“Mi pare che sia sotto gli occhi di tutti che ci siano due leggi elettorali frutto del lavoro della magistratura. Non è normale un Paese in cui la magistratura detta tempi e modi all’amministrazione, vuol dire che la politica non ha fatto il suo mestiere”, così, commentando a caldo la sentenza della Consulta sull’Italicum, il segretario generale della Conferenza Episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino.
La politica, in verità, il suo mestiere l’aveva fatto: tanto vero che il Parlamento aveva approvato una nuova legge elettorale. Alcuni giudici, in due ondate, come Monsignore ricordava, hanno però sollevato questione di legittimità costituzionale: la Corte, altro giudice, sul filo dell’esegesi più sapiente, ha così potuto, di fatto, “dettare” una nuova legge.
Ora, poichè tutto si è svolto in termini formalmente ineccepibili, una delle due: o c’è un’anomalia nascosta, che precede o si accosta a quella palese, denunciata da Monsignore a carico della politica; o la sua proposizione è priva di logica. Essendo agevole fargli credito di ogni raffinatezza intellettuale, resta la volontà di sostenere un’evidente forzatura. Si tratterebbe di capire, allora, se la forzatura riveli una Chiesa che, per lo meno in Italia, voglia seguire il secolo nei suoi ritrovati entusiasmi antiparlamentari; o persegua mete che eccedono il mondano sentire: in quest’ultimo caso, imperscrutabili dalla cecità di chi scrive. Come che sia, il dubbio può rimanere tale: escluso che la Chiesa italiana non intenda, non resta che l’anomalia nascosta (nascosta: si dice per dire). E tanto basta alle nostre modeste riflessioni.
L’anomalia risiede nella duplice natura fatta assumere alla Costituzione della Repubblica. Da chi? Dalla magistratura, naturalmente: l’unica che può farlo.
C’è, per spiegarci alla grossa, un primo livello della Costituzione; ed è quello che, implicando un ordinato rapporto fra i Poteri dello Stato, non postula una minorità permanente della Sovranità popolare, dei gruppi sociali, delle dinamiche di consenso che sfociano in Parlamento; ma, al contrario, riconoscendo una comune provenienza storica, umana e culturale agli uomini e alle donne che incarnano quei Poteri, guarda alla Costituzione come un perimetro comune che, di tanto in tanto, si rischia di sforare; di qui la previsione di una procedura volta a riordinare il momentaneo disordine.
Ma, accanto a quello, se ne è andato ponendo anche un secondo: in cui la Costituzione non è più un paradigma, sia pure fondamentale: ma diventa un Soggetto, si anima, e viene fatto agire, pensare e vivere di vita propria: in un rapporto analogo a quello fra divinità e sacerdote (magari Monsignore potrà sentirsene appagato). E sul presupposto di una massa, più o meno vasta, ma sempre incombente e minacciosa, di infedeli e di reprobi. Il Presidente dell’ANM Piercamillo Davigo, “L’evasione fiscale in Italia viene annualmente praticata da circa 10 milioni di soggetti” ? Sì e no.
Nella mozione conclusiva del dodicesimo Congresso di MD (Magistratura Democratica), tenutosi a Genova nell’Aprile del 1998, si rilevava “l’esistenza nella società italiana di una profonda crisi di legalità…Questa crisi pervade singoli, com’è dimostrato da fenomeni di massa, quali l’evasione fiscale, caratteristica di una buona parte del ceto medio produttivo…e più in generale, dalla scarsa considerazione per le regole nelle diverse considerazioni della vita quotidiana…I procedimenti penali nei confronti della corruzione politica, della criminalità economico finanziaria, della corruzione giudiziaria e della mafia sono stati e sono momento essenziale ed imprescindibile dell’azione complessiva per l’affermazione della legalità…”.
