“Che la forza sia con te” è la battuta più celebre di Star Wars. Ovvio che nell’occasione dell’uscita del nuovo pubblicizzatissimo episodio se ne appropriasse il nostro immarcescibile primo ministro – significativamente, nella formulazione meno incisiva ma più coerentemente narcisista “Che la forza sia con noi”, usata solo un paio di volte nell’intero ciclo. Ma a Renzi serviva per promuovere l’ultima crociata del Pd, anch’essa copiata dalla destra iperliberista americana: le Tax Wars.
Ovvio, dicevo, che se ne appropriasse: ma non solo perché convinto che le allusioni alla cultura pop, così come quelle alle nuove tecnologie, lo qualifichino automaticamente come grande innovatore – nessuno ha ancora avuto il coraggio di spiegargli che la ribellione contro i classici e contro la tradizione spaventava i borghesi e i benpensanti all’inizio del novecento, al tempo dei futuristi, mentre oggi è il contrario: i borghesi sono fieri della propria ignoranza e schiavi del consumismo; a spaventarli sarebbero caso mai i classici e le tradizioni, certo non il pop e le novità autorizzate dai media. Ancor più importante è comunque il secondo motivo: Renzi invoca la forza perché, come il successo, è una soluzione semplice, elementare, tipica delle epoche di barbarie, nelle quali chi vince è un vincente e dunque meritava di vincere. Nessun bisogno di concetti complessi e relazionali, che pretendono continui riassestamenti e negoziazioni, come quelli di morale, cultura, equità. La forza è totalmente autoreferenziale: afferma e legittima sé stessa.
Lo spiegò Simone Weil in uno splendido saggio sull’Iliade scritto negli anni che precedettero e prepararono la Seconda guerra mondiale. Ne trascrivo l’inizio:
“Il vero eroe, il vero soggetto, il centro dell’Iliade è la forza. La forza usata dagli uomini, la forza che sottomette gli uomini, la forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae. L’anima umana vi appare di continuo alterata dai suoi rapporti con la forza: trascinata, accecata dalla forza di cui crede di disporre, curva sotto il giogo della forza che subisce. La forza rende chiunque le è sottomesso pari a una cosa. Esercitata fino in fondo fa dell’uomo una cosa”.
Sono poche decine di pagine, disponibili anche in italiano nell’ottima traduzione pubblicata dalla casa editrice Asterios. Vi invito a leggerle. Perché il nostro tempo, questi anni dieci del secondo millennio stravolti dalla bufera del liberismo, sono simili agli anni trenta del Novecento, stravolti dalla bufera del fascismo. Entrambi periodi in cui in nome della forza – quella della nazione allora, quella del mercato oggi – la gente è indotta a rinunciare alle conquiste etiche e culturali di millenni di civiltà e di secoli di lotte di emancipazione, a dimenticare ideali e valori per accontentarsi della materialità delle cose e rassegnarsi a diventare cosa essa stessa. Pensate a che si è ridotto il Natale: una fiera dello spreco e dell’ostentazione di feticci caricati di senso dalla pubblicità. Pensate all’efficacia dello slogan piddino della rottamazione, traduzione italiana della deregulation di Reagan e Thatcher: cancellare qualsiasi passato, memoria e virtù che non sia misurabile in denaro. E molti sembrano contenti.
Avere forza è necessario: come diceva Machiavelli, “tutti e’ profeti armati vinsono e e’ disarmati ruinorono”. Ma la forza di Machiavelli era uno strumento al servizio della ragione, della politica, in ultima analisi della giustizia (sia pure una ragione, una politica e una giustizia di parte); era una triste necessità dovuta all’imperfezione umana o a infelici contingenze storiche, però di per sé né gradita né auspicata. La forza di Star Wars e di Renzi è invece positiva: è un fine che giustifica sé stesso e i mezzi adoperati per attuarsi; è autocompiacimento.
La differenza è enorme. Per capirla è utile tornare a Omero. Nessun personaggio del suo poema può sottrasi alla forza. Ma subirla non significa accettarla e diventarne complice. L’etica è tutta in questa scelta di opporsi al male anche quando il male prevale: una scelta incomprensibile per il liberismo e per la sua ideologia del successo a qualsiasi costo e in qualsiasi condizione. Per questo l’Iliade era per Weil “una cosa miracolosa”: perché in uno dei momenti più bui della storia europea le ricordava che restiamo umani anche quando oppressi dalla forza, ossia dalla materia; purché ancora capaci di provare amarezza per quell’oppressione. Per lo stesso motivo è un miracolo anche per noi, come spesso i grandi testi della letteratura e del pensiero: in tempi di disperazione e di crisi la riflessione su di essi e sui valori fondamentali non è erudizione o esercizio accademico bensì un atto di resistenza. Contro la forza e coloro che la spacciano come una droga. Affinché la forza non sia.