Domani i siciliani dovranno recarsi alle urne per eleggere il “loro” Parlamento (il nome Assemblea Regionale probabilmente fu introdotto per evitare confusione tra l’organo rappresentativo locale e quello nazionale). La campagna elettorale cui hanno dato vita i partiti appare ogni volta di più scarna di contenuti e limitata a beghe e insulti tra una fazione e l’altra e tra i media e i movimenti politici in corsa.
Già perché, come ormai consueto, i Partiti (quelli con la P maiuscola) sembrano pesare sempre di meno (in barba al tanto osannato bipolarismo di stampo anglosassone). A contare sono decine di piccoli gruppi politici che si creano e si alleano tra loro, o si accodano a questo o quel partito più grande, nella speranza di ottenere un posto tra gli “eletti”. E poi scompaiono.
Una lotta sempre più dura i cui contorni sono sempre meno chiari agli elettori dato che manca qualsiasi riferimento a ideali e ideologie politiche: sono finiti i tempi in cui a contare non era la persona ma il Partito, quando chi voleva essere iscritto (prima di tutto) e eletto (poi) doveva condividere in pieno le linee guida del partito. Ora è esattamente il contrario: sono i partiti che corrono dietro a candidati spesso famosi nella speranza (molte volte vana) di racimolare più voti di lista.
Per questo il confronto tra i candidati quasi non esiste. Si sente parlare pochissimo di programmi elettorali. Quelli dei capofila sono spesso fatti di promesse generiche e poco dettagliate, pieni di parole di rito (come “miglioramento”, “ripresa”, “ricrescita”, “sviluppo”, energia “green”, “crescita dell’occupazione”…e molte altre). Ad interessare i candidati sembrano essere più le tappe per tenere i discorsi in vista delle elezioni che i temi da trattare. Ma anche questo tipo di contatto con l’elettorato sta venendo meno, sostituito dal più efficace e meno costoso marketing multimediale sui social network (alzi la mano chi, residente in Sicilia, non abbia ricevuto almeno una mezza dozzina di inviti a votare questo o quel candidato sui social network o via mail o via sms) e sulle decine e decine di televisioni private.

Un modo di fare politica che ha fatto dimenticare una ricorrenza importante: settant’anni fa, nel 1947 (il 20 Aprile), in Sicilia si svolsero le prime elezioni regionali. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, questo territorio, martoriato da monarchie e governi che avevano cercato in ogni modo di distruggere non solo l’economia dell’isola, ma anche la sua cultura e il suo immenso patrimonio storico, fu costretto ad affrontare un cambiamento radicale: ricostruire, riorganizzare e gestire circa quattrocento comuni. Dopo il 1945 erano sorti nuovi partiti e movimenti politici che, in poche settimane (e senza i mezzi mediatici oggi disponibili), avevano raccolto centinaia di migliaia di sostenitori. Basti pensare che solo il MIS (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia) di Finocchiaro Aprile, arrivò a contare circa un milione di iscritti in pochi mesi. Fece capolino anche la mafia che cercò di recuperare gli spazi perduti.
Fu in questo clima che nacque lo Statuto Speciale per la Sicilia. Grazie alla collaborazione di grandi Legislatori (ancora una volta la L maiuscola non è una svista), la Consulta Regionale lo scrisse in tempo record. Nel 1946, il documento finale venne presentato al Governo De Gasperi e approvato da re Umberto II. E un anno dopo, il 20 Aprile 1947 si svolsero le prime elezioni regionali siciliane. Un momento storico e inaspettato: il popolo votò a favore della sinistra (che ottenne il 30,4% contro il 20% della Democrazia Cristiana).
Solo pochi giorni dopo, le elezioni furono macchiate di sangue: il primo maggio, duemila lavoratori si riunirono in località Portella della Ginestra, nella vallata circoscritta dai monti Kumeta e Maja e Pelavet tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, per manifestare contro il latifondismo. Su di loro vennero sparate numerose raffiche di mitra. Un dramma interminabile (circa un quarto d’ora) che alla fine lasciò per terra undici morti (otto adulti e tre bambini) e una trentina di feriti. Seguirono altri attentati contro le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello tutti firmati dai volantini che incitavano la popolazione a ribellarsi al comunismo. Documenti firmati da Salvatore Giuliano, ex colonnello dell’E.V.I.S., l’Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia (una formazione paramilitare clandestina, creata da Antonio Canepa nel 1945 che secondo alcuni era il braccio armato del Movimento Indipendentista Siciliano che però, non lo riconobbe mai pubblicamente). Nel 1946, ovvero quando venne concessa l’autonomia speciale alla Sicilia, i gruppi evisti furono sciolti e si decise una amnistia generale. Solo Giuliano rifiutò di deporre le armi e continuò a combattere sia contro le forze dell’ordine che contro cittadini inermi. Giuliano morì nel 1950 per mano del bandito Gaspare Pisciotta. Fu proprio lui a dichiarare che Giuliano aveva avuto diversi incontri con alcuni deputati come Giovanni Alliata Di Montereale, Tommaso Leone Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso, con i quali aveva pianificato la strage di Portella della Ginestra (accuse dichiarate, però, infondate dalla Corte d’Assise di Viterbo, dove era stato spostato il processo).

