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July 28, 2017
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“Vi siete piegati” dice Di Maio al PD: parla di vitalizi ma svela molto di più

Il disegno di legge Richetti, che prevede l'introduzione del criterio “contributivo”, è passato alla Camera con 348 voti favorevoli

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
“Vi siete piegati” dice Di Maio al PD: parla di vitalizi ma svela molto di più

Al centro, da sinistra: i due vice presidente della Camera Roberto Giachetti (Pd) e Luigi di Maio (M5S)

Time: 4 mins read

“Vi siete piegati”. E’ tutto in questa brevissima frase, quasi un’epigrafe, quello che c’è da sapere sulla riforma dei c.d. vitalizi. L’ha pronunciata il Vice-Presidente della Camera, On. Luigi Di Maio, nel corso della discussione preliminare al voto. Si rivolgeva, essenzialmente, al Partito Democratico. Dicendo la verità. La Camera ha approvato, con 348 voti favorevoli, 17 contrari e 28 astenuti: a favore, il Pd, M5S, Lega, Fdi, Sinistra italiana e Scelta civica; contrari solo Autonomia Popolare, mentre Mdp si è astenuto. Forza Italia non ha partecipato al voto, affermando trattarsi di iniziativa legislativa “incostituzionale”.

Oggetto dello sprezzante rilievo è stato il c.d. Disegno di Legge Richetti, dal nome dal suo primo proponente, On. Matteo: “Giornalista pubblicista, specializzato nel campo della comunicazione pubblica, ha collaborato con quotidiani e periodici e diretto alcune testate locali, ed è in aspettativa dal suo incarico presso la Direzione Generale della Provincia di Moderna”, come recita il suo profilo su Wikipedia. Da qualche anno, anche Deputato della Repubblica, e prossimo Responsabile della Comunicazione del PD. Formalmente, per i c.d. vitalizi, e sempre che anche il Senato approvi, è stato introdotto il criterio “contributivo”: il quale connette misura della prestazione di quiescenza, da un lato, e misura dei contributi effettivamente versati, dall’altro, in modo più stringente (in realtà, i contributi sono trattenuti ex lege dalla Camera o dal Senato, al momento in cui è corrisposta l’indennità).

Inoltre, se già dipendenti di “altre amministrazioni”, i parlamentari dovranno scegliere, fra pensione e vitalizio, una volta concluso il mandato parlamentare; se opteranno per la pensione, nessun vitalizio, ma potranno ugualmente “recuperare” i contributi percepiti “da parlamentare”, e così convalidarli e integrarli nel calcolo pensionistico finale (TFR e misura della pensione). Infine, la legge, contrariamente ai principi generali, non vale solo “per l’avvenire”; ma anche per il passato. Cioè, sia per chi è stato eletto, sia per chi, già parlamentare, riceve oggi il c.d. vitalizio; di  cui, pertanto, dovrà ricalcolare l’entità. L’unica distinzione, fra ieri, oggi e domani, sarà il limite di età, a partire dal quale si potrà percepire il vitalizio: 66 anni e 7 mesi (come previsto per tutti i pubblici dipendenti dalla Legge Fornero), per chi verrà eletto in futuro; 65 o 60 anni, per tutti gli altri (a seconda che, rispettivamente, il vitalizio si fondi su una o più legislature).

Il profilo della retroattività sembra il più vulnerabile ad interventi della Corte Costituzionale, che vengono annunciati prossimi venturi: sulla base dei c.d. “diritti quesiti”, che però non costituiscono principio assoluto, ma modulabile “secondo tempi e casi”; formula tutta giuridica, che traduce lo spazio entro cui si muovono la volontà, o l’arbitrio, o il capriccio politico. Si vedrà. Questo, in termini strettamente (e assai sinteticamente) giuridici.  Ma, in termini politici (che sono quelli giuridici, senza il manzoniano latinorum), il succo è quello: “Vi siete piegati”.

E tanto sbracata e orecchiante è stata la condotta politica del PD, tutta intrisa di ansie “comunicative” e imbellettamenti tribunizi, da suscitare perplessità persino nel Prof. Valerio Onida: il quale, oltre ad essere stato Presidente della Consulta, fra le altre pergamene, può esibire pure quella di essere stato fiero e autorevole vessillifero (e artefice) del “NO” al recente Referendum Istituzionale, perso dal Segretario/Presidente Renzi: sicchè, anche di fronte a quelle ansie e a quegli imbellettamenti, munito di ogni credenziale di “ricevibilità politica”.

Eppure, ha potuto osservare che la riforma è solo “giusta nelle intenzioni” (qualità che, come sappiamo, non significa un bel niente: né sul piano politico, né altrove, nella vita degli uomini); aggiungendo: “…non si può arrivare fino al punto di privare di una parte consistente della pensione chi già oggi vive di essa”, e ancora: “Le polemiche ‘anticasta’ spesso nascono dal tentativo di ingraziarsi gli elettori”; chiudendo su una similitudine, fra questa demagogia e quella che, nella sua opinione, avrebbe sorretto la proposta riduzione del numero del parlamentari (conseguente all’abolizione del Senato). Ma quel “Vi siete piegati” è ancora più pregnante di quanto non disvelino le osservazioni sul caso specifico.  Perché riguarda l’intera politica, o “comunicazione politica” del Partito Democratico (della sua maggioranza), nei termini in cui si è venuta ossificando proprio sul terreno delle norme-manifesto, delle norme-pastura con cui si foraggia il ventre più belluino del Paese: è il just in time come elaborazione, come prospettiva, come azione. Con un solo “fine ultimo”: rendersi proni al “consenso procuratorio”.

Ed è stata una politica attraversata da viltà, anche umana: le dimissioni “non ostacolate” dei Ministri Federica Guidi e Maurizio Lupi per “aleggiamento investigativo”. O di  contrabbando normativo: come per il c.d. omicidio stradale, rozzamente terroristico, quanto preventivamente inefficace (e se anche “le cifre” mostrassero attenuazioni, si dovrebbe capire se un paradigma culturale nordcoreano sia accettabile in sè); o per gli aumenti sanzionatori introdotti al ritmo di un sabbah (reati di corruzione); o per la “dilatazione” delle “condotte punibili”, specie di quelle ad alto “impatto di piazza”: e basti considerare lo scambio elettorale politico-mafioso, che ormai comprende pure l’occhiolino (e per il piedino è configurabile un’aggravante). Fino alla recente Riforma penale: sostanziale (“nuova” prescrizione dei reati che introduce la figura dell’imputato-trastullo, e della persona offesa-fantasma), processuale (la tragicità del processo ridotta alla falsante dimensione televisiva); con il complemento del “nuovo reato di tortura”, concepito in modo da escludere tassativamente “la custodia cautelare” a fini (direttamente o indirettamente) confessori (e, ancora nel 2011, Thomas Hammarberg, Commissario dei Diritti Umani del Consiglio d’Europa, rilevava che la custodia cautelare in Italia era al 43 per cento, contro il 25 per cento europeo: ritenuto, pur così inferiore a quello patrio, indice di “sovraffollamento penitenziario”).

“Vi siete piegati”. Il panno per le scarpe, ogni tanto, cambiatelo però.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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