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September 17, 2016
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September 17, 2016
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Trump: l’attrazione della disperazione

Trump non ha il temperamento adatto per la presidenza? Già, ma per la classe media in crisi Hillary è peggio

Francesco ErspamerbyFrancesco Erspamer
donald trump
Time: 2 mins read

I democratici americani cominciano davvero ad avere paura di Trump. Finora avevano pensato che sarebbe bastato paragonarlo a Mussolini o a Hitler, ridicolizzarlo per la sua volgarità e ignoranza; i miliardi delle multinazionali, a loro volta preoccupate per le sue posizioni antiglobaliste, avrebbero fatto il resto. È ormai un anno, per esempio, che il New York Times lo attacca quotidianamente, ogni giorno per una ragione diversa, in articoli di prima pagina e in editoriali di grandi firme e intellettuali. Molto spesso le accuse sono fondate: Trump è arrogante, inaffidabile, superficiale; parecchie sue posizioni sono intollerabili. Lo stesso gli ultimi sondaggi prevedono un testa a testa.

Come mai? Perché l’ex sinistra convertitasi al liberismo si è abituata a vincere minacciando l’apocalisse. Senza rinunciare a nulla (in particolare soldi e privilegi), senza imporsi i gravosi vincoli del rigore e della morale, senza fare riforme che migliorerebbero le condizioni della gente ma le alienerebbero il sostegno delle lobby e dei ricchi. L’ineguaglianza economica ha raggiunto livelli senza precedenti? La classe media sta impoverendosi materialmente e culturalmente? I costi della sanità e dell’educazione (entrambe private) sono assurdi e di fatto impediscono a milioni di cittadini di curarsi e di studiare? L’ambiente diventa sempre più invivibile e inospitale? Le comunità vengono distrutte dalla mobilità forzata, dalle migrazioni di massa, dal mito dell’individualismo? I posti di lavoro sono solo precari e chiunque non renda il massimo viene subito scartato senza pietà in nome dell’efficienza e della meritocrazia? Invece di provare a correggere la situazione si pagano economisti e giornalisti per sostenere che qualsiasi cambiamento peggiorerebbe le cose. Si accusano tutti gli oppositori di essere dei fascisti.

Bè, a molti americani ormai non importa. Non pensano di avere più molto da perdere e finalmente si sono accorti che la loro prudenza ha accresciuto l’avidità e l’irresponsabilità degli speculatori. Anche gli ultimi dati sul PIL a tanti fanno rabbia: apparentemente l’economia è cresciuta del 5% ma i reali vantaggi sono andati quasi esclusivamente alle multinazionali e ai vincenti. La maggioranza dei probabili elettori non crede che Trump abbia il temperamento adatto per essere un buon presidente ma è convinta che, almeno, cambierebbe qualcosa; Clinton il contrario.

È un dato che dovrebbe fare riflettere. Magari alla fine la spunteranno anche in questa battaglia, Clinton e i democratici, ma stanno avviandosi a perdere la guerra. Perché una sinistra, fosse pure moderata, non serve quando il massimo a cui ambisce è di essere il minore dei mali possibili; quella è la filosofia dei conservatori. La sinistra deve lottare per una società più umana e più giusta, come ha provato a fare Bernie Sanders, non per mantenere l’ingiustizia e la disumanità con la scusa che le alternative potrebbero essere peggiori. Se non cambia rotta con rapidità e decisione, se non torna a dare fastidio ai miliardari e alle loro corporation, se non la smette di usare la paura e non ritorna a dare speranza, la gente giustamente guarderà a destra per cercare rimedi alla propria frustrazione. Magari senza fiducia, ma che differenza fa quando si è raggiunta la disperazione? E se a destra c’è un folle come Trump, tanto meglio: mal comune mezzo gaudio. (In Italia accadrà lo stesso).

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Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

Nato a Bari, cresciuto a Parma e in Trentino, laureato a Roma, professore a Harvard. Mi interesso di letteratura, politica, storia delle idee e cambiamenti culturali. Insegno corsi su estetica, romanzo moderno e contemporaneo, Rinascimento, calcio. Di recente ho scritto: La creazione del passato, Sulla modernità culturale e paura di cambiare, Crisi e critica del concetto di cultura. Come Gramsci, penso che al pessimismo della ragione occorra accompagnare l’ottimismo della volontà, e come James Baldwin, che la libertà non la si possa ricevere in dono: bisogna prendersela.

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