Sui mandanti della strage di portella della Ginestra esistono ancora molti dubbi: alcuni affermarono che i veri mandanti erano i grandi proprietari terrieri e i mafiosi. Altri storici, come Giuseppe Casarrubea e Nicola Tranfaglia, sostengono, invece, che dietro la strage di Portella della Ginestra ci fossero addirittura i servizi segreti USA: preoccupati dell’avanzata social-comunista nel Sud del paese avrebbero armato gli attentatori con dei lanciagranate in dotazione alla Xª Flottiglia MAS (ipotesi, questa, contestata dagli storici Francesco Petrotta e Francesco Renda).
Fu questo il clima nel quale nacque l’autonomia della Sicilia. Un clima caldo più simile agli scontri delle scorse settimane in Catalogna che alle passeggiate dei movimenti indipendentistici siciliani dei mesi scorsi (poche centinaia di persone su una popolazione di oltre cinquemilioni di abitanti).
Sono passati settant’anni da quelle elezioni e dagli eventi che seguirono. Alcune cose sono radicalmente cambiate. Altre invece sono rimaste uguali. A cominciare dal fatto che nessun partito in Sicilia è in grado di ottenere una maggioranza solida. Ciò significa che, per governare, sono necessari compromessi che spesso pongono i partiti che hanno ottenuto la maggioranza dei voti sotto la minaccia dei partiti di minoranza. Oggi come oltre mezzo secolo fa, l’autonomismo e l’indipendentismo sono solo delle mere chimere: anche le legislature regionali in cui a governare sono andati partiti dal nome inneggiante all’autonomismo (come l’MPA di Lombardo), non hanno mai ottenuto realmente il rispetto dello Statuto regionale. Non dai siciliani, ma dai governi nazionali. Una legge tanto importante e antica da essere allegata e inserita nella Costituzione Italiana (che è stata approvata dopo). E negli anni, la situazione si è aggravata al punto che nessun partito o gruppo politico (tranne pochissime eccezioni) ha osato inserirla nel proprio programma elettorale il vista delle elezioni regionali del 5 novembre prossimo.

La parola Autonomia, invece, è fondamentale: è la dimostrazione reale del fatto che la Sicilia è da sempre crogiuolo di idee ed esperimenti sociopolitici e finanziari (a dispetto di quanti l’hanno sempre presentata come una regione arretrata). L’autonomia che alcune regioni italiane oggi rivendicano, in Sicilia esiste da oltre settant’anni e se i siciliani non sono mai riusciti a trarne i benefici previsti è colpa di generazioni di politici incapaci di far valere i diritti dell’Isola in Parlamento (ad esempio, pochi sanno che ai sensi del decreto delegato n. 35/2004, “Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Siciliana relative alla partecipazione del Presidente della Regione alle riunioni del Consiglio dei Ministri”, il Presidente della Regione Sicilia ha “il diritto di partecipare alle sedute del Consiglio dei ministri in cui si trattano questioni riguardanti interessi dell’Isola, con diritto di voto deliberativo e rango di ministro”). Invece, spesso la Regione Sicilia è stata accusata di sperperare i soldi dei cittadini con le spese per la doppia gestione.
Ora che in molte regioni italiane si parla di autonomia, in Sicilia si parla di “indipendenza”. Sono molti i candidati alle elezioni a rivendicare questo diritto. Grida che, però, hanno poco seguito (spesso anche per la scarsa conoscenza della materia). Anche sotto il profilo finanziario, storicamente, alla Sicilia è stato riservato un trattamento diverso rispetto a quello adottato oggi in altre parti d’Italia: un esempio, è quanto è avvenuto alla maggiore banca regionale (cui erano legate molte amministrazioni pubbliche e private siciliane) che nei decenni passati ha subito un trattamento ben diverso da quello riservato oggi ad altre banche del nord d’Italia (con BadBank, fondo Atlante e molti altri aiuti).
E poi la valorizzazione delle risorse locali: i prodotti agroalimentari venduti nei centri della GDO (in base ad una legge del 2005) dovrebbero provenire in percentuale “congrua” da produzioni locali.
Ma nessun candidato ne parla. Così come pochissimi hanno osato parlato dei diritti fiscali previsti degli artt. 36 e 37 dello Statuto della Regione Sicilia (cui il precedente governo regionale ha già dato una pesante mazzata).

