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September 10, 2015
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September 10, 2015
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Dr. Berlusconi e Mr. Trump

Silvia ScaramuzzabySilvia Scaramuzza
Time: 4 mins read

US Open di tennis 2015. La partita si è appena conclusa e c’è un uomo che cammina velocemente lungo il corridoio, braccato dai giornalisti. Uno, più lesto degli altri, avanza fiducioso e gli chiede se gli piace Berlusconi. L’intervistato non si ferma, incede, sembra quasi voler fuggire. Poi si volta verso il giornalista italiano e ammicca un: “Si, mi piace Berlusconi. È una brava persona”. L’affermazione, per quanto plausibile, non sembra nascondere nulla di strano o significativo, eccetto per un solo piccolissimo dettaglio: l’uomo che parla è Donald Trump. 

Ora, perché il multimilionario che sta correndo per le presidenziali e che è in testa a tutti i sondaggi repubblicani sente il bisogno di dire che gli piace Berlusconi? Non teme che la sua immagine pubblica venga assimilata a quella del Cavaliere? 

Da luglio Frank Bruni , noto columnist del New York Times e già corrispondente da Roma, paragonava i due business man. Il paragone ormai rimbalzava sui giornali di tutto l’occidente. Sarebbe potuta rimanere solo una "notizia" estiva, almeno fino a ieri. Poi Trump ha sganciato la bomba: gli piace Silvio. 

Forse Donald non ha paura dello spettro di Berlusconi perché è vittima di un cortocircuito, lo stesso che ha affascinato gli italiani per anni. In lui non vede l’uomo del bunga bunga, ma il self-made man. Non vede l’uomo che è andato con le minorenni, ma lo stratega, il visionario che ha saputo costruire la sua fortuna sfruttando le potenzialità della pubblicità e della TV. 

Agli arbori della sua carriera Berlusconi era un semplice costruttore con un acutissimo istinto per la vendita. Solo che alle volte non costruiva niente. Comprava terreni dove non era possibile costruire, acquisiva le licenze per la costruzione e a quel punto vendeva. Avere la licenza però, nel mondo imprenditoriale, non è impresa facile. Bisogna intrattenere rapporti con i politici locali, essere dei bravi comunicatori, giocare d’azzardo e magari barare. Anche Trump deve la sua fortuna al settore immobiliare. Anche Trump è un abile comunicatore. Il suo obiettivo primario non è solo costruire, ma farlo ottenendo fondi pubblici. Quindi lavora forsennatamente, li ottiene e a quel punto costruisce palazzi. 

Ora, come fa notare anche l’Huffington Post , il settore immobiliare e la politica sono strettamente connessi, a New York come a Milano. Ma allora perché Trump si ostina a dire che di lui ci si può fidare? All’apertura dello scorso dibattito TV, si è addirittura spinto ad affermare: “ho dato i soldi a tutti i candidati che sono qui con me su questo palco. Io di soldi ne ho abbastanza, quindi non possono comprarmi”. C’è qualcosa che non va in questo ragionamento, ma allora perché la gente applaude? Ecco, è di nuovo quel cortocircuito. Il fatto che si abbiano tanti soldi, non vuol dire che non se ne possano desiderare di più. Non esiste nessuna legge scritta o morale che impedisca a chi si è arricchito di corrompersi. Ricchezza non vuol dire onestà e ricchezza individuale non vuol dire ricchezza collettiva. Negli anni in cui Berlusconi è stato al governo, le sue azioni sono continuate a salire. Insieme allo spread però. 

Simile poi, è anche il contesto socio-politico da cui vengono Trump e Berlusconi. Entrambi sono il prodotto di una società sfiduciata nei confronti della classe politica e frustrata dal mancato rinnovamento istituzionale. Entrambi sono il frutto di una società capitalista, permeata dalla logica della distruzione creatrice, celebre teoria coniata dall’economista Schumpeter. Se il vecchio non funziona più, se non è più produttivo, allora deve lasciare il posto al nuovo, al più competitivo. È dalla distruzione che nasce la creazione. E allora ecco la discesa in campo di Berlusconi e il discorso che ha rivoluzionato la politica italiana: “Ho scelto di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un paese governato da forze immature e da uomini collegati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare”. Ecco anche Trump e la sua sortita al primo dibattito TV repubblicano: “Io francamente non ho tempo per essere politicamente corretto. E ad essere sinceri, neanche questo paese ne ha. Questo paese sta attraversando problemi giganteschi. Non vinciamo più. Stiamo perdendo con la Cina, con il Messico. Noi abbiamo bisogno di forza, di energia, di efficienza e di testa in questo paese. Solo così potremo ribaltare la situazione a nostro vantaggio”.

Trump e Berlusconi rappresentano "il nuovo che avanza". Eppure è con il vecchio che hanno fatto fortuna. Ma allora perché Trump è ancora in testa ai sondaggi? Perché la gente si fida nonostante il suo ammiccare a Berlusconi? È ancora quel cortocircuito, lo sdoppiamento del reale e del surreale. Non contano le inchieste su Trump e Berlusconi, né tantomeno i processi. Conta solo la speranza di un cittadino che crede che un uomo ricco e potente possa cambiare il paese meglio degli altri. D'altronde se quell’uomo ha saputo far crescere le sue aziende, perché non dovrebbe saper risolvere i problemi economici di uno stato? Perché lo stato è come un’azienda, o no? 

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Silvia Scaramuzza

Silvia Scaramuzza

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