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March 8, 2018
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Donne leader negli Stati Uniti: quanto tempo ancora per la Casa Bianca?

In quanti sanno che c'erano state già 12 donne candidate alla presidenza degli USA prima del 2016?

Grace Russo BullarobyGrace Russo Bullaro
Leaders in the US:  How Long Before There Is a Woman in the White House?
Time: 5 mins read

Il Regno Unito ha avuto Margaret Thatcher e Theresa May, due Primi Ministri con una grande forza di volontà.  La Germania ha un’altra donna leader formidabile nella figura di Angela Merkel.  Ci sono state donne leader persino nei paesi del cosiddetto “Terzo Mondo”. Ricordiamo per esempio,  il Pakistan e l’India. Eppure, gli Stati Uniti, spesso considerata la nazione più avanzata al mondo, non ha ancora eletto una donna alla presidenza.  E ci chiediamo, perché?

Hillary Clinton non solo si è candidata alla presidenza ma ce l’ha quasi fatta.  Il fatto che abbia raccolto 3 milioni di voti in più rispetto a Trump fa pensare a molti che sia stata lei la vera vincitrice.  Si potrebbe persino affermare che oggi sarebbe presidente se non fosse stato per il sistema antiquato e inefficiente del collegio elettorale. Sì, Hillary è considerata una pioniera, ma non tutti sanno che ci sono state ben 12 donne candidate alla presidenza prima del 2016. E’ dato che stiamo parlando di donne pioniere, allora diamo il giusto riconoscimento anche a Geraldine Ferraro, una delle più rispettate e amate tra le donne leader in politica, la quale nomination per la vicepresidenza nel 1984, cambiò le possibilità in politica per qualsiasi altra donna, accelerando il progresso che sarebbe seguito dopo di lei.

La ex candidata del 1984 alla vicepresidenza degli Stati Uniti  Geraldine Ferraro con l’allora candidata alla presidenza Hillary Clinton

Prima del 1920 le donne non avevano il diritto di voto e quindi, le prime che si sono presentate lo hanno fatto solo per rimostranza e per protestare contro il sistema patriarcale radicato.

Un esperto ha fatto notare che se l’America non ha ancora eletto una donna presidente non è certo per la mancanza di donne che si siano candidate.  Qualcun altro ha invece opinato che la mancanza di una donna presidente negli Stati Uniti sia dovuta al fatto che “solo una donna seriamente intenzionata si sia candidata”.  Quindi se per molti critici troppe donne ci hanno provato e hanno fallito, per altri ci devono provare con maggior impegno e frequenza.  La differenza di opinione dimostra quanto sia difficile capire la ragione per cui non sia ancora accaduto.  Un altro motivo più plausibile è stato suggerito da una ricerca dove è stato riportato che i conservatori e i tradizionalisti sostengono ancora che gli uomini siano dei leader politici migliori rispetto alle donne.  Nonostante sia un pregiudizio chiaramente sessista, solo un terzo dei partecipanti alla ricerca pensa che la disparità sessuale abbia giocato un ruolo nella mancata elezione di Clinton.

In attesa del giorno in cui potremo constatare se  ci sia davvero una differenza tra un governo guidato da una donna o da un uomo, dobbiamo volgere lo sguardo altrove. Cominciamo dal fatto che  l’affermazione che le donne governino in maniera fondamentalmente diversa dagli uomini, evitando di usare la violenza, per esempio, non è corretta.  Volgendo lo sguardo ad alcuni esempi storici, vediamo subito che la Thatcher promise durante la sua campagna elettorale del 1979, come tanti altri politici, di portare armonia, fede e speranza al paese.  Eppure la guerra delle Falkland, che si svolse durante il suo governo, provò  il contrario.  Quando le isole “Malvinas” furono invase dall’Argentina il governo della Thatcher si trovò  umiliato e  attraversò un momento di crisi in cui la sua politica fu considerata debole (forse perché donna?).  La Thatcher, che aveva promesso pace e armonia, invece non esitò a chiedere consiglio ai “falchi” tra le fila del suo governo e si affidò scrupolosamente alle autorità militari sostenendone la decisione di rispondere con le armi.

