Ciò che è in gioco domani non è il potere, che comunque vadano le votazioni resterà saldamente nelle mani del grande capitale e dei potentissimi network che controllano i media; è in gioco l’identità del movimento che nei prossimi anni e decenni proverà a opporsi a quel potere. Molto meglio dei democratici, che alle primarie hanno preferito Hillary Clinton a Bernie Sanders, i repubblicani hanno capito che la classe media, inclusa quella impoverita da vent’anni di iper liberismo, ha disperato bisogno di populismo. E il populismo, chiunque ha studiato un minimo di storia novecentesca dovrebbe saperlo, può assumere due forme: una di sinistra, il socialismo, o una di destra, il fascismo. Donald Trump serve al neocapitalismo esattamente come Mussolini servì al capitalismo un secolo fa: per assorbire la rabbia popolare, distoglierla dai veri responsabili della sua miseria e scatenarla contro falsi problemi.
Per questo il mio candidato era Sanders e per questo sono stato profondamente ostile a Clinton: come del resto lo è stata tutta la sinistra antiliberista che negli Stati Uniti, sulle orme dell’esperienza di Occupy, è ormai una significativa forza politica (mentre l’Italia ancora si preoccupa di quello che fanno o dicono Cuperlo, Civati e Bersani). Ma avvicinandosi alle elezioni tutta questa sinistra si è dovuta rendere conto che Trump non è affatto un antiliberista un po’ fascistoide ma che avrebbe potuto dare una scossa al sistema, bensì un fascistoide liberista che lo aiuterebbe a superare l’attuale crisi. Da The Nation a Michael Moore, da Elizabeth Warren a Robert Reich, da Zephyr Teachout allo stesso Sanders, tanti si sono ricreduti e ora sostengono Clinton; e non semplicemente come il male minore ma come un passo (soltanto un passo ma pur sempre un passo) nella direzione giusta. Il fatto è che la pressione della sinistra antiliberista ha spostato Clinton su posizioni più progressiste, sulle quali peraltro già era stata quando sostenne Eugene McCarthy, George McGovern e Jimmy Carter. Nel frattempo la pressione congiunta della destra sociale e delle multinazionali (deluse dallo spostamento di Clinton) ha rivelato con chiarezza le vere caratteristiche di Trump.
Ascoltare i dibattiti presidenziali, in particolare, ha aperto gli occhi a tanti; inclusi i repubblicani più conservatori, che prima diffidavano di Trump e che ora voteranno in massa per lui. Hanno ragione, Trump è il loro candidato: ha promesso di tagliare le tasse ai ricchi e alle corporation; di raddoppiare il budget del Pentagono; di revocare Obamacare, di nominare alla Corte Suprema giudici che aboliscano l’aborto e difendano gli interessi delle multinazionali (il suo esplicito modello, più volte evocato e lodato, è Antonin Scalia); di favorire l’educazione privata su quella pubblica (è il suo mantra, tipicamente reaganiano: il sistema pubblico non funziona); di espellere tutti gli immigrati non regolarizzati, inclusi quelli che vivono qui da decenni e hanno figli nati qui; di tagliare i fondi alle agenzie preposte alla protezione dell’ambiente, dell’arte e della cultura. Ah, è vero, Trump sostiene apertamente anche una tassazione delle imprese che delocalizzano, il che mi trova assolutamente d’accordo ed è la ragione per cui pensavo che potesse diventare un candidato interessante; ma poi ho scoperto che alle multinazionali, in cambio, garantirebbe imposte fiscali così basse che neanche in Irlanda troverebbero di meglio e mano d’opera a così buon mercato (è contro il salario minimo garantito e favorevole all’abolizione dei sindacati) che neanche il Messico potrebbe competere.
C’è tanto da fare per salvare il pianeta e rendere più giusta e umana la nostra società; e il tempo è poco e il nemico fortissimo, una santa alleanza del potere finanziario più ricco della storia, del potere militare più distruttivo che si sia mai stato e di un potere mediatico pervasivo e persuasivo come mai era stato possibile. Comprensibile che molti si siano ridotti a sperare in un miracolo: ma non verrà, e certamente non è Trump. Una sua netta sconfitta potrebbe dare coraggio e fiducia alla sinistra antiliberista e far partire un movimento di massa. Una sua vittoria legittimerebbe la destra fascistoide.