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October 26, 2018
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Quell’orrendo “spettacolo” su Desireè, che attira corvi e sciacalli

Una ragazza di 16 anni stuprata e dograta, viene lasciata morire a Roma dagli assalitori. Dopo gli arresti di immigrati irregolari, si scatena il circo della politica

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Quell’orrendo “spettacolo” su Desireè, che attira corvi e sciacalli

Cittadini manifestano nel quartiere di San Lorenzo, a Roma, dove è stata uccisa Desirée (Immagine da youtube)

Time: 5 mins read

Evidentemente, non è irragionevole, se un quartiere presenta univoci segni di degrado, rilevarlo, e preoccuparsene. Nè retorico dirsi attoniti, di fronte ad una micidiale manifestazione di violenza e di malvagia dissolutezza, come quella che ha travolto l’inerme e giovanissima Desirèe Mariottini. Essendo l’atteggiamento interiore di qualsiasi persona assennata, e moralmente autentica.

Ma l’orientamento di una società, sappiamo, nel corso del tempo non è mai dipeso solo da giudizi assennati e da sentimenti leali. E’ spesso deciso da parole, da valutazioni, da calcoli, non sempre veicoli di un giudizio assennato o di un sentimento leale.

L’orientamento di una società, indotto e sorvegliato da parole cariche di interessata suggestione, si può tradurre in decisione politica. E la decisione della Pòlis è tutto.

Quali parole, si sono levate a volteggiare sulle spoglie della povera Desirèè?

Consideriamo tre dichiarazioni: del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, del Sindaco di Roma, Virginia Raggi, del Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Tutte consegnate a Twitter. 

Dico subito che qui non si propone filologia a buon mercato; ma solo un tentativo di analisi, sul presupposto che ogni parola rechi o un pensiero, se è stata ben meditata; o un abitudine o “abito” mentale, se fluisce spontaneamente. In entrambi i casi, le parole ci danno informazioni significative.

Subito si può rilevare come le tre dichiarazioni abbiano in comune una parola: “Grazie”. Ma solo Salvini la scrive tutta in maiuscolo. A chi si rivolgono?

Cominciano a distinguersi. Salvini “alle Forze dell’Ordine”, in maiuscolo; Raggi “alla Procura e alle forze dell’ordine”, queste ultime in minuscolo, e la prima in maiuscolo; Zingaretti “alle forze di Polizia”, il generale in minuscolo, il particolare in maiuscolo.

Desirèe Mariottini

Perché, si dicono grati? Per “il fermo di due persone”, Raggi; “di due presunti responsabili”, Zingaretti; di “due immigrati clandestini”, Salvini. Per ora, fermiamoci qui.

Nessuna di queste parole è sincera. Ciascuna è strumentale ad un interesse, che riduce l’efferato omicidio della ragazza a strumento di propaganda. Perciò, sono parole ciniche, e moralmente indifferenti. Tuttavia, con alcune, non trascurabili, varianti e distinti gradi di manipolazione.

Ciascuno di costoro, se si fosse limitato a scrivere “Grazie”, semplice e diretto, avrebbe idealmente espresso l’assennatezza e la lealtà cui accennavamo all’inizio; al turbamento e alla ferita, avvertiti da ciascuno, di fronte ad un possibile sbocco di verità, succede un pur doloroso lenimento: come quello che la conoscenza sempre permette. E supponendo, si capisce, di poter dare per certe, prove e colpevolezza, già a 48 ore dal fatto. Ma solo Zingaretti, pare rammentare, apparentemente, tale buona e consacrata regola di prudenza: “presunti responsabili”.

Invece, essi hanno ritenuto di selezionare i destinatari della loro gratitudine. Secondo una “linea” di carattere partitico e politicista.

“La Procura e le forze dell’ordine”, per la Raggi, sono un ammiccamento al “giudiziario”, inteso unicamente come propulsore di punizione e non di giudizio; cioè, alla “causa prima” del M5S.

