In questi giorni, sui giornali, si commentano due notizie diverse e, ma solo a prima vista, senza alcun collegamento tra loro: la vendita di alcuni degli aeroporti della Grecia e l’arrivo, nei musei italiani, di dirigenti stranieri. Vediamo le due notizie nel dettaglio.
In Grecia, il premier Alexis Tsipras (e al suo rifiuto di adottare misure più radicali come quelle proposte dall’ex ministro dell’Economia Varoufakis, costretto alle dimissioni), ha aumentato il carico fiscale (che ha superato, e non di poco, i livelli che aveva prima delle ultime elezioni politiche), e ha accelerato il processo di “svendita” della Grecia. Come nel caso della concessione dei diritti di gestione di 14 aeroporti greci alla società tedesca Fraport. Una svendita a prezzo d’occasione, solo 1,2 miliardi di euro, che permetterà alla società tedesca di controllare gli aeroporti per 40 anni. Ciò consentirà alla Germania di pesare sull’intera economia della Grecia: in un Paese che (distrutte e già svendute le migliori imprese) cerca di sopravvivere grazie all’agricoltura e al turismo, una simile decisione avrà un peso enorme. Non a caso gli aeroporti acquistati sono stati quelli più “turistici”: quelli di Salonicco, Corfù, Chania (Creta), Cefalonia, Zante, Aktion, Kavala, Rodi, Kos, Samos, Mytilini, Mykonos, Santorini e Skiathos. E’ giusto per ricordare ai greci chi comanda l’economia e le finanze elleniche (e non solo quelle), le banche, nei giorni scorsi, hanno pensato doveroso fare quello che sta diventando abitudine: chiudere gli sportelli e i bancomat per alcuni giorni.
Per comprendere gli effetti che la vendita degli aeroporti potrebbe avere sul turismo ellenico, basti pensare agli effetti che ha avuto, in Italia, la vendita di Alitalia (spaccata in Lai e Cai), ad un gruppo straniero: il traffico di turisti (o meglio, di “certi” turisti, quelli con i soldi) nel Belpaese è diminuito. Negli aeroporti di altri Paesi, invece, è aumentato considerevolmente. Stessa cosa per la scalata da parte di azionisti stranieri ad aziende strategiche come Eni e Terna. Le aziende italiane e quelle che hanno dichiarato di volerne assumere il controllo, fino a non molto tempo fa sono state dirette concorrenti in gare d’appalto miliardarie in tutto il mondo: cosa succederà ora, è facile prevederlo.
Passiamo alla seconda notizia: la nomina, ai vertici di alcuni musei del nostro Paese, di soggetti con

Un’immagine degli Uffizi
passaporto straniero. Dei venti direttori nominati dal ministero dei Beni culturali, ben sette (più di un terzo) sono stranieri. Tre sono tedeschi (anche qui, come nel caso della Grecia, alla Germania è toccata la fetta più cospicua della torta), due sono austriaci, uno è inglese e uno francese. Ad esempio, agli Uffizi è stato nominato il tedesco Eike Schmidt. E al britannico James Bradburn, nato in Canada, è stata assegnata la gestione della Pinacoteca di Brera a Milano.
Immediate le polemiche e le proteste sia da parte di gruppi politici, sia da parte di esperti. A cominciare da Vittorio Sgarbi che ha detto: “Franceschini umilia italiani”. Per una volta non si può non essere d’accordo con il contestato critico d’arte: davvero su tutto il territorio nazionale non è stato possibile trovare persone altrettanto qualificate e preparate per ricoprire questi incarichi?
Senza contare che queste scelte riguardano la direzione di siti fondamentali non solo per la cultura, ma anche per l’economia del Paese. Immediata la giustificazione del selezionatore, Paolo Baratta, economista, attualmente Presidente della Biennale di Venezia: “Non ho ricevuto neanche una raccomandazione, durante la selezione mi è arrivata una, ripeto una sola telefonata sulla materia, ma era ‘neutrale’, di curiosità più che di interessamento”, ha tenuto a specificare.
