Chissà perché, ma non sono sorpreso della “sorprendente” vittoria di Donald Trump; non che mi faccia piacere, ed è inutile che ne elenchi i mille e un motivi. Mister “You’re fired” è detestabile: rappresenta insieme tutto il peggio del “nuovo” e tutto il peggio del “vecchio” che riesco a concepire. Certo: Trump è la persona sbagliata, nel posto sbagliato, farà senza sforzo tantissime cose sbagliate.
Detto questo, Trump c’è; e ce lo terremo per quattro lunghi anni. Lo pagheremo tutti salato quel suo “Make America Great Again!”. Cosa dice Eduardo De Filippo nella sua bellissima “Napoli milionaria”? “Ha da passà ‘a nuttata”; speriamo che non sia una notte polare.
Bene, carissime e carissimi cittadine e cittadini dei miei amatissimi Stati Uniti d’America: il latte l’avete versato, piangerci sopra è inutile. E proprio voi che mostrate d’essere sbalorditi, stupiti, increduli, fatevela qualche domanda. Per esempio, quella dello “Sciascianamente” pubblicato l’8 settembre scorso: “Cari americani, ma come avete fatto a ridurvi così?”; la domanda dello “Sciascianamente” del 14 agosto 2015: “Mi spiegate l’incubo Trump?”.
I due interrogativi valgono anche oggi, soprattutto oggi; io ho un po’ di timore a formulare una possibile risposta: con la mia testa di italiano, di europeo, rischio di darmi risposte che partono da presupposti sbagliati; non ho, credo, tutti gli elementi necessari per rispondere come abbiate potuto preferire mister “You’re fired”. Vado a tentoni, come chi cammina bendato in una stanza buia. Trump magari non farà i temuti sfracelli; magari riuscirà a essere perfino ragionevole, e se non lo sarà, è sperabile che venga costretto a esserlo da chi gli sta accanto. Ma anche se non produrrà irreparabili danni, è la volgarità, la stolida compiaciuta arroganza e presunzione quelle che mi danno fastidio. Qualcosa che si avvicina molto al disgusto. La questione non è che Trump sia Trump; la domanda è: come è stato possibile che un personaggio simile sia piaciuto, possa piacere, ispiri fiducia, simpatia, riscuota credito, al punto da affidargli per quattro anni la carica di “comandante in capo”?
E’ il pedaggio da pagare alla democrazia, dove il voto di un imbecille pesa allo stesso modo di Albert Einstein? Stati Uniti d’America: quanti sono gli imbecilli che circolano nelle tue strade e città? Cos’è successo, martedì, tutti “fumati”, imbottiti di roba che non vi ha fornito il solito spacciatore? No: non è una risposta che può soddisfare. Dunque?
Può essere, allora che non abbia vinto Trump, ma abbiano perso Hillary Clinton, e con lei l’ormai ex presidente Barack Obama, tutto l’establishment del Partito Democratico e parte di quello Repubblicano: tutta quella intellighenzia convinta di essere migliore, più brava, più capace, di capire tutto e prima di tutti; improvvisamente hanno dovuto prendere atto di non aver capito nulla degli umori, delle tensioni, delle contraddizioni che gli Stati Uniti hanno vissuto, e vivono. Brutto risveglio eh? Ma come mai non avete capito? Forse, dopotutto, non siete quei “migliori” che vi credete; forse anche voi siete un po’ arroganti, quando guardate dall’alto in basso un vostro “prossimo” che ora si è preso le sue brave vendette?
Può essere, insomma, che si stia assistendo a una nuova puntata, certo più truce, cupa, più simile a un incubo che a un sogno di quel “Mr. Smith Goes to Washington” di Frank Capra: dove certo Trump non ha nulla a che spartire con Jefferson Smith-James Stewart; ma “quelli” di Washington e dintorni vengono comunque percepiti e visti al pari del losco gruppo di finanzieri e politicanti che si vogliono arricchire con la costruzione di una quantità di dighe? Certo: Trump non ha nulla a che spartire con il giovane, onesto, “ingenuo” Smith; ma non è questo che conta: quello che vale è che il gruppo di potere che sostiene Clinton è percepito come quel gruppo di speculatori.
Se fosse che gli elettori alla fine sono repubblicani nel senso autentico del termine, cioè non vogliono essere governati da “monarchie”? Bill Clinton 1, Bill Clinton 2, poi Hillary al Senato; poi Hillary segretario di Stato… Basta, signori, andatevene a giocare a golf e lasciateci in pace… Come hanno detto basta in altre occasioni: ricordate? “Ronnie” Reagan 1, “Ronnie” Reagan 2, poi George H. Bush, infine stop, repubblicani, game over, avanti il democratico. Quando è sceso in campo George W. Bush, sì, due mandati anche per lui, anche se non è stato per nulla brillante; ma di mezzo ci sono state anche le Twin Towers, evento straordinario. Elaborato in qualche modo il lutto, avanti i democratici; e quando ci ha voluto provare Jeb Bush, gli hanno detto: tornatene a casa; lui ci ha messo del suo, indubbiamente. Però, siamo onesti: non era più affidabile e rassicurante Jeb di Trump, di Ted Cruz, di Marco Rubio? Eppure…
Oppure… Siamo sicuri che alla fine, contro Hillary, oltre che Hillary non abbia giocato anche Obama? Può essere che tanti elettori americani si siano rotti le scatole della sua politica, sia quella interna che quella estera? I suoi errori con la Siria, il non aver saputo contrastare la Russia di Putin, quello che è accaduto in Libia… Può essere che quello spot pubblicitario della moglie Michelle nell’orto della Casa Bianca sia stato percepito come falso e fasullo al pari dello “Stronger Together”? Perché quello che è rimasto della middle class americana doveva dare fiducia a Hillary? “Solo” perché Trump veniva descritto come “peggio”? E se alla fine l’elettore avesse fatto questo ragionamento: tra il peggio del “vecchio” e il peggio del “nuovo”, tanto scegliere il “nuovo”, vedi mai… Non dico che sia fondato; dico che può essere stato questo il ragionamento.
Poi, per dirla tutta: e se oltre a tutto questo, Hillary sia stata rifiutata sì: perché era Clinton; sì: perché prometteva di proseguire la politica del suo predecessore; ma sia stata rifiutata anche perché è una donna?
Come si vede, ho un mucchio di domande, e nessuna assertiva risposta. Però la colossale cantonata hanno preso un po’ tutti quanti, giornalisti, opinionisti, sondaggisti dovrebbe pur insegnare qualche cosa: per esempio che spesso vediamo non quello che è, ma solo quello che vogliamo vedere.