Commentare “il trapelato” di un’indagine preliminare è sempre disagevole. Incombono giudizi incompleti e affrettati: ad ammonire quanto giusta e preziosa sia, sarebbe, la regola del silenzio. Regola che vale anche per il Capitano Gianpaolo Scarfato, assegnato al NOE (Nucleo Operativo Ecologico) dei Carabinieri, di cui pare sia stato scoperto un duplice falso: commesso, sembrerebbe in solitaria, nell’inchiesta Consip, a danno di Tiziano Renzi. Tanto più incalzante, questo disagio, in quanto l’ipotesi si intenderebbe corroborata dall’esercizio di una facoltà, che è un crinale di civiltà: il diritto dell’accusato di non rispondere all’interrogatorio, come ha fatto il Capitano Scarfato: senza che da simile contegno sia lecito trarre elementi a suo carico.
Un’indagine, in quanto apparato di norme e uomini in movimento, è procedura che coinvolge, necessariamente, istituzionalmente, una pluralità di soggetti. A prevenire un “ha fatto tutto da solo”, libera traduzione del biblico Capro Espiatorio, sarà bene, allora, guardare brevemente a quanto precede e segue il singolo “errore”, con un’idea a farci da guida: il reato di traffico di influenze illecite genera mostri investigativi: i mostri investigativi si sono ordinati in un “sistema”, di cui quel reato è solo una parte.
Il Capitano Scarfato avrebbe costruito una conversazione fra presenti (l’imprenditore Alfredo Romeo, l’On. Italo Bocchino), agendo su un frase intercettata: “l’ultima volta che ho visto Renzi”. Pronunciata da Bocchino, peraltro, con riferimento a Renzi-figlio, ed evocando pacificamente occasioni istituzionali, o ufficiali, invece era stata attribuita a Romeo. E proprio da qui era venuto un accentuato elemento di suggestione: offerto alla pubblica opinione come “prova regina” che Renzi (padre) si sarebbe incontrato con Romeo (tuttora in custodia cautelare, accusato di corruzione e altro), e con lui avrebbe fatto smercio della sua “influenza”.
Ma, ecco il punto, la radice del problema: da cui una troppo esclusiva considerazione del “falso in solitaria” rischia di distogliere: la conversazione avrebbe dovuto svelare “un incontro”. Perché “un incontro” le indagini cercavano. Non un incontro qualificato da una sicura valenza illecita: come, ad esempio, quando si consegna una cosa proibita (un’arma clandestina, droga), o si “consegna” una “parola”, altrettanto pacificamente illecita (l’ordine di commettere un omicidio): ma un incontro puro e semplice. Due persone, una di fronte all’altra, che si parlano. Se questo si vuole, però, per provarlo, basta una parola, può bastare una parola: un “l’ho visto”, e il “compito d’istituto” è adempiuto. Ma una volta che si può cercare una parola, perché no?, si possono inseguire anche le ombre; e così, seconda ipotesi di falso, si sarebbe affermato che “appartenenti ai servizi segreti”, rimasti anonimi, avrebbero pedinato i carabinieri del NOE: si può supporre, per riferirne le mosse agli indagati.
Ora, se andando sul ciglio di un burrone, su cui era sommamente prudente non inerpicarsi, si scivola, prima di tutto, è sensato chiedersi perché si andava dove non si doveva; e solo dopo, se del caso, varrà la pena di osservare lo stato delle suole.
Chiediamoci allora, perché, in Italia, ogni Procura della Repubblica è autorizzata a cercare “un incontro” puro e semplice: da cui trarre segni di uno tramestìo; fra i cui palpiti scrutare, hai visto mai, sia passata “un’influenza”. La risposta dei dotti è: perché questo reato, Traffico di influenze illecite, “anticipa la tutela”. Cioè, punisce l’impalpabile: sul presupposto che, solo in questo modo, si possa impedire il palpabile.
La ricerca del Male Impalpabile è la quintessenza di ogni aspirante gesuitismo di ritorno. Si animano fantasmi, e gli si dà il corpo che si vuole. Noti magistrati, variando sul tema, discettano convintamente di “corruzione percepita”. “La politica” sarebbe a tal punto perduta in un abisso di immoralità; così luciferina la sua capacità di sottrarsi alle giuste istanze punitive della “legalità”; tanto moltitudinarie le sue colpe e cupidigie che, all’Autorità Igienizzante, non resterebbe che farsi furba e ficcanaso e, alla legge, diffidente e feroce.
Così, l’inerme Società Civile, per “tutelarsi” dalla Società Politica, “si vede costretta” ad ampliare il campo del “penalmente rilevante”: non si cercano condotte “direttamente offensive”, ma condotte “sintomatiche”; non comportamenti di definita criminosità, ma “segmenti” di comportamento, tessere, in sè neutre, di un mosaico nascosto; e sempre più “contributi”, “concorsi”. Non si accerta il “crimine”, si intuisce il “pre-crimine”. Matrix è fonte del diritto. Pire purificatrici in formato Millennial.

Alcuni privati vorrebbero poter sparare a vista, a qualsiasi vivente si agiti, sospetto, nel loro domicilio. Ma le Istituzioni della Repubblica, e dietro quelle giudiziarie, è ormai tutto un corteggio di Autorità in assetto Antirespiro, di Prefetti con Interdizione alla fondina, tutte nutrite alle Verità Ultime dei Papiri di Tangentopoli, si sono venute eticamente ponendo a mille leghe sotto questo livello, già di suo imbarbarito. Si accingono ad investigare su ogni movimento elementare della vita di un uomo, avvalendosi di “sintomi”, ad incriminare per “classi”. “La casta”, “i colletti bianchi”, “la mafia borghese”, e via orecchiando; una “googlata” di là, una scopiazzatura di qua; e via farneticando anche: un happening la mattina, un talk la sera. E gli Ettore Incalza a collezionare assoluzioni inutili (quindici, fin qui); e le Federiche Guidi a offrire intimidite dimissioni da ministro ; e le Ilarie Capua a ripiegare su rassegnate fughe all’estero.
E tutto questo affastellarsi di paranoia panpenalistica, in sede legislativa prima, e poi, conseguentemente, sul campo delle investigazioni, non tollera insuccessi; con tanta seminagione di “tutele anticipate”, come si potrebbe non raccoglierne il frutto? Se mai, potrebbe accadere solo in una cornice di immediata, interna compensazione, come in questo caso: una Procura (Napoli) si affida a collaboratori infedeli, si dice; ma ecco, subito, un’altra (Roma) ergersi a riscattare la purezza, la superiorità, la capacità dell’unico e solo Apparato. Di cui (variamo pure noi) niente resterà punito.
Simile compiutezza lascia la Difesa a contemplare la sua inanità. E’ certo una coincidenza: ma aleggia a simbolica epigrafe, che una discolpa di così incisiva portata, in un caso giudiziario di massimo impatto sulla vita politica nazionale, sia maturata “fra Pubblici Ministeri”: mentre gli Avvocati penalisti italiani, nella più generale indifferenza, sono in “astensione dalle udienze”. D’altra parte, come ci si potrebbe difendere da un’accusa che si può costruire su una parola, se non confidando nel vaticinio, nella verità che, imperscrutata, cala dall’alto, lasciando l’Apparato che la largisce al sicuro da domande, conseguenze, responsabilità?
Indagini penali; stigma; galera; dignità della Legge e dello Stato, tutte in groppa ad una parola, per catturarne un’altra. Questo è, in Italia.
E si vorrebbe farne solo una questione di “falso in solitaria” del Capitano Scarfato?