a 26 su 52, e deroghe per altri giorni di serrande alzate nelle festività nazionali: 4 su 12 (laiche e religiose). In tutto dunque si arriva fino a 30 aperture ‘extra’. Quali saranno le date delle aperture “standard” lo sceglieranno le Regioni, in accordo con le associazioni di categoria e i sindacati: allo stesso modo, Regione per Regione, si decideranno le festività in cui gli esercizi potranno lavorare.
C’è poi l’attenzione particolare per le zone turistiche; si prevede, con grande acume, che si possano concentrare le aperture in alta stagione: al mare le 26 domeniche saranno quindi concentrate nei mesi estivi, da aprile a settembre; mentre in montagna si divideranno tra la stagione sciistica (dicembre-marzo) e quella del trekking e delle passeggiate (luglio e agosto).
Zona turistica sono anche i centri storici. Come si risolve la cosa? Quelli delle grandi città, sono esenti da questi vincoli, e le attività commerciali potranno rimanere aperte tutte le domeniche, eccezione fatta per le festività. Lo stesso vale per i negozi di vicinato fuori dal centro storico. Nei comuni fino a 10.000 abitanti saranno aperti i negozi fino a 150 metri quadri. Nei comuni con più di 10.000 abitanti saranno aperti i negozi fino a 250 metri quadri.
Finito qui? No. Dopo il cavillo, il contro-cavillo. Come in passato, saranno sempre aperte le rivendite di generi di monopolio e i negozi di alberghi, campeggi e villaggi. Sempre aperti anche quelli lungo le autostrade, in stazioni, porti e aeroporti. Apertura libera anche per giornalai, gastronomie e rosticcerie, pasticcerie e gelaterie, fiorai, librerie, negozi di mobili, di dischi, antiquari, e chi vende ricordini e artigianato locale. Sempre aperti anche i cinema, e i negozi di parchi divertimento, stadi e centri sportivi. Per tutti loro, lavoratori e beneficiari, l’elemento “rovina-famiglie” viene meno. Per i “disobbedienti”, previste multe: da 10mila a 60mila euro, raddoppiano in caso di recidiva. I proventi serviranno a combattere gli abusivi e contribuiranno al decoro urbano. Naturalmente si prevedono speciali “uffici” e dipartimenti che avranno l’incarico di tenere questa speciale contabilità, e poi altri “uffici” e dipartimenti per l’utilizzo di questi fondi.
Quando si è parlato di “guaio di questo “bel paese”, di “masochismo”, di “rara capacità di rendere complicate le cose semplici, difficili le cose facili”, si pensava a norme di questo tipo; a persone che sono al governo, che ricoprono delicati incarichi istituzionali e decisionali che occupano il loro tempo a concepire, pensare, realizzare cose del genere. L’Italia è un bellissimo paese, e per questa sua “bellezza” andava in qualche modo punita. Ecco, dunque, i governanti che ha.