Le elezioni in 53 Comuni della Sicilia si sono appena concluse. E mentre i rappresentanti di partiti e movimenti politici si accapigliano su chi ha vinto e chi ha perso (ovviamente, hanno vinto tutti e nessuno ha perso…), i problemi veri, quelli della vita di ogni giorno, i problemi dei cittadini siciliani alle prese con una crisi economica senza precedenti tornano prepotentemente alla ribalta. Ad occuparsene è una delegazione dell’ANCI Sicilia, l’Associazione dei Comuni dell’Isola, che oggi pomeriggio, a Roma, incontrerà il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Claudio De Vincenti, che ha preso il posto di Graziano Delrio. Obiettivo: provare a rimettere sul tavolo e nell’agenda del governo nazionale “i temi ed i problemi dei Comuni siciliani sempre più al collasso”, si legge in una nota dell’Anci Sicilia.
“Torneremo ancora una volta ad incontrare il governo nazionale – dice il vice presidente di ANCI Sicilia, Paolo Amenta, sindaco di Canicattini Bagni, un centro della provincia di Siracusa – per rimarcare al sottosegretario De Vincenti le difficoltà e la drammaticità della situazione finanziaria dei Comuni siciliani, ormai privi di risorse e con le ‘casse’ vuote. Una situazione penalizzata a livello finanziario dai tagli sempre più consistenti da parte di Stato e Regione, aggravati dalla mancata applicazione in Sicilia del Federalismo fiscale”.
Va ricordato che, mentre i giornali e le tv illustrano i risultati delle elezioni amministrative, in Sicilia, in tanti Comuni, non ci sono nemmeno i soldi per pagare i dipendenti. Una situazione che è figlia delle scelte del governo nazionale di Matteo Renzi, che ha tagliato ai Comuni un sacco di soldi (i trasferimenti dello Stato). Anche in Sicilia, insomma, va in scena lo scarica-barile: il governo nazionale dice di non aver aumentato la pressione fiscale, ma ha tagliato le risorse finanziarie ai Comuni, costringendoli ad aumentare le tasse e le imposte locali. Solo che in Sicilia e, in generale, nel Sud, i cittadini sono già poveri: più poveri, in proporzione degli abitanti del Centro Nord, come certifica ormai da anni la Svimez nel silenzio generale.
Insomma, per i Comuni siciliani, oggi, la vera sfida è trovare risorse senza pesare ancora sulle tasche dei cittadini, cioè di famiglie e imprese dell’Isola. Due le vie da percorrere: intercettare direttamente i fondi europei, che in Sicilia sono ancora oggi gestiti in modo centralizzato da una Regione che in molti casi li utilizza male, o non li utilizza affatto; e le riforme per rendere meno pesanti per i cittadini il costo dei servizi, a cominciare da acqua e rifiuti. Ma su questo fronte si impatta con la borghesia mafiosa, quella dei ‘colletti bianchi’, fatta di società per azioni e comitati di affari. Una borghesia mafiosa che ancora oggi, in Sicilia, controlla acqua e rifiuti.
“Con De Vincenti – aggiunge Amenta – vogliamo affrontare anche lo scotto dei ritardi ingiustificati della politica siciliana, del Governo come del Parlamento dell’Isola nell’avviare quelle riforme necessarie che, se ancora rinviate, decreteranno la morte della Sicilia”. A questo punto Amenta affonda il bisturi negli affari della ‘Malasignoria’ che ancora oggi controlla la Sicilia: “Al governo nazionale vogliamo sottoporre la mancata l’approvazione della legge sull’acqua pubblica, con l’organizzazione del sistema idrico integrato, e relativi investimenti su rete idriche, fognature e depuratori. E con l’acqua, l’altra drammaticità, l’assenza di un Piano di gestione dei rifiuti che prescinda dalle discariche e soprattutto dagli inceneritori, ma che piuttosto parli esplicitamente di differenziata e che si lega alla realizzazione in Sicilia del Piano dell’Impiantistica Pubblica regionale, vedi le piattaforme per il compostaggio e per la differenziata”.
Amenta tocca due temi delicatissimi: acqua e rifiuti. Ancora oggi, in Sicilia, l’acqua è gestita dai privati. Una gestione scadente, se non fallimentare (in alcuni casi, come a Palermo e a Siracusa, le società private che operavano nel settore idrico sono fallite). Perché, allora, i privati continuano a gestire questo settore se non ci guadagnano? Per due motivi. In primo luogo, perché vorrebbero mettere le mani sui fondi europei della Programmazione 2014-2020. Risorse che dovrebbero servire per le infrastrutture idriche dell’Isola, ma che i privati vorrebbero utilizzare per ‘infrastrutturare’ i bilanci delle proprie aziende. In seconda battuta, c’è sempre la possibilità, per i privati che gestiscono l’acqua, sia di lucrare sulle ‘bollette’ (in tanti Comuni dell’Isola le ‘bollette’ sono le più salate d’Italia), sia di dare vita a contenziosi contro la pubblica