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October 25, 2017
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Giusto il capo d’accusa contro Trump, ma poi Flake resta fake

Il discorso del senatore dell'Arizona indica i sintomi del male ma resta latitante sulla cura

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Giusto il capo d’accusa contro Trump, ma poi Flake resta fake

Il senatore repubblicano dell'Arizona Jeff Flake durante il suo discorso in Senato

Time: 8 mins read

Il discorso pronunciato martedì in Senato da Jeff Flake, senatore repubblicano dell’Arizona, potrebbe diventare uno di quegli storici interventi i cui passaggi verranno citati da generazioni di americani quando studieranno ascesa, declino e caduta della presidenza di Donald Trump. Le parole del senatore Flake, oltre all’eloquenza, hanno colpito per la loro diagnosi sullo stato degradante del governo e della democrazia negli Stati Uniti.

Peccato, bisogna purtroppo ammetterlo, che Flake questo discorso lo abbia fatto soltanto dopo aver preso la decisione di rinunciare alla sua ricandidatura per le elezioni del 2018. Flake, insomma, ha detto esattamente come la pensava soltanto quando ha deciso di uscire dall’arena della politica e anche questo dice tutto sullo stato della democrazia in America.

Per la verità, Flake c’era andato già pesante contro Trump e il suo movimento politico nel pubblicare un libro, usandolo come sondatore elettorale nel suo Stato se si fosse candidato con un’agenda politica anti Casa Bianca, opponendogli i cosiddetti “valori” tradizionali del Gop (libero mercato, pro immigrazione, anti risentimento di classe). A quanto sembra, i poll gli hanno fatto capire che avrebbe avuto pochissime chance e che il candidato alle primarie repubblicane, appoggiato da Steve Bannon, lo avrebbe probabilmente spodestato. Quindi Flake ha pronunciato al Senato questo discorso in cui dice tantissime cose giuste, vere, ma che hanno disperso, almeno per chi scrive, quella forza morale proprio per la resa sulla candidatura.

Di Flake non ci interessano le idee “tradizionali del Gop”, quelle dello spinto neo-liberismo dove il grande business dovrebbe essere lasciato libero di agire e tutto si aggiusta. Anzi, pensiamo che queste idee non siano solo sbagliate, ma che non siano nemmeno alle origini del partito di Lincoln, ma soltanto di quello trasformato oltre cento anni dopo da Reagan. Al contrario, il “terremoto Trump” non dovrebbe portare alla sveglia solo i democratici, ma anche i repubblicani che si definiscono “tradizionali”, per farli  tornare alle origini della politica in America, che seppur sostenendo l’economia di mercato come bastione del benessere e del progresso, dovrebbero tornare a riconoscere al potere esecutivo e legislativo quel ruolo fondamentale di garante dei diritti fondamentali di cittadinanza: che sono certo la difesa e sicurezza del cittadino, ma anche sanità e istruzione garantita a tutti. E quindi al governo anche la funzione di arbitro, controllore ed equo distributore delle risorse per non lasciare nessuno abbandonato alle ripercussioni amorali dell’economia di mercato. Il diritto alla “Pursue of Happiness” si garantisce attraverso il dovere dello Stato Federale di mettere in condizione gli americani, tutti, di essere nelle condizioni di salute e preparazione, per poterlo fare anche aiutando gli altri.

Ma quello che ci interessa del discorso di Flake è l’analisi di come la maggioranza repubblicana del Congresso faccia finta di non vedere la gravità dei pericoli che il proseguimento della Presidenza Trump porterebbero alla democrazia americana.

“Non dovremmo mai accettare, docilmente, la scissione quotidiana del nostro Paese –  gli attacchi personali, le minacce contro i principi, le libertà e le istituzioni; la palese indifferenza verso al verità o la decenza, le spericolate provocazioni, più spesso per i motivi peggiori o personali… E quando un comportamento così arriva dal vertice del Governo, c’è qualcosa in più: è pericoloso per la democrazia”.

Flake non ha mai pronunciato il nome di Trump al Senato (male). Quando nel suo discorso Flake dice che “ci sono tempi in cui bisogna rischiare la propria carriera in favore dei nostri principi”, si mette anche in contraddizione. Ritirandosi dalla politica, ovviamente, il senatore non rischia più nulla nell’attaccare il suo partito per come si è inginocchiato a Trump. Ma se Flake non ci sembra quindi affatto un “cuor di leone”, come descrive lo stato del governo degli Stati Uniti, ci appare vicino finalmente alla verità.

