Il New York Times esulta: il populismo sarà ancora una volta fermato da una santa alleanza consolidatasi dietro il banchiere Emmanuel Macron. Il Mercato (eufemismo per definire i miliardari e le loro multinazionali) conferma: +4% alla borsa di Parigi. Hanno ragione, i liberisti e gli speculatori, a essere euforici; malgrado la loro imbarazzante inettitudine e gli irreversibili danni che stanno provocando all’ambiente e alla società, non incontrano ostacoli. Poco importa che la gente sia sfiduciata e spesso infelice o addirittura incazzata; tanto le sue reazioni sono o isteriche (la violenza spontanea, cieca, disorganizzata) o telecomandate (l’astensionismo o il voto per miliardari che a chiacchiere si dichiarano anti-sistema).
Colpa dell’individualismo sistematicamente promosso dai media e dalle nuove tecnologie? Dello sdoganamento degli egoismi, reso possibile dalla resa della politica, della cultura, della morale e persino della scienza al mito del successo come unico valore sociale? Certo. Ma in ogni epoca i ricchi hanno promosso l’individualismo e sdoganato l’egoismo per assicurarsi il potere contro i reali interessi di vaste maggioranze che avrebbero potuto spazzarli via in qualsiasi momento. Ciò che caratterizza la nostra epoca è che lo fanno senza opposizione e dunque senza dover ricorrere alla repressione: la loro egemonia è totale.
La colpa non è loro: loro fanno quello che gli conviene. La colpa è della sinistra. È la sinistra che ha tradito la gente, il popolo, innanzi tutto negandone l’esistenza – il suo antipopulismo (e ad altro livello il suo disdegno per la volgarità) è rifiuto del popolo, sostituito da nicchie spesso elitiste, incapaci di solidarietà e troppo integraliste per sviluppare strategie politiche complessive.
Che pacchia, per la destra. Anche nel secolo scorso vinceva quasi sempre le elezioni, però sentiva sul collo la minaccia socialista o comunista. Ciò la costringeva a compromessi, a un minimo di onestà, a una retorica della giustizia. Oggi può spudoratamente affermare che ai ricchi spetta tutto perché chi non è ricco è incapace o pigro. Può privatizzare i beni comuni e i servizi sociali. Può confondere il merito con la meritocrazia, dando ai fortunati e ai furbi il potere di sfruttare e opprimere non per via della loro forza, come avevano sempre fatto, ma di una presunta virtù misurata in dollari, euro e celebrità.
La sinistra ha bisogno di fare autocritica, un’autocritica radicale. Essere costretta a sperare che in Francia vinca un banchiere che da ministro dell’economia ha patrocinato trasformazioni liberiste (inclusa la Loi travail), o addirittura prendere apertamente posizione in suo favore, è il chiaro indice di un fallimento, ormai al limite della complicità. È confortante vedere che Mélechon si sia rifiutato di sostenere Macron; però non è abbastanza. Ci sono da riscoprire e riaffermare alcuni (pochi) valori fondamentali che ci distinguano in modo inequivocabile dai liberisti: l’eguaglianza economica, la priorità della politica sull’economia, la difesa delle comunità e delle culture, la lotta contro le concentrazioni di ricchezza e l’omogeneizzazione. L’antifascismo non può restare solo celebrativo e nostalgico; non deve più costituire la scusa o il diversivo per giustificare o nascondere l’inerzia della sinistra, la sua ritrosia ad affrontare il nemico più pericoloso: il neocapitalismo finanziario globale e l’apparato mediatico che lo sostiene.