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October 5, 2016
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Referendum sulle riforme costituzionali: le ragioni di un No

L’Italia è uno dei paesi più stabili al mondo proprio per la sua apparente instabilità. Perché quindi cambiare?

Valter VecelliobyValter Vecellio
referenzum Renzo Azzeccagarbugli

Terzo capitolo da "I Promessi Sposi" di Alessandro Manzoni: Renzo dall'Avvocato Azzeccagarbugli

Time: 5 mins read

Quattro dicembre, andiamo: è tempo di votare… Quel giorno, noi cittadini italiani saremo chiamati a esprimerci con un SI o con un NO, se accogliere o meno la riforma costituzionale proposta dal governo di Matteo Renzi. Non dovrebbe essere (anche se inevitabilmente lo sarà), un pronunciamento a favore o contro l’operato dell’esecutivo. Dovrebbe essere (e inevitabilmente non sarà) solo un SI o un NO alle proposte di riforma della Costituzione.

Il presidente del Consiglio per primo ha impostato male la sua campagna elettorale, sperando che la consultazione si trasformasse in un plebiscito e annunciando che après moi le déluge. Ma Renzi non è Luigi XV, e almeno la metà degli italiani gli ha fatto intendere che una doccia non sarà poi la fine del mondo. Glielo ha fatto capire, da ultimo, anche il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, che della riforma è il principale sponsor. Procedendo come procedeva, rischiava di sbatterci il muso di brutto. Renzi per il momento sembra abbozzare; conoscendo il suo carattere è da credere che non terrà la lingua a freno per molto. Nel suo “giro” comunque si sa che se vincerà il NO il Governo si dimetterà in blocco, e poi si vedrà quello che accadrà. Se vincerà il SI, si procederà probabilmente a un grande rimpasto: forte della sua vittoria Renzi se lo potrà permettere. Per molti ministri (e relativo sottobosco) sarà come scegliere se finire fritti o bolliti. Ma questa è cosa di bassa cucina, appassionante quanto un soggiorno in Burkina Fasu.

Il referendum: quale che sia il risultato non sarà lo sfracello annunziato. L’ambasciatore statunitense a Roma John Philips e altri centri di potere reale sono interessati alla “stabilità” del Paese, per questo dicono di vedere di buon occhio le riforme annunciate.

Spiegare all’ambasciatore e a tutti gli altri che il paese è di impressionante stabilità, al punto da contraddire ogni logica e calcolo probabilistico, equivarrebbe dire che del nostro paese non comprendono nulla; non ci si sente di offendere al tal punto la loro intelligenza. Guardino la storia d’Italia dal dopo-guerra in poi: ne sono successe di tutti i colori, in fatto di pessimo governo e attentati a ogni forma di diritto e convivenza civile; altrove si sarebbero verificati sfracelli, rivoluzioni. In Italia una stabilità “reale” che ha dell’incredibile. Sì: mutano (più un tempo di ora) gli “inquilini” nei vari ministeri; ma la politica vera, gli indirizzi e le finalità concrete e reali, non sono mai messi veramente in discussione: una lunga stagione “centrista”, una lunga stagione di “centro-sinistra”; dopo quarant’anni un tutto sommato indolore  cambio di classe politica, screditata, impresentabile, provocata dal crollo del comunismo di marca sovietica; la genesi del fenomeno Berlusconi, e gli ultimi governi: Monti-Letta-Renzi: qualcuno può dire quale sostanziale instabilità abbiamo patito e subito? Tutto procede, come sempre, in una avvilente pantano. Quelli che Ernesto Rossi chiamava “i padroni del vapore”, quale cambiale hanno pagato, alla fine? Perfino il delitto di Aldo Moro, alla fine, è servito per “puntellare” e meglio stabilizzare. L’Italia è uno dei paesi più stabili al mondo; e proprio per la sua apparente instabilità.

Detto questo, chi scrive, il 4 dicembre voterà un suo convinto NO. Chi scrive vorrebbe che la Costituzione sia, soprattutto applicata. Oggi, forse, l’unico articolo davvero in vigore è quello relativo ai colori della bandiera. Il resto, nei fatti, è “opinione”.

Non è invece “opinione” che le leggi debbano essere quello che un tempo prescriveva Cesare Beccaria, quell’orgoglio nazionale che più di 250 anni fa ha regalato al mondo “Dei delitti e delle pene”, da cui hanno attinto i “padri fondatori” della democrazia americana.

Ecco cosa scrive Beccaria:

“Se l’interpretazione delle leggi è un male, egli è evidente esserne un altro l’oscurità che strascina seco necessariamente l’interpretazione, e lo sarà grandissimo se le leggi sieno scritte in una lingua straniera al popolo, che lo ponga nella dipendenza di alcuni pochi, non potendo giudicar da se stesso qual sarebbe l’esito della sua libertà, o dei suoi membri, in una lingua che formi di un libro solenne e pubblico un quasi privato e domestico”.

In sintesi: una legge deve essere comprensibile sia dal presidente della Corte costituzionale che dal lattaio. Se non è così ci troviamo nella situazione descritta da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi”, quella di Renzo davanti all’avvocato Azzeccagarbugli. Il pregio dell’attuale Costituzione italiana è che si potrà discutere il contenuto dei singoli articoli, l’intero complesso; ma non che sia oscura; è in un italiano degno dell’Accademia della Crusca: chiaro, limpido, cristallino.

Leggete l’articolo 70 della Costituzione attualmente in vigore:

“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”.

Passiamo ora al testo che viene previsto dalla riforma proposta:

“Art. 70. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all’esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L’esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all’articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all’articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all’esame della Camera dei deputati”.

Ecco: non voglio tirare calci negli stinchi di Renzi o di Boschi (la voglia c’è, ma me la faccio passare per non sembrare fazioso); non voglio dimettere il Governo (la voglia c’è, ma me la faccio passare, per non passare per disfattista); non ho nulla di pregiudiziale e tendenzialmente faccio mio il detto “Vivi e lascia morire”. Però qualcuno, se vuole e se sa, spieghi perché si deve ingoiare nel testo di legge fondamentale del nostro paese un articolo formulato in questo modo: chi scrive non si chiama Renzo Tramaglino, e soprattutto un leguleio come Azzeccagarbugli lo manda a quel paese; senza “se” e senza “ma”.   

         

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Valter Vecellio

Valter Vecellio

Nato a Tripoli di Libia, di cui ho vago ricordo e nessun rimpianto, da sempre ho voluto cercare storie e sono stato fortunato: da quarant'anni mi pagano per incontrare persone, ascoltarle, raccontare quello che vedo e imparo. Doppiamente fortunato: in Rai (sono vice-caporedattore Tg2) e sui giornali, ho sempre detto e scritto quello che volevo dire e scrivere. Di molte cose sono orgoglioso: l'amicizia con Leonardo Sciascia, l'esser radicale da quando avevo i calzoni corti e aver qualche merito nella conquista di molti diritti civili; di amare il cinema al punto da sorbirmi indigeribili "polpettoni"; delle mie collezioni di fumetti; di aver diretto il settimanale satirico Il Male e per questo esser finito in galera... Avrò scritto diecimila articoli, una decina di libri, un migliaio di servizi TV. Non ne rinnego nessuno e ancora non mi sono stancato. Ve l'ho detto: sono fortunato.

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