“…Mi alzo, oggi, senza alcuna misura di rimpianto. Rimpianto, per lo stato della nostra disunione, rimpianto per lo sfacelo e la distruttività della nostra politica, rimpianto per l’indecenza dei nostri discorsi, rimpianto per la rozzezza della nostra leadership, rimpianto per il compromesso della nostra autorità morale e, soprattutto, della nostra complicità in questo allarmante e pericoloso stato delle cose. È venuto il momento, per la nostra complicità e per la nostra accettazione dell’inaccettabile, di finirla.

In questo secolo, una nuova espressione è entrata nel linguaggio per descrivere l’accordo di un nuovo e indesiderabile ordine: la frase è diventata “il nuovo normale”. Ma non dobbiamo mai adattarci alla grossolanità del nostro dialogo nazionale, dai toni alti.

Non dovremmo mai guardare come a qualcosa di “normale” il regolare e casuale indebolimento delle nostre norme democratiche e dei nostri ideali. Non dovremmo mai accettare, docilmente, la scissione quotidiana del nostro Paese – gli attacchi personali, le minacce contro i principi, le libertà e le istituzioni; la palese indifferenza verso la verità o la decenza, le spericolate provocazioni, più spesso per i motivi peggiori o personali, ragioni che non hanno nulla a che fare con le sorti delle persone che ci hanno eletti per servirle”.

Continuiamo ancora a seguirlo Flake, nella sua descrizione dello stato del governo americano:

“Nessuna di queste spaventose peculiarità della nostra politica attuale dovrebbe essere considerata come normale. Non dovremmo mai permettere a noi stessi di scomparire in un pensiero che è solo il modo di come vanno le cose adesso. Se solo diventassimo abituati a questa condizione, pensando che è soltanto la politica come sempre, che il Cielo ci aiuti. Senza paura delle conseguenze e senza la considerazione delle regole di cosa sia la politica sicura e accettabile, dovremmo smettere di far finta che il degrado della nostra politica e la condotti di alcuni del nostro ramo esecutivo siano normali. Non sono normali.

Il comportamento spericolato, scandaloso e senza dignità è stato scusato e concepito come “dicendolo come se fosse”, quando è in realtà solo sconsiderato, scandaloso e senza dignità.

E quando un comportamento così giunge dal vertice del nostro Governo, si tratta di qualcosa di diverso: è pericoloso per la democrazia. Tale comportamento non proietta forza, perché la nostra forza arriva dai nostri valori. Proietta, invece, una corruzione dello spirito e della debolezza”.

Flake ha auspicato che il Congresso si riprenda le funzioni date alla democrazia descritta da James Madison, quella dove regna “la separazione dei poteri”. Dove appunto all’ambizione di uno viene contrapposta l’ambizione dell’altro. Ma, avverte il senatore dell’Arizona:

“Ma cosa succede se l’ambizione non riesce a contrastare l’ambizione? Cosa succede se la stabilità non riesce ad affermarsi contro il caos e l’instabilità? Se la decenza non riesce a sfidare l’indecenza? Se la scarpa fosse all’altro piede, dovremmo, noi Repubblicani, accettare docilmente un comportamento simile, mostrato dai Democratici in maggioranza? Certamente no e sbaglieremmo se lo facessimo.

Quando rimaniamo in silenzio e non agiamo, quando sappiamo che quel silenzio e l’inazione sono la cosa sbagliata da fare, a causa delle considerazioni politiche, perché potremmo farci dei nemici, perché potremmo alienare la base, perché potremmo provare una sfida alle primarie, il perché all’infinito e alla nausea, quando cediamo a queste considerazioni, nonostante ciò che dovrebbero essere considerazioni e imperativi maggiori in difesa delle istituzioni della nostra libertà, allora disonoriamo i nostri principi e rifiutiamo i nostri obblighi. Queste cose sono molto più importanti della politica.

Ora, sono consapevole che persone politicamente più esperte di me saranno caute con questo discorso. Sono consapevole che un segmento del mio partito crede che nulla, a prescindere dalla fedeltà completa e indiscussa di un presidente che appartiene al mio partito, sia inaccettabile e sospetto.

Se sono stato critico, non è perché mi piaccia criticare il comportamento del Presidente degli Stati Uniti. Se sono stato critico è perché penso che sia un mio obbligo farlo, per una questione di dovere e di coscienza. Il concetto che uno dovrebbe stare in silenzio come norme e valori che mantengono l’America forte sono indeboliti e come le alleanze e gli accordi che assicurano stabilità all’intero mondo sono quotidianamente minacciati dal livello di pensiero che sta in 140 caratteri- il concetto che uno non dovrebbe dire e fare niente di fronte a un comportamento volubile è profondamente fuorviato”.