Queste premesse, si badi, non risalgono agli anni ’70, quando, in genere si afferma, germogliarono le tendenze più “movimentiste” della magistratura: “Si tratta di far leva…sul programma emancipatorio-egualitario di cui all’art. 3 della Costituzione per eliminare o ridurre al minimo gli impedimenti legali ad una crescita politico sociali del proletariato e delle sue organizzazioni”, come si annunciava al primo Congresso di MD, svoltosi a Pisa nell’Aprile del 1971. No: sono del 1998. A dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, che le distinzioni fra una “magistratura di sinistra” e una diversa e moderata, non hanno più alcuna consistenza, se mai una ne hanno avuta; semmai, l’unica distinzione, è quella per cui un gruppo della magistratura associata (MD), ha oggi, come dire, il compito, di elaborare teorie e dottrine sul ruolo dell’intera corporazione, che poi riceveranno monolitico accoglimento al suo interno.
Una volta, dunque, che si danno simili “masse”, queste però possono votare; le maggioranze elette (con quel presupposto quantitativo, comunque “inquinate”), ovviamente, con lo strumento delle legge ordinaria, non possono che dare corpo e spirito a quella “scarsa considerazione per le regole”; è la legge ordinaria in quanto tale, dunque, a rendersi inaffidabile, sospetta, squalificata. L’unica legge realmente vigente è allora quella costituzionale. Una Costituzione-Soggetto, tuttavia, deve darsi uno stendardo, con cui chiamare a raccolta i degni contro gli indegni, la Verità contro la Menzogna: questo stendardo è “L’uguaglianza”, che, come visto, garriva da decenni. Ma, secondo antico disegno, una uguaglianza “sostanziale”, non formale; politica, non giuridica.
Politica? Voi direte, è compito del Parlamento: niente da fare: abitato da quelle “masse”, ci “deve” pensare la magistratura, l’unica che sa, l’unica che può. Il dott. Roberto Scarpinato, lo scorso Maggio, secondo cui nella Costituzione, così debitamente reinterpretata, “veniva affidato alla magistratura il ruolo strategico di vigilare sulla lealtà costituzionale delle contingenti maggioranze politiche di governo”? Sì e no. Nel Febbraio del 1996, all’undicesimo Congresso di MD, tenutosi a Napoli, così il dott. Livio Pepino (uno dei ricorrenti innanzi il Tribunale di Torino, che è una delle “Autorità Giudiziarie” proponenti le questioni di legittimità sull’Italicum, che oggi la Corte Costituzionale ha finito di “riscrivere”): “…l’uguaglianza sostanziale è dato normativo, i principi di giustizia distributiva sono diritti e gli interventi realizzati atti dovuti”. La traduzione dell’essenza politica della vita associata, che è discrezionale, dialogica e necessariamente elastica, in fogge apparentemente asettiche e, così, però, sottratte alla valutazione popolare (inaffidabile, perchè, in realtà “massa”), era, pertanto (in epoca apparentemente ben lontana dagli anni ‘70, e più vicina al presente) ripresa e posta categoricamente: “atti dovuti”.
Il 3 Marzo 2011, il “Capo politico” del M5S, come lo Statuto del Movimento lo qualifica, Beppe Grillo, scriveva che “Davigo è un combattente ed anche un giudice”; e, ancora nello scorso Aprile: “Più Davigo, meno corrotti”. Né constano smentite o precisazioni, magari in nome dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.
Il Parlamento è metodicamente squalificato, da urti tribunizi, sempre più insistiti. Sulla base di consolidate teorizzazioni (che corrono oggettivamente parallele a quegli urti), svolte dall’Istituzione che detiene il monopolio legale della coazione fisica e patrimoniale, l’Italia repubblicana, per semisecolare indegnità, sarebbe incapace di una compiuta esplicazione di Sovranità popolare. Con quelle sue carenze morali, essa società repubblicana, sarebbe, conseguentemente, incline a contaminare l’atto in cui la Sovranità si compendia: cioè, la Legge ordinaria. Per ricondurre il “frutto dell’indegnità” alla dignità, c’è solo una Regola (La Costituzione-Soggetto), e solo un Custode della Regola (la “magistratura costituzionale” del Procuratore Generale Scarpinato, che però riprende e rilancia antiche e “associative verità”).
E crede veramente, Monsignor Galantino, che sia la politica (e il Parlamento) a non voler fare “il suo mestiere”?