Indira Gandhi, indubbiamente un modello di ispirazione per le donne che vogliono dimostrare il loro potenziale come leader, iniziò la guerra con il Pakistan per liberare il Bangladesh nel 1971. Inoltre, mentre ricopriva la carica di Primo Ministro, Gandhi rinforzò la difesa nazionale testando la prima bomba nucleare, e come ha affermato un esperto in materia: “Gandhi ha sfatato il mito che le donne non possano essere dei leader bellici competenti o che non sappiano guadagnarsi il rispetto dei generali militari”.

Parliamoci chiaro: qualcuno crede che Hillary Clinton, eletta Presidente, avrebbe portato pace e armonia in America?

A livello sociale sembra esserci un consenso generale: la Thatcher non ha fatto nulla  a favore dei diritti delle donne.  Molti sostengono  che infatti  abbia riportato indietro  di una generazione il femminismo.  Durante gli 11 anni del suo governo ha nominato solo una donna per ricoprire una delle cariche ministeriali. Quelli che, per farci fare una risatina,  commentano che Margaret Thatcher abbia sfondato il soffitto di cristallo per poi tirarsi su la scaletta per impedire alle altre di salire, non hanno torto. E che dire di Theresa May?  Nel 2010 fu nominata Minister for Women and Equality (cioè Ministro delle pari opportunità per le donne), e dunque quando fu eletta Primo Ministro furono riposte in lei molte speranze. Anche in questo caso si crearono tante aspettative, soprattutto dopo che il Ministro May annunciò cambiamenti e iniziative nel campo dei diritti sulla riproduzione e sulle nascite, le violenze domestiche sulle donne, e la discriminazione degli stipendi. Bellissime promesse, ma tutte iniziative che non furono attuate perché non furono perseguite.  Insomma promesse fatte più per forma che per sostanza.

Bene,  il Pakistan e l’India sono stati tra i primi paesi ad eleggere delle donne alla Presidenza, ma ciononostante, sono anche tristemente noti per aver istituzionalizzato la violenza sulle donne.  I matrimoni precoci, le mogli bruciate vive, e la mutilazione dei genitali femminili sono tutte pratiche contro le donne che vengono condonate– o almeno non perseguite secondo le leggi che infatti esistono.  Anche gli incidenti di stupro di gruppo in India hanno fatto capire che l’elezione di una donna presidente non cambierebbe i comportamenti misogini o ultra-tradizionali  né in un prossimo futuro, né in un futuro molto lontano.

Se le donne dovranno usufruire di benefici grazie ad una presidenza al femminile dobbiamo sperare che abbiano effetti duraturi e a lungo termine.  Le ricerche hanno dimostrato che una donna-presidente porterebbe almeno un aumento del numero di donne che si candiderebbero per altre  cariche.  E si potrebbe anche supporre che, a un certo punto,  si arriverebbe ad una massa critica, dando in questo modo l’opportunità alle donne leader di legiferare a favore del loro sesso. Perché è chiaro che non basta una sola donna nella posizione di leader per ottenere dei cambiamenti importanti.  Teniamo presente che ci sono le limitazioni imposte dal sistema esistente.  Prima di tutto sarebbe un individuo incastrato in un sistema patriarcale e si troverebbe ad affrontare tutte le dinamiche del potere, la burocrazia fossilizzata, e pratiche ed istituzioni radicate, senza menzionare i pregiudizi contro le donne.

Andando avanti, molti esperti affermano di non prevedere che il partito Democratico americano candiderà altre donne alle prossime elezioni presidenziali, soprattutto dopo l’amara sconfitta di Hillary Clinton, ma altri pronosticano la possibile partecipazione delle senatrici Kamala Harris, Elizabeth Warren, Amy Klobuchar, Kirsten Gillibrand, o persino l’ambasciatrice all’ONU di Trump Nikki Hailey, alle elezioni del 2020.  Prima o poi l’America avrà una donna alla presidenza, e quando accadrà: le nostre aspettative e le nostre speranze avranno risposta? Ci saranno cambiamenti radicali per i diritti delle donne e di uguaglianza in generale? Alla luce dell’evidenza di oggi credo di poter nutrire gravi dubbi.

Traduzione di Maria Fratianni-Santoro

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Grace Russo Bullaro

Grace Russo Bullaro

Grace Russo Bullaro holds a Ph.D. in Comparative Literature. After teaching for more than 25 years in the English Department at City University of New York (Lehman College) is now Emerita. Her academic interests include political, cultural and intellectual movements, specifically, the interface of politics and the arts. She has written many books and articles on subjects related to those areas.

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