Silvio Berlusconi non è più un soggetto politico, ammesso che lo sia mai stato. Non potrà nemmeno sedurre con le sue speranze da uomo perennemente nuovo: perché la seduzione esige almeno una misura di sorpresa, di ignoto, di inesplorato.
E Berlusconi è stato così minutamente frugato; tanto lungamente e doviziosamente si è offerto agli occhi, alle orecchie di chiunque, amico o nemico, militante o scettico, ingenuo o navigato, in qualsiasi luogo e in qualsiasi modo abbia vissuto negli ultimi venticinque anni in Italia, da risultare ormai una presenza anche quando è assente, un ricordo anche per gli smemorati.
Sorta di oggetto d’arredo universale di cui, pure se non piace, non si ha ormai animo di disfarsi: e, se non compare da qualche parte in casa, lo si lascia comunque in cantina, a segno di un’appartenenza che non si può, o non si vuole più disconoscere.
Perciò, non è sul piano delle battaglie che furono; delle inimicizie suscitate, della furia iconoclasta, dei sedimenti rancorosi che fecero tutt’uno con le sue dissennatezze (una per tutte, il boicottaggio dei Referendum radicali sulla separazione delle carriere per i magistrati, nel 2000); con la sue compagnie di giro raccogliticce, con i competenti affiancati ai rodomonti, le Meloni e le Prestigiacomo dove c’erano state le Parenti e le Maiolo, Alfano al posto di Biondi e Della Valle, gli effluvi dopo i programmi, che potrà dare senso alla sua scelta.
No: non è sul piano della maggiore o minore azione politica che Berlusconi, 83 anni, potrà imprimere svolte, incidere, o anche solo tracciare una via, un indirizzo.
Però una cosa la può fare. Se non vorrà ridursi a fare il testimonial di sé stesso, di un sé stesso irriproducibile, dovrà testimoniare. Non in Tribunale: dove è stato anche troppo, e troppo ingiustamente.
Ma dove gli riesce meglio: nelle piazze, davanti ad una telecamera, adunando, però, le sue opere e i suoi giorni da imprenditore, da uomo d’azione e d’inventiva, di lavoro e di costruzione lieta e positiva.
Potrà testimoniare, con un vigore fin qui largamente mancato, che Salvini non è moderato, né ceto produttivo; non è liberale, non è nuovo; ma è un vecchio arnese del più bieco trasformismo, della più perniciosa velleità, tutta Chiacchiere ed Emergenza. Soprattutto, che non è nulla che non sia già interamente iscritto nella pericolosissima, sciaguratissima e già ampiamente dannosa vicenda del M5S.
Potrà testimoniare, a quanti si ostinano a non vedere, che Di Maio, Toninelli, Bonafede, Grillo (I e II), sono al governo dell’Italia perché Salvini lo ha voluto, perché Salvini, lo ha permesso; che Salvini ne può condividere le Leggi, le minacce, le ciarlatanerie, le quotidiane e le deliberate manomissioni dell’ordinamento costituzionale e democratico, perché lui, Salvini, la Lega, quotidianamente si risolvono, e risolvono la loro azione politica, nelle Leggi, nelle minacce, nelle ciarlatanerie promosse, divulgate e assunte a dignità normativa dal M5S.
Potrà testimoniare che la costruzione dello Spettro Politico-Mafioso, ha alimentato e si è alimentata degli stessi inganni, delle stesse deformazioni, della stessa isteria come istrumentum regni che ora si vogliono accreditate da piani di invasione, da un nuovo Odio Totale, verso un nuovo Nemico Totale.
Che identico è il metodo: trarre da singoli fatti valore di regola, di una “evidenza impellente”; ignorare le stratificazioni storiche, sociali, umane e culturali di un fenomeno complesso; occupare il prime time, la rete; soffiare sulle impressioni, stimolare il ventre, offuscare la mente, e vivere di una rinnovata, ma sempre uguale, rendita pseudopolitica mortifera e sterilizzante.
Dica pure, visto che gli riesce bene, che “i 5S sono come i comunisti del ‘94”: ma spieghi che lo statalismo, che il parassitismo, nel Governo sono materia di scambio, non un discrimine: che non a caso, “Quota cento” e “Reddito di cittadinanza” vanno insieme: perché insieme generano debito a lungo termine, e insieme, cioè, avvelenano il futuro delle giovani generazioni, più di quanto non beneficino il presente delle attuali.
Spieghi, dica, distingua. Contribuisca al morale della truppa. Faccia il Capitano, quello vero, anche se dalla tribuna. Impugni quello stendardo, “Libertà”, ma non per coprirne qualcuno. Sappia occupare un angolo, visto che non c’è più il proscenio. Faccia la “coscienza infelice”, la “vox clamans in deserto”, si faccia forte dei suoi stessi errori.
Sarà credibile come mai lo è stato. E magari anche le mezze calzette, che non sanno nemmeno organizzare un congresso, però trovano il tempo per le cenette “garantiste” con Ministri Patibolari e Vostro Onore, potrebbero riscuotersi, e tornare utili.
Non sarà stato tutto; non sarà stato molto; ma sarà stato giusto.