Che la campagna elettorale, in Italia, assomigli un po’ al mercato del pesce non è affatto una novità. È il momento in cui le forze politiche si impegnano, con un ardore ancora più febbrile del solito, a offrire agli italiani tutto quello che potrebbero desiderare: meno tasse, meno immigrati, più lavoro, più sicurezza, più figli, meno o più Europa, a seconda dei gusti, e chi più ne ha più ne metta. È il momento, anche, di maggior sdoganamento della “pancia”, proprio quella a cui mira strategicamente chi dice che gli immigrati mettono a rischio la razza bianca, o chi promette che, quando diventerà premier, ne espellerà mezzo milione. È il momento della grande retorica e dei grandi strafalcioni, sui quali si costruiscono le polemiche all’italiana che tengono banco per qualche giorno, in attesa, poi, di far posto alla successiva. Eppure, a parere di chi scrive, a uno di questi, recenti, “strafalcioni” si è dato ingiustificatamente poco spazio. L’autore, anzi, l’autrice, è una politica di lungo corso e, comunque la si pensi, di alta competenza, che ha costruito la sua carriera sulla difesa dei diritti: parliamo della radicale Emma Bonino.
Bonino che, qualche giorno fa, nel rilasciare un’intervista a Vanity Fair, è inciampata, per così dire, in un’uscita infelice sulla categoria più bistrattata, ignorata e penalizzata di questa e delle precedenti campagne elettorali: i giovani. “Cari ragazzi italiani”, ha esordito la Bonino, “voi non siete stati bravi a nascere in Italia. Non siete stati talentuosi a vivere in una famiglia che vi compra i vestiti e vi manda a scuola. Avete avuto solo fortuna. Il minimo che possiate fare è assumervi qualche responsabilità, compresa quella di votare”. Una frase che – lo ammettiamo – potrebbe pure passare incensurata a una prima lettura superficiale, salvo lasciare, nel lettore, specialmente se appartenente alla sopracitata categoria dei “giovani”, un po’ di amaro in bocca. E costringerlo a rileggere, una seconda volta, per visualizzare quello che stona, ciò che, di quell’appello un po’ retorico, lo turba, lo infastidisce. “Cari ragazzi italiani, voi non siete stati bravi a nascere in Italia. Non siete stati talentuosi a vivere in una famiglia che vi compra i vestiti e vi manda a scuola. Avete avuto solo fortuna. Il minimo che possiate fare è assumervi qualche responsabilità, compresa quella di votare”. Che c’è che non va?
Qualche giornale di destra ha, forse ingenerosamente, avvicinato la frase della Bonino alla retorica umiliante e indegna usata indiscriminatamente contro i giovani negli ultimi anni da illustri politici: dai “bamboccioni” di Padoa-Schioppa, al “choosy” di Elsa Fornero, alle diverse gaffe del ministro Poletti, che, tra le altre cose, confessò di pensare che, in alcuni casi, certi “cervelli” è meglio che siano fuggiti all’estero. In realtà, se si leggono attentamente le parole della Bonino, ci si accorgerà che un accostamento del genere potrebbe apparire addirittura pretestuoso: l’ex ministro degli Esteri non ha infatti detto che i ragazzi italiani non sono bravi e talentuosi in assoluto, ma voleva dire che, come chiunque di noi, non hanno avuto alcun merito nel nascere in Italia, e non in Paesi più poveri e malmessi. Lo si capisce bene se si legge la premessa a quel ragionamento: “Quando ero commissaria europea, ho visitato l’ospedale di Freetown, capitale della Sierra Leone. Nelle corsie non c’era un paziente intero. Avevano tutti un piede, una gamba o un braccio tagliato. Si battevano per le libere elezioni, erano stati mutilati dai movimenti antielettorialisti”. I nostri ragazzi, è il sottinteso, hanno avuto la fortuna di nascere in un Paese mediamente benestante, e in democrazia. E per questo, è la conseguenza tratta, devono avere la responsabilità di esercitare il prezioso diritto di voto avuto in sorte.