Ed ecco che Flake, per scuotere i senatori del suo stesso partito a confrontarsi in maniera critica con Trump, prende le parole di un presidente del partito opposto, Franklyn Delano Roosevelt, probabilmente con Lincoln, il più grande presidente della storia americana:

“Il Presidente è semplicemente il più importante sopra un largo numero di dipendenti pubblici. Dovrebbe essere supportato od opposto esattamente al livello giustificato dalla sua buona o cattiva condotta, dalla sua efficienza o dalla sua inefficienza nel rendere leale, capace e disinteressato il servizio alla nazione intera. Inoltre, è assolutamente necessario che si debba avere la totale libertà di dire la verità sulle sue azioni, e questo significa che è necessario incolparlo quando qualcosa è sbagliato e lodarlo quando fa bene. Qualsiasi altro atteggiamento in un cittadino sia fondamentale e servile”. Il Presidente Roosevelt ha continuato. “Per annunciare non ci deve essere critica al Presidente, o che dobbiamo stare dalla parte del presidente, giusto o sbagliato, non è soltanto antipatriottico e abbietto, ma è moralmente sovversivo della società civile americana”.

Flake nota bene che con Trump, sta avvenendo anche la decadenza del ruolo guida degli Stati Uniti nel mondo:

“Le implicazioni di questo abbandono sono profonde. E i beneficiari di questa partenza piuttosto radicale nell’approccio americano al mondo sono i nemici ideologici dei nostri valori. Il dispotismo ama un vuoto. E i nostri alleati adesso stanno guardando altrove per la leadership. Perché lo stanno facendo? Niente di tutto ciò è normale. E che cosa dobbiamo dire noi, come Senatori degli Stati Uniti? I principi che sono alla base della nostra politica, i valori delle nostre fondamenta, sono troppo vitali alla nostra identità e alla nostra sopravvivenza per permettere che siano compromessi dalle richieste della politica. Perché la politica può metterci in silenzio quando dovremmo parlare e il silenzio può essere uguale alla complicità”.

Dopo aver ripreso i valori fondanti della democrazia degli Stati Uniti, Flake verso a fine del suo discorso ha così concluso:

“What is indispensable are the values that they consecrated in Philadelphia and in this place, values which have endured and will endure for so long as men and women wish to remain free. What is indispensable is what we do here in defense of those values. A political career doesn’t mean much if we are complicit in undermining those values”.

“Ciò che indispensabile sono i valori che loro consacrarono a Filadelfia e in questo luogo, valori che sono resistiti e resisteranno fino a quando, uomini e donne, resteranno liberi. Ciò che è indispensabile è ciò che noi facciamo qui in difesa di quei valori. Una carriera politica non significa molto se siamo complici nel minare quei valori”

Belle parole. Ma come far sì che questi messaggi di Flake non vengano rimossi dai supporter di Trump come “Fake”?

È qui che il messaggio cade. Non basta riconoscere che quel “risentimento” che ha votato per Trump, non è basato sul nulla, ma è nutrito da colossali errori che il suo partito e quello democratico, insieme, hanno perseguito per decenni. Quello di dimenticare chi restava indietro nella corsa al “Pursuit of Happiness”. Ora che Trump e Bannon abbiano approfittato di questo discontento, come tanti prima di loro (si proprio loro, Mussolini, Hitler ma anche Lenin, Stalin…) con la loro propaganda di slogan demagogici, agitando soluzioni tanto antiche quanto distruttive (protezionismo, nazionalismo, razzismo, guerra) non c’é dubbio. Ma Trump è il sintomo della crisi, non la sua malattia. Che sono le contraddizioni del capitalismo iper-liberista che sconquassando gli equilibri e la mobilità sociale delle nostre società “del benessere”, stanno aprendo le porte alla demagogia di senso opposto: iper-illiberale, nazionalista, razzista. Cosa propone quindi Flake oltre alla gloriosa storia della democrazia americana?

Il discorso di Flake lo condividiamo quando descrive i pericoli che la presidenza Trump (che tocca al Gop interrompere) potrebbe comportare per tutti. Ma in quanto a indicare soluzioni per invertire la deriva che la crisi del capitalismo iper-liberista ha portato alla società americana e occidentale tutta, francamente dal suo messaggio non ne vediamo. Questo forse è il dramma nella politica americana e anche Europea: la totale mancanza di idee e programmi perseguibili, giusti e in sintonia con i valori della democrazia, che possano contrapporsi alla demagogia dei Trump e dei suoi tanti imitatori d’oltreoceano.

 

 

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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