Giovedì, il Presidente Mattarella ha tenuto un discorso di commemorazione, per il centenario della nascita di un suo famoso predecessore nella carica: Oscar Luigi Scalfaro.
Se ne è generalmente tratta una proposizione-sintesi: “…nel nostro ordinamento non esistono giudici elettivi. I nostri magistrati traggono legittimazione e autorevolezza dal ruolo che loro affida la Costituzione.”. E la si è interpretata come richiamo, istituzionalmente energico, al Ministro Salvini.
Il quale, si ricorderà, ricevuta la notificazione della informazione di garanzia per l’indagine su sequestro di persona e altro, nata dalla vicenda della nave “Diciotti”, aveva dichiarato: “Questo ministro è stato eletto da voi, loro non sono eletti da nessuno e non devono rispondere a nessuno” .
E, a fugare ogni residuo dubbio che Mattarella a lui si riferisse, lo stesso Salvini, ieri, con un tweet, ha precisato: “Il presidente Mattarella oggi ha ricordato che nessuno è al di sopra della legge, ha ragione. Per questo io, rispettando la legge, la Costituzione e l’impegno preso con gli italiani ho chiuso e chiuderò i porti a scafisti e trafficanti di esseri umani. Indagatemi e processatemi, io vado avanti”.

Sicché, posta la questione in questi termini, il rilievo del Presidente non avrebbe fatto che richiamare, peraltro encomiabilmente, l’ABC della Costituzione.
Tuttavia, Mattarella non è un uomo politico ignaro di come, nell’Italia repubblicana, dove lui e noi abbiamo vissuto e viviamo, il semplice, spesso sia solo varco per il complesso; ed è uno studioso della Costituzione, oltre che ex giudice costituzionale.
Perciò, quando parla del suo, seguiamolo con la dovuta attenzione.
C’era la superficie: Salvini; e c’è il profondo: i rapporti fra i Poteri dello Stato. Sull’una, quello è stato il rilievo. Ma è sul profondo che occorre soffermarsi. Perché così porge il Presidente.
Egli, infatti, prima di affermare che “non esistono giudici elettivi”, così ribadendo che quelle parole del Ministro erano fuori della Costituzione, aveva però opportunamente ricordato come, alla Costituente, questa fosse stata precisamente la volontà politica espressa “da parte comunista”. E, come contro di essa, Scalfaro si fosse opposto “insieme, fra gli altri, a Calamandrei e a Leone”.
Ancora meglio, Mattarella, a proposito della posizione comunista, parla di “tendenza”: quanto a dire, di un proponimento, che se non potè essere conseguito espressamente, e subito, poteva però essere perseguito negli anni, e magari per vie implicite: considerate talune, note, attitudini alla mobilitazione popolare, alla “piazza”.
Se avesse voluto, avrebbe evitato quel riferimento, così eloquente, così preciso. Non ha invece voluto; pertanto, mentre confermava che i giudici nella Repubblica non sono eletti, ci ha ricordato chi li voleva eleggere: ben prima che Salvini nascesse.
E già così, il discorso si complica. E sembra chiedere: fin dove, quel suo costume illegalistico e tribunizio, affonda le radici? Di chi è figlio, Salvini, alla luce della storia repubblicana?
I cultori della superficie, rispondono in coro: “di Berlusconi”. E fra costoro, magari, con non minima ingenuità, stanno anche molti di quanti ritengono, così, senza troppa fatica, di potersi validamente opporre alla presente, pericolosa, china illiberale, di cui Salvini è eminente espressione.
E dovrebbe indurre più di una cautela questa suggestione: giacché è la stessa risposta dei sostenitori di Salvini, e, persino, dell’ormai cronicamente corrivo Berlusconi: ““Esprimo la mia vicinanza a Matteo Salvini la cui assurda ed inconsistente vicenda giudiziaria…”.