Tutto giusto. Se non fosse che la Bonino dimentica che l’Italia, sì, resta uno dei Paesi più ricchi al mondo, ma il tasso di disoccupazione giovanile si attesta da anni intorno al 35%, punto più punto meno. Una percentuale abnorme, per un Paese benestante, industrializzato e “civile” come il nostro. La Bonino dimentica che tanti di quei ragazzi che vivono “in una famiglia che vi compra i vestiti e vi manda a scuola” sono destinati, dopo la scuola, a emigrare in qualche altro Paese più disposto dell’Italia a sviluppare e valorizzare i loro talenti. E soprattutto, la Bonino dimentica di dire che sì, esiste in capo a ogni cittadino la responsabilità di esercitare il proprio diritto di voto, diritto per cui qualcuno, prima di noi, si è battuto e ha versato sangue. Ma esiste una responsabilità parallela, per non dire anche più pressante, della classe politica a proporci, oltre all’indecorosa fiera del “chi offre di più” a cui stiamo assistendo, una visione. Una visione, possibilmente, lungimirante, che si rivolga anche alle giovani generazioni presenti e a quelle future. Una visione che parli ai giovani, oltre che ai pensionati, agli imprenditori, ai banchieri, ai razzisti e a tutte quelle fette di elettorato rappresentatissime negli strepiti dei politici di questi giorni.
Sì, perché – fateci caso – nessuna forza politica, e sottolineiamo nessuna, ha avuto il coraggio di mettere l’accento della propria campagna sui giovani. Forse solo Liberi e Uguali, con la proposta (senza voler entrare nel merito) di Pietro Grasso di abolire le tasse universitarie, ha per qualche ora acceso i riflettori su una categoria altrimenti del tutto bistrattata. Per il resto, i giovani studenti, i giovani lavoratori, i giovani precari e i giovani disoccupati sono rimasti un esercito silenzioso e invisibile nei talk show, sui giornali e nei proclami elettorali. Come avviene, d’altra parte, da decenni a questa parte.
Per carità: non è una scelta incomprensibile, da parte dei politici. L’Italia è un Paese vecchio, i giovani sono pochi, e per vincere bisogna rivolgersi ai tanti. Ma forse c’è anche un’altra spiegazione: i giovani sono disillusi. I giovani sono i più grandi penalizzati dalle politiche economiche degli ultimi decenni, sono coloro che più pagano il prezzo di una classe politica totalmente priva di visione di lungo periodo. I giovani saranno coloro che, in queste elezioni, non voteranno. E qui torniamo alle parole di Emma Bonino.
L’appello al voto, e alla responsabilità del voto, è, in astratto, buono e giusto: anzi, sacrosanto. Ma per votare, ci vogliono proposte votabili. Ci vogliono visioni condivisibili, in cui riconoscersi, a cui dare fiducia. Altrimenti, non sarà un voto coscienzioso, non sarà, come dovrebbe essere, un atto d’amore per il Paese. Per chi dovrebbero votare i giovani italiani, da decenni ignorati e bistrattati dalla politica? Chi parla di loro, in questa campagna elettorale? Chi parla al futuro dell’Italia, e non solamente all’hic et nunc? Chi è disposto a perdere qualche voto da parte dei pensionati, degli imprenditori, dei dipendenti pubblici o chi per essi, per dare speranza a una categoria che, ad oggi, è senza futuro? Questo dovrebbe dire la Bonino, anziché invitare al voto acritico. E mi sia consentita una chiosa rivolta ai giovani, a noi giovani (mi ci metto dentro anch’io, consapevole che non potrò farlo ancora per molto). Di fronte a una politica che chiude gli occhi, è tempo di alzare la testa e la voce. E reclamare il nostro spazio. Uno spazio che ci hanno rosicchiato centimetro per centimetro. Perché poi la realtà è che (una realtà di cui si tiene poco conto, ma, ahinoi, innegabile): se perdiamo noi, perde l’Italia intera.