Nessuno ha accusato il governo di avere ricevuto “raccomandazioni”, ma, di sicuro, di aver adottato criteri di selezione forse discutibili. Come ha tenuto a far notare Sgarbi: “Franceschini ha mortificato il suo esercito di bravissimi italiani, e si è contraddetto più volte”. Duro anche il commento di Philippe Daverio : “Un momento esaltatorio del pressapochismo italiano”. Pesanti anche le critiche di diversi partiti. A cominciare dal Movimento 5 Stelle: “Il sistema italiano di gestione dei beni culturali deve incentivare la crescita professionale dei talenti che abbiamo nel nostro Paese. Oggi assistiamo al triste spettacolo di un ministro della Cultura che affida l’incarico di direttore di alcuni dei musei più importanti d’Italia a professionisti non italiani”, hanno affermato le senatrici grilline della commissione Cultura. “Possibile che il ritardo dell’Italia di cui parla Franceschini possa essere colmato solo facendosi colonizzare e affidando le nostre immense risorse artistiche nelle mani di professionisti esteri?”.

La Pinacoteca di Brera
A proposito di spettacolo, i nuovi direttori senza passaporto italiano non hanno perso tempo per avanzare proposte discutibili. In un'intervista al Corriere della Sera, il nuovo direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, ha già proposto di "affittare a privati alcune sale del museo o concederle per eventi agli sponsor che finanziano un restauro". Immediata (e più che giustificata) la reazione alla sua affermazione. Tanto che lo stesso neo direttore (che ha così dato prova della propria professionalità) ha cercato di fare un passo indietro o di limitare i danni: “Serviranno dei criteri: non darei mai ai privati spazi come la sala della Tribuna".
Sorge spontaneo qualche dubbio anche sulla nazionalità dei nuovi direttori: come mai l’incarico di gestire i musei italiani è stato conferito a persone provenienti da Germania, Gran Bretagna, Austria e Francia? Come mai non ci sono esperti greci o spagnoli? E, ancora: come mai, se la selezione è avvenuta a livello internazionale, non ci sono esperti extraeuropei? Ma non basta. Come mai nessun italiano è stato incaricato di gestire un museo a Berlino o a Londra? Possibile che, per il selezionatore nessun italiano sia così preparato? Italiani come Claudia Ferrazzi, numero tre del Louvre o Paola Antonelli, direttore della Ricerca e Sviluppo del Museum of Modern Art di New York o Gabriele Finaldi, direttore della National Gallery di Londra e altri…
“Venti europei, nessuno straniero”, ha detto cercato di giustificarsi il ministro Franceschini. Che, però, non ha saputo spiegare come mai gli stranieri, in Italia, sono “europei” quando, invece, gli italiani, in Europa, sono “stranieri”.
La risposta a tutte queste domande, forse, è un’altra. In Italia sta avvenendo la stessa cosa che sta accadendo in Grecia: è in corso una vera e propria “colonizzazione silenziosa” da parte di imprenditori, gruppi finanziari e Paesi stranieri che, in un modo o nell’altro, avranno titolo per imporre le proprie scelte sempre di più, nel prossimo futuro. Dopo la vendita dei “gioielli di famiglia” (le aziende migliori) iniziata durante il governo Monti, nei mesi scorsi è iniziata la scalata da parte di investitori cinesi (che hanno già fatto capire che è loro intenzione assumerne il controllo) ad alcune imprese italiane del settore energetico, importantissime sia dal punto di vista economico che dal punto di vista strategico.
Ora, quella che di fatto è una vera e propria svendita dell’Italia, è continuata con la cessione del controllo di enti fondamentali (dal punto di vista culturale, ma anche economico e sociale) come i musei. E senza che nessuno del governo abbia avuto niente da dire. Una delle maggiori ricchezze del Paese, i beni storici e archeologici che, lungi dall’essere valorizzati, viene sistematicamente sottratto e saccheggiato.
In un’inchiesta dell’Fbi di qualche anno fa, in Svizzera furono scoperti diversi magazzini pieni di migliaia e migliaia di reperti archeologici e storici provenienti dall’Italia. Opere di valore inestimabile: vasi, crateri di epoca greco-romana (V e VI sececolo avanti Cristo); monete bizantine, greche e romane; vari elementi metallici (fibule-punte di freccia) e perfino una rarissima moneta antica, un tetradracma del maestro incisore Eukleidas (risalente al periodo tra il 413 ed il 399 avanti Cristo). Tutte oggetto di furti o inspiegabilmente scomparse dai siti archeologici. E portate all’estero per essere messe in vendita al miglior offerente. E, come è avvenuto spesso nella storia, è risultato che la regione maggiormente razziata dai ladri di opere archeologiche (e con il più alto tasso di scavi clandestini accertati) è stata la Sicilia (che, casualmente, è anche quella dove il restauro dei capolavori del passato avviene maggiormente a rilento)…