Naturalmente, l’improprietà non risiede nell’opinione politica espressa da Berlusconi sul merito dell’indagine: che sia complicatissima è stato affermato anche da osservatori terzi, il più noto dei quali è l’ex magistrato Nordio.
L’improprietà risiede nell’avere simbolicamente consegnato a Salvini, tutt’intera, la sua personale “tradizione” di soggetto perseguitato da una “cultura giudiziaria” che, degli “appelli al popolo”, delle “folle oceaniche” (Borrelli), del “sennò la gente s’incazza” (Davigo), ha fatto il suo più pernicioso tratto distintivo.
Ora, questa indagine sulla “Diciotti”, come ho già altrove accennato, probabilmente, è un atto non ben ponderato; ma non nasce “in nome del Popolo”: come quelle altre. Qui, il Tribuno che infrange la Costituzione in nome “del Popolo” è Salvini, e, insieme a lui, il Governo Lega-5S, col suo quotidiano alternarsi di “poliziotto buono/poliziotto cattivo”.
E gli “appelli al popolo” sono sempre distruttivi: sia volendo usare “Il Popolo” come ariete contro “La Legge” (i “Magistrati Rivoluzionari”), sia volendo usare “Il Popolo” come scudo verso la “Legge” (Salvini).
Presentare Salvini, mentre invoca il Popolo in funzione contundente, come se i fax di oggi (tweet, “like”) non fossero per lui, dunque, è una menzogna storica. E fa specie che se ne sia reso autore lo stesso Berlusconi. E’ un diverso modo di rimanere in superficie. Complementare a quello di chi intenderebbe opporsi a Salvini, considerandolo “un altro Berlusconi”.
Sentiamo ancora Mattarella. Di Scalfaro, ricorda un’altra proposizione: nessuno è sottratto alla “Legge”, e la “Magistratura non può e non deve fermarsi…. nei confronti di chicchessia”. Anche questo è ABC, come quello con cui aveva contestato, pur senza nominarlo, la pretesa di Salvini, e la sua opposizione Popolo/Legge. Ma, come per quello, anche per questo passaggio del discorso di Mattarella, dobbiamo evitare la sola superficie.
Infatti, subito dopo questo richiamo, elementare e lineare, il Presidente completa la frase di Scalfaro: “…ma non si deve neppure dare l’impressione che in questa opera vi possa essere la contaminazione di una ragion politica”.
E, di nuovo, non era necessario, se l’intento era di ripristinare un minimo di cognizione elementare sull’Ordine della Costituzione. Invece, scandisce: “contaminazione di una ragion politica”. Le parole “Contaminazione”, e “una”, rilanciate da un’allocuzione di un Capo dello Stato a quella di un altro, non sono appendici verbali, frutto dell’inerzia.
Sono, nel contesto storico-politico deliberatamente rammentato prima, la chiave; sono il profondo rispetto alla superficie.
Ricomponiamo il quadro.
Mattarella non ha dato, come da proverbio, “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Ha detto che la Costituzione è figlia di un impianto culturale e storico.
Che questo impianto, cristallizzato nella Costituente, parole sue, esigeva, ed esige, che “I poteri dello Stato… non si atteggino ad ambienti rivali e contrapposti ma collaborino lealmente al servizio dell’interesse generale.”.
Che fra i modi attraverso cui questa obliqua ostilità può darsi, c’è la “contaminazione”, della coralità storico-politica della “Legge” con la partigianeria.
Che la ”contaminazione” ha avuto luogo prima. E continua oggi, aggravandosi. Col risultato che questo Governo trae linfa, simultaneamente, non da una, ma da entrambe le due grandi correnti illiberali del corso repubblicano: “fascista” (Popolo-scudo verso “la Legge”), e “comunista” (Popolo-Ariete contro “La Legge”).
Che, alla china illiberale, si deve opporre il “Principio Liberale”, laico e non. Calamandrei, Leone. La Difesa. La Costituzione. Il Diritto Penale.
Strada lunga. Ma l’unica che non sia in discesa verso l’inferno politico.