Nei giorni scorsi nessun candidato, nemmeno quelli facenti parte dei gruppi più indipendentisti, ha sottolineato davanti ai propri potenziali elettori, qual è l’importanza del “Siciliano”: una lingua (solo da poco declassata a dialetto) che secondo una legge in vigore da anni, dovrebbe essere insegnata in tutte le scuole della regione. (L.R. 31 maggio 2011, n. 9 – G.U.R.S. 3 giugno 2011, n. 24). Tutti temi che, se solo avessero voluto, i candidati alle prossime elezioni avrebbero potuto inserire nei propri programmi elettorali. Ma di cui nessun aspirante al titolo di “onorevole” ha parlato.
In realtà, come si è visto negli ultimi confronti elettorali, i leader delle diverse coalizioni in corsa per il governo della Sicilia hanno parlato molto poco di programmi chiari e ben definiti. Anche le (poche) iniziative proposte, ad una analisi più approfondita, appaiono irrealizzabili, almeno nel breve/medio periodo. Diversi, ad esempio, hanno parlato di nuovo del ponte sullo Stretto di Messina (se ne era parlato anche in occasione delle elezioni del 2016, ma poi gli eletti se ne sono dimenticati). Ebbene, chi ne ha parlato sembra non sapere che esistono difficoltà tecniche, ma soprattutto finanziare per la realizzazione dell’opera (anche i potenziali finanziatori cinesi sono fuggiti, dopo aver fatto bene i conti). Del resto che importanza ha avere il ponte sullo Stretto quando per andare da una parte all’altra della Sicilia sia in macchina che in treno ci vuole lo stesso tempo che a nord serve per attraversare mezza Europa?
Tutto un altro mondo rispetto alle elezioni del 1947. Allora chi scendeva in campo lo faceva con ben altro spirito. Anche quelli “sostenuti” dai partiti del Nord erano soggetti che uscivano dalla Guerra, legati alla propria terra e ai propri ideali, pronti a mettersi in gioco per la Sicilia. Uno spirito molto diverso da quello di molti dei politici di professione che nelle scorse settimane, hanno preferito concentrare la propria campagna elettorale su attacchi agli avversari o, al massimo, in promesse destinate a racimolare qualche decina di voti in più. Oggi le elezioni regionali sembrano una corsa ad ostacoli per andare ad occupare un seggio: dalle tante, troppe candidature e liste escluse alla polemica sui candidati “incandidabili” per finire ai cambi di casacca dell’ultimo momento (poco ideologici e molto strumentali). Tutto farcito da una dose abbondante di pettegolezzi destinato ad un solo scopo: riuscire a portare voti a questo o quel personaggio. Voti che da quest’anno sono ancora più importanti dato che il numero di rappresentanti da eleggere all’Assemblea Siciliana saranno 70 invece che 90. Una decisione giustificata ufficialmente con la necessità di ridurre le spese (che hanno raggiunto cifre spropositate è vero, ma per altri motivi), ma che in realtà servirà a rendere più semplice “gestire” politicamente la Sicilia.

Tutto questo nella più totale indifferenza di alcuni partiti: nonostante la campagna elettorale in corso, Renzi ha rinunciato a passare lo Stretto col suo treno. Un grave errore, secondo molti, specie considerando che la sinistra è stata al governo della Regione nell’ultima legislatura e che il suo partito, che in Italia vanta la maggioranza (se non assoluta, di coalizione), si sta presentando spaccato alle regionali. Anche a destra non mancano i problemi: Nello Musumeci, grande sconfitto delle ultime regionali, è favorito nonostante i problemi con la giustizia di un candidato in una delle liste della sua coalizione. Quanto al terzo attore principale, il M5S, ha fatto parlare già prima delle elezioni con le “regionarie”, l’elezione interna con cui si doveva scegliere il candidato di partito alla presidenza alla Regione Sicilia. Ebbene la decisione è stata impugnata da uno degli esclusi che ha fatto ricorso alla magistratura ritenendo di essere stato oggetto di un comportamento scorretto. Un problema non secondario dato che stando ai sondaggi unico vero concorrente del centrodestra di Musumeci sarebbe proprio il M5S.
Ma forse la differenza più rilevante tra le elezioni del 1947 e le prossime elezioni è un’altra: nel dopoguerra, in Sicilia, andarono a votare quasi l’80% degli elettori (il 79,8). Alla consultazione successiva, nel 1951, gli elettori furono quasi l’82% del totale. Percentuali mai più viste in tempi recenti: nel 2001, i votanti furono 2.701.093 (pari al 59,16 % del totale). Nel 2006, furono 2.701.093 (59,16 %). Nel 2008, gli elettori che si recarono alle urne furono un po’ di più, il 66% del totale. Ma nel 2012, gli elettori tornarono ad essere solo 2.203.885, pari al 47,42% degli aventi diritto. Meno di uno su due. Un vero e proprio record. Non sorprende che un recente sondaggio condotto dall’Istituto Demopolis ha rilevato che 26 siciliani su cento non sono al corrente del valore e dei meccanismi delle elezioni.
Un campanello d’allarme che dimostra come, negli ultimi anni, ad essere cambiato è soprattutto il modo in cui i siciliani partecipano alle scelte politiche che riguardano la loro isola. Sempre secondo Demopolis, la fiducia dei siciliani nell’istituzione “Regione” non va oltre il 12%. Se queste previsioni verranno confermate dalle elezioni del 5 novembre, vorrà dire che ad essere sconfitto non è questo o quel partito o raggruppamento: ad essere sconfitta sarà, prima di tutto, la Sicilia.
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