La Regione siciliana? Nel 2016 dovrà fronteggiare un ‘buco’ di 3 miliardi e mezzo di euro! Si era parlato di un ‘buco’ da un miliardo, forse un miliardo e mezzo di euro. Invece la situazione finanziaria della Sicilia è ben peggiore di quanto si pensasse. In pratica, la bancarotta è ormai dietro l’angolo!
Il dato, per certi versi clamoroso, anche se non inatteso, è emerso nel corso di una riunione chiesta dai vertici dell’ANCI Sicilia (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani). “Sì, siamo stati noi a chiedere questa riunione – ci dice il vice presidente di ANCI Sicilia con delega per le questioni finanziarie, Paolo Amenta -. Così siamo stati ricevuti dall’assessore regionale all’Economia, Alessandro Baccei. Abbiamo chiesto questo incontro perché, a metà agosto, su 550 milioni di euro che la Regione deve erogare ai Comuni siciliani entro il 31 dicembre di quest’anno, ancora non abbiamo visto un euro. E siccome, in molti casi, i Comuni della nostra Isola non hanno i soldi per pagare gli stipendi ai dipendenti, abbiamo chiesto un incontro a Baccei per avere notizie di questi soldi. E’ a questo punto che l’assessore ci ha ‘gelato’. Ci ha detto senza mezzi termini che la Regione siciliana, in questo momento, non sa cosa fare. Perché, per il 2016, si ritrova con un ‘buco’ di 3 miliardi e mezzo di euro. Da qui la nostra grande preoccupazione”.
Per fare chiarezza ed evitare di fare il gioco di chi dice che la Regione siciliana è spendacciona, il ‘buco’ di 3 miliardi e mezzo di Euro sul Bilancio 2016 della Regione siciliana è il frutto dei prelievi forzosi – e in alcuni casi illegittimi – operati dal governo nazionale. Non a caso, l’assessorato all’Economia della Regione è gestito da un personaggio – il già citato Baccei – inviato, anzi imposto alla Sicilia dal governo Renzi. Il problema è che, a furia di scippare soldi alla Regione siciliana (un miliardo e 100 milioni di Euro all’anno dal 2013 ad oggi, 600 milioni all’anno dalla sanità, le trattenute IRPEF e IVA, per non parlare dei contenziosi con lo Stato, vinti dalla Regione presso la Corte Costituzionali: soldi bloccati per quattro anni da un incredibile accordo firmato un anno fa dal presidente della Regione, Rosario Crocetta!), i soldi sono finiti. Lo scippo di quasi 10 miliardi di Euro in un anno e mezzo ai danni della Sicilia ha portato la Regione ad un ‘buco’ finanziario di 3 miliardi e mezzo: 'buco' riconosciuto ufficialmente – e correttamente – dallo stesso assessore Baccei.
In questo scenario si inserisce la vicenda del Patto di stabilità voluto dall’Unione Europea. Un’invenzione

Paolo Amenta, vice presidente di ANCI Sicilia
dell’Europa per ritardare i pagamenti (e per creare deflazione). L’Italia, in un anno, può effettuare pagamenti fino a una certa somma. Poi si deve fermare. Dallo Stato centrale, come un’onda, queste ristrettezze finanziarie si ripercuotono sulle Regioni e, soprattutto, sui Comuni. In pratica, lo ‘spazio finanziario’ del 2015 che la Regione siciliana ha a disposizione per pagare i Comuni è stato utilizzato per pagare agli stessi Comuni i fondi del 2014. Cosicché, per il 2015 – cioè per quest’anno – la Regione siciliana non ha la possibilità di corrispondere ai Comuni i trasferimenti. In pratica, anche se la Regione siciliana avesse a disposizione 550 milioni di euro (che comunque non ha), non potrebbe erogarli ai Comuni dell’Isola per non sforare il Patto di stabilità.
“Quello che sta succedendo è gravissimo – dice ancora Amenta – perché a rischio sono gli stipendi di migliaia di dipendenti pubblici. In tutto questo c’è un fatto che sta passando sotto silenzio: ovverossia l’indebitamento dei Comuni siciliani con il sistema bancario. Quasi tutti i Comuni sono indebitati con le banche. Con scoperture molto onerose che pagheranno in futuro gli ignari cittadini siciliani. Se le banche dovessero decidere di bloccare queste scoperture, la maggior parte dei Comuni siciliani dovrebbe interrompere tutte le attività istituzionali. Il fatto è grave perché le istituzioni non possono dipendere dalle banche”.
Fine dei problemi per i Comuni siciliani? No. C’è anche la questione dei 100 milioni di Euro che dovrebbero servire per gli investimenti. All’appello mancano anche questi soldi. Perché? Perché la Cassa Depositi e Prestiti, ancora oggi, si rifiuta di accendere questo mutuo alla Regione. Infatti la Regione, massacrata dai prelievi dello Stato, non ha a disposizione questa somma. E deve ricorrere a un nuovo indebitamento. Che la Cassa Depositi e Prestiti gli nega. A pagarne le conseguenze, ancora una volta, sono i Comuni siciliani.
Non solo. Per i Comuni siciliani, come se tutto questo non bastasse, c’è anche la spada di Damocle del decreto n. 118 del 2011, che deve essere applicato già quest’anno. “Nella riunione – ci dice ancora Amenta – abbiamo chiesto all’assessore Baccei di riaprire i termini presso la Cassa Depositi e Prestiti per potere ‘spalmare’ in trent’anni i residui attivi. Su questo punto aspettiamo una risposta. Il rischio è la mancata applicazione del decreto 118”. In pratica, il decreto 118 impone a tutti i Comuni di accertare i residui attivi e di ‘ripulire’ i bilanci. I residui attivi non sono altro che entrate fittizie, se non fasulle. Ma per potere eliminare dai propri bilanci i residui attivi i Comuni siciliani debbono accedere a una linea di credito presso la Cassa Depositi e Prestiti. Solo che i termini sono scaduti il 30 giugno.
La confusione, su questo punto, è sorta perché il Parlamento siciliano, nel maggio scorso, approvando la legge di stabilità regionale, aveva stabilito che i Comuni dell’Isola avrebbero applicato il decreto 118 a partire dal prossimo anno. Invece poi è arrivato l’ordine del governo nazionale di applicare tale decreto quest’anno. Il Parlamento siciliano avrebbe potuto resistere, mantenendo la propria posizione. Invece ha ceduto, accettando il diktat romano, gettando nel caos i Comuni siciliani, perché tale decisione è stata presa a luglio, quando, come già ricordato, si erano già chiusi i termini per consentire agli stessi Comuni di accedere a una linea di credito presso la Cassa Depositi e Prestiti. Caos su caos, insomma.
In tutto questo, il decreto 118 introduce anche il controllo analogo: in pratica, tutte le società controllate dai Comuni dovranno rendere noti i propri bilanci (cosa che oggi non fanno, come denunciano ripetutamente i revisori dei conti dei Comuni). Che significa questo? Semplice: che i bilanci delle società collegate ai Comuni confluiranno tutti nel Bilancio del Comune di riferimento. Per i Comuni dove le società collegate sono fortemente indebitate il risultato non potrà che essere uno: il tracollo finanziario. Perché un conto è nascondere i ‘buchi’ delle società comunali collegate con ‘magheggi’ finanziari vari (ritardi nei pagamenti dei fornitori, scoperture bancarie e indebitamenti vari), mentre altra e ben diversa cosa è dover dire: signori, questa società ha un ‘buco’ finanziario di tot centinaia di milioni di euro che andrà a sommarsi ai debiti del Comune…