Su un piano analogo, “Le Forze dell’Ordine” di Salvini: ma, escludendo la Procura, il Ministro dell’Interno, “messaggia” la sua distanza da quello stesso “giudiziario”, che pur dovrebbe essere ai suoi occhi meritevole: giacché le indagini, nel corso delle quali agiscono “Le Forze dell’Ordine”, non esistono senza il presidio del Pubblico Ministero; ma egli è invischiato nella vicenda “Diciotti”, è stato costretto a pagare i 49 milioni dei finanziamenti pubblici indebiti (sia pure in rate cinquantennali); perciò, anch’egli impropriamente delimita, anche di più.

Zingaretti, si riferisce alla sola Polizia, replicando e precisando la stessa esclusione di Salvini. Forse una mera disattenzione; o forse no.

Ma le “Forze dell’Ordine” di Salvini, se comprendono la “Polizia” di Zingaretti, non si esauriscono in essa: includono la Guardia di Finanza e i Carabinieri. Salvini rimanda alla sua “difesa” della Benemerita, nella sua polemica con Ilaria Cucchi. Lo fa con scoperta tendenziosità: e, infatti, chi pone in questione l’Arma, in quanto tale? Salvini sembra l’ANM, quando strepita ad ogni critica verso un qualsiasi magistrato.

Anche solo fin qui, lo strazio alto e tragico di Desireè risulta ridotto a fare da quinta: in uno spettacolo abbastanza miserabile, a dire il vero.

Non basta, però: dobbiamo ancora un pò proseguire.

Tutti e tre, sebbene non sia nella loro possibilità, nè nei loro doveri, ci tengono a porsi senz’altro quali garanti di una punizione. 

“Chi ha fatto questo pagherà”, Raggi: che aveva comunque acquisito la corrispondenza certa fra “fermati” e colpevoli; allo stesso modo di Salvini, col suo “paghino fino in fondo”; ma pure Zingaretti, scrivendo dopo “presunti responsabili”, “ora giustizia e pene che meritano”, pone nel nulla quel suo timido accenno di civiltà; il suo “che”, pronome relativo, è riferito ai “presunti responsabili”, i quali, se già “meritano” “pene”, ovviamente, non sono più “presunti”; ecco perché, prima, ho scritto “apparentemente”.

Sia Raggi che Zingaretti, rappresentano il massimo grado di Amministrazione territoriale, ciascuno per la sua competenza urbanistica ed edilizia. Però, tale è la coatta mimica della “denuncia” come instrumentum regni, che pare esservi unicamente l’urgenza dell’accusare: comunque, purchessia. Tanto che, a chi è Sindaco di Roma da oltre due anni, Presidente di Regione Lazio da cinque e mezzo, verrebbe da chiedere: vi state per caso accusando da soli? 

Ma c’è un gran finale, nel quale, se Raggi finisce con lo svanire nell’ombra della sua stessa inconsistenza; se Zingaretti balbetta e arranca verso una ottuso e gregario inseguimento impressionistico, è Salvini a rimanere, e ad espadersi, sulla scena.

Scrivere “immigrati irregolari”, s’intende, non è una qualificazione neutra.

“Persone”, lo è. “Presunti responsabili”, lo è (lo sarebbe). “Immigrati clandestini”, sciorinato sul cadavere di Desireè, è il gracchiare sinistro del corvo; l’ululo famelico dello sciacallo, che già pregustano il loro immondo banchetto.

Secoli di guerre di religione (non) hanno insegnato che attribuire un carattere generale, a partire da una condotta particolare, e spiegare questa come fosse espressione di quello, pone nel nulla ogni criterio di distinzione.

Nega il giudizio, prepara l’ordalìa.

Da “due immigrati clandestini fermati”, a “immigrati clandestini”, a “immigrati”, a “colpevoli”, il passaggio mentale è istantaneo. Con avvelenamenti subliminali analoghi a quelli che conducono da “siciliano” a “mafioso”; o da “napoletano” a camorrista”; e da calabrese a “’ndranghetista”. Specie se i”colpevoli”, sono sin d’ora presentati come “vermi”.

Attributo, quest’ultimo, che coniugato a simile costruzione, e sulla bocca/tastiera di un Ministro, equivale ad un annuncio di venture vendette, a soffiare sul fuoco perchè divampi.

Ma tutto questo, con Desireè, che c’entra? Niente: assolutamente niente.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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