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Come la riforma DeVos potrebbe rendere le scuole ostili alle vittime di violenza sessuale

Le modifiche al Title IX del Segretario dell'Istruzione di Trump, se approvate, renderanno più rare le denunce e più frequenti gli abbandoni scolastici

Giulia PozzibyGiulia Pozzi
Come la riforma DeVos potrebbe rendere le scuole ostili alle vittime di violenza sessuale

Former Secretary of Education Betsy DeVos (Gage Skidmore / Flickr.com)

Time: 8 mins read

Mentre negli Stati Uniti il dibattito pubblico è rimasto concentrato sullo shutdown durato 35 giorni e appena sospeso dal presidente Donald Trump, un’altra notizia importante sta rischiando di passare pressoché inosservata. Si tratta della proposta di riforma del Title IX of the Education Amendments, che protegge da ogni forma di discriminazione sessuale gli studenti iscritti a programmi di istruzione o ad attività educative che ricevono assistenza finanziaria federale.

A settembre, infatti, Betsy DeVos, Segretario dell’Istruzione dell’amministrazione Trump, ha revocato le linee guida dell’era Obama in materia di molestie e violenze sessuali nelle scuole e nelle università, annunciando regole vincolanti che avrebbero modificato la normativa in materia. La nuova proposta è stata pubblicata il 29 novembre scorso dal Dipartimento per l’Educazione. A seguito di ciò, si è aperto un periodo cosiddetto di “notice and comment”, comune procedura in base alla quale una proposta normativa resta aperta ai commenti del pubblico per un determinato periodo di tempo. La deadline del 28 gennaio per presentare le osservazioni, dopo 60 giorni, è stata estesa di due giorni, fino al 30. Dopodiché, sapremo come andrà a finire. Ma che cosa potrebbe cambiare?

Per prima cosa, le nuove norme richiedono alle scuole di effettuare indagini solo in relazione ai casi più gravi di aggressioni e molestie sessuali. La nuova definizione proposta di questi episodi, infatti, li limita a “una condotta sgradita sulla base del sesso che è talmente grave, pervasiva e oggettivamente offensiva che arriva a negare a tutti gli effetti un accesso equo al programma di educazione”. In parole povere, la scuola è chiamata ad intervenire solo se le molestie o le violenze subite dalla vittima le impediscano del tutto di proseguire le attività scolastiche. Un limite che, fa notare l’associazione Know Your IX, rischia di costringere le vittime a sopportare livelli sempre più pesanti di abusi, senza poter chiedere aiuto alla scuola. La precedente definizione, presente nel documento Dear Colleague Letter dei tempi di Obama (2011), parlava invece di una “condotta sufficientemente grave da limitare o interferire con la capacità dello studente di partecipare e di trarre beneficio dal programma scolastico”.

La nuova proposta consentirebbe poi alle scuole di non farsi carico di una violenza sessuale che non sia avvenuta nell’ambito di un programma scolastico, ignorando ad esempio episodi che hanno luogo negli appartamenti al di fuori del campus anche quando hanno un effettivo impatto sull’esperienza scolastica della vittima. Una norma, fanno sapere le associazioni, che avrebbe pessime conseguenze sull’87% degli studenti del college che non vivono all’interno del campus, oltre a quelli che partecipano a programmi all’estero.

Il regolamento DeVos, ancora, limiterebbe i casi in cui la scuola possa essere ritenuta responsabile a quelli in cui la direzione sia stata “verosimilmente” a conoscenza delle molestie, e renderebbe più complicato per le vittime il processo di denuncia alle autorità scolastiche. Secondo gli attivisti, queste norme renderanno l’intero processo più traumatico per i sopravvissuti, favorendo cattive pratiche (già balzate all’onore delle cronache in passato) come l’insabbiamento di report e denunce.

Altro punto chiave, le norme consentirebbero di richiedere un onere della prova più alto (“clear and convincing”) rispetto a quello normalmente usato (“preponderance of evidence”) a chi denuncia una molestia o una violenza sessuale. In pratica, alla vittima si richiede di provare la propria versione utilizzando standard più esigenti e spesso difficili da fornire. La “preponderanza di prove”, promossa dalle amministrazioni Bush e Obama, riconosce invece lo stesso valore alla testimonianza di entrambe le parti e attribuisce pari gravità all’ipotesi che l’accusato o l’accusatore lascino la scuola a causa di un provvedimento di espulsione nel primo caso (se riconosciuto colpevole), o alle molestie subite nel secondo. Secondo Know Your IX, invece, la proposta di regolamentazione DeVos “indica che la scuola è più preoccupata ad evitare la perdita di uno studente accusato piuttosto che di una vittima”.

DeVos intende inoltre limitare fortemente il diritto dei sopravvissuti a richiedere il trasferimento temporaneo dei propri aggressori in altre classi o dormitori. Inoltre, consentirebbe alle scuole di utilizzare un processo di mediazione informale, al posto di una completa indagine. Con tale procedimento, secondo Know Your IX, la vittima rischia maggiormente di ricevere intimidazioni, e si tende a legittimare il presupposto che entrambe le parti abbiano le loro colpe. Tra gli altri punti contestati dagli attivisti, la rimozione del limite di 60 giorni perché  la scuola conduca le indagini; l’eliminazione dell’obbligo per gli istituti di fare richiesta scritta nel caso in cui vogliano ottenere un’esenzione per motivi religiosi dal Title IX; e la richiesta alle scuole superiori di ricorrere al controinterrogatorio dal vivo (anziché con domande scritte come in precedenza) da parte di un consulente, pratica che si teme possa rivelarsi emotivamente traumatica per i sopravvissuti e possa scoraggiarli dal denunciare.

“Queste regole ridurranno sicuramente le denunce: gli stessi dati del Dipartimento dell’Educazione prevedono una diminuzione del 39% nei college e nelle università, e del 50% nelle scuole primarie e secondarie”, spiega Sage Carson, Manager di Know Your IX. “Già ad oggi, meno del 15% degli studenti sporge denuncia alla propria scuola, e la media di inchieste condotte ogni anno dai college su questo tema è molto bassa, pari a 1,18”. Sage, una aggressione sessuale alle spalle quando era studentessa e una lunga esperienza di attivismo sulla questione, è convinta che DeVos stia “cercando di impedire ai sopravvissuti di denunciare, e di limitare significativamente le protezioni a cui gli studenti hanno diritto”.

All of the comments on the video asked why I didn’t call the police. Hot take: I didn’t want my rapist to go to jail, I just wanted to go to class without having a panic attack and access to counseling. The police couldn’t give me what I needed, my school did. https://t.co/1Tqkh13iEj

— Sage Carson (@Sage_Gaea) 11 dicembre 2018

Il Dipartimento dell’Educazione, dal canto suo, ha affermato che le nuove proposte assicureranno equità per entrambe le parti, garantendo in più alle scuole maggiore flessibilità per andare incontro alle vittime che non si sentono di presentare reclami formali perché non vogliono che venga aperta un’indagine. In realtà, secondo Sage, “se l’obiettivo del Dipartimento fosse davvero quello di assicurare processi equi, DeVos seguirebbe la strada già imboccata dall’amministrazione Obama”, e “rafforzerebbe le precedenti linee guida, che forniscono protezione agli studenti accusati di violenza sessuale più di ogni altra legge federale”.

“Il problema di queste regole non è tanto quello di contrapporre accusatore ad accusato, ma piuttosto la vittima e le istituzioni a cui dovrebbe fare riferimento”, spiega Venkayla Haynes, membro del Campus Advisory Board dell’organizzazione It’s On Us (movimento nazionale “per mettere fine alla violenza sessuale”), organizzatrice di Know Your IX, nonché membro del Comitato Consultivo sulla violenza sulle donne della Biden Foundation. “La flessibilità è maggiore, ma l’obiettivo non sembra quello di aiutare i sopravvissuti, ma quello di togliere responsabilità ai college e alle scuole. Il fine non pare quello di aiutare le vittime che non vogliono presentare reclami formali, ma di assicurarsi che non lo facciano proprio”.

Anche Venkayla, come Sage, ha alle spalle una storia di molestie e un’importante esperienza come attivista. A novembre 2015, ha partecipato in prima linea all’organizzazione di una campagna, ItsOnUs, promossa dall’amministrazione Obama, che ha portato Joe Biden a parlare con studenti e docenti sulla delicatissima questione degli abusi sessuali. Un’esperienza che le ha dato l’occasione di incontrare il Vicepresidente in persona e di visitare la Casa Bianca. Oggi, Venkayla continua il suo attivismo informando gli studenti sui loro diritti sanciti dal Title IX, aiutando i sopravvissuti, lavorando con le amministrazioni scolastiche, sensibilizzando l’opinione pubblica e collaborando con molte organizzazioni nazionali.

Venkayla Haynes con l’allora vicepresidente Joe Biden.
Venkayla Haynes con l’allora vicepresidente Joe Biden.

“Che cosa mi preoccupa di più di queste regole? Di sicuro l’esclusione delle violenze al di fuori del campus da quelle perseguibili dalle scuole”, afferma Venkayla. “Molti studenti vivono in appartamenti esterni, per esempio quelli che frequentano college pubblici”, spiega. E aggiunge: “La mia aggressione è avvenuta a meno di 5 minuti dal campus, e in base a queste regole quello che mi è successo non ha importanza, non è una priorità perché non è avvenuto negli spazi del college o a un evento scolastico”. Sage, che ha vissuto un’esperienza molto simile, condivide la preoccupazione della collega: “Ho subito violenza al di fuori di un programma scolastico, ma ho comunque faticato a proseguire la scuola con successo perché ero costretta a vedere il mio aggressore ogni volta che andavo a lezione. È stato grazie al Title IX che sono riuscita a laurearmi”, racconta.

Come Know Your IX, Sage e Venkayla hanno ricevuto migliaia di commenti dal pubblico sulle regole proposte da DeVos. “Gli studenti si stanno facendo sentire. È inaccettabile che i sopravvissuti vengano messi a tacere dal Dipartimento dell’Educazione”, spiega Sage. Nonostante la grande mobilitazione, Venkayla  si aspetta però che le nuove regole vengano approvate. “Viviamo in una società che si conforma alla cultura dello stupro, e all’interno di questa amministrazione ci sono storie pregresse di abusatori che non sono stati ritenuti responsabili delle loro azioni”, osserva. La speranza, naturalmente, resta che DeVos tenga in considerazione i commenti dell’opinione pubblica “e protegga gli studenti dei campus universitari e delle scuole primarie e secondarie”. Eppure, l’attivista non nutre molte speranze: “Giudico sulla base dalle sue azioni passate e attuali: come il rifiuto di condurre indagini sulle discriminazioni subite dagli studenti trans, la richiesta di segnalare all’ICE gli studenti privi di documenti, il mancato impegno nel fornire risorse adeguate alle comunità emarginate e la decisione di attaccare i diritti del Title IX”. Tutti provvedimenti, insomma, che non depongono a favore di un improvviso cambio di rotta.

Di per sé, DeVos o no, la sola esistenza delle regole sancite dal Title IX non è sempre garanzia di un’equa gestione del problema da parte degli istituti scolastici. “Nella mia esperienza, tra gli studenti non c’è abbastanza consapevolezza dei propri diritti: anzi, direi che non ce n’è nessuna. Nel 90% dei casi, quando incontro i sopravvissuti, non conoscono le garanzie a cui il Title IX dà accesso. La maggior parte delle volte, le scuole non fanno bene il proprio lavoro nell’informare gli studenti e nel gestire quelle situazioni”, racconta Venkayla. “Spesso, quando qualcuno riporta un’aggressione, gli viene detto di non denunciare il colpevole, cosa che gli rovinerebbe la vita, oppure viene colpevolizzato. Alcuni casi vengono archiviati senza notificarlo all’interessato, o ci sono così tanti ostacoli nel processo di denuncia che molti semplicemente ci rinunciano”. Esiste anche un problema di disparità di risorse tra i college bianchi e quelli storicamente delle comunità di colore. Ma, in generale, “le regole del Title IX funzionano quando vengono applicate e rispettate, non certo quando vengono violate”, conclude Venkayla. Prima di tutto, però, quelle regole devono essere eque. “Già ad oggi, circa un terzo delle vittime finiscono per abbandonare il college”, spiega Sage. E aggiunge: “Le nuove norme faranno soltanto aumentare questo numero. Impediranno a tante donne di ottenere un titolo di studio, ostacolando le loro carriere future”.

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Giulia Pozzi

Giulia Pozzi

Classe 1989, lombarda, dopo la laurea magistrale in Filologia Moderna all'Università Cattolica di Milano si è specializzata alla Scuola di Giornalismo Lelio Basso di Roma e ha conseguito un master in Comunicazione e Media nelle Relazioni Internazionali presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Ha lavorato come giornalista a Roma occupandosi di politica e affari esteri. Per la Voce di New York, è stata corrispondente dalle Nazioni Unite a New York. Collabora anche con "7-Corriere della Sera", "L'Espresso", "Linkiesta.it". Considera la grande letteratura di ogni tempo il "rumore di fondo" di calviniana memoria, e la lente attraverso cui osservare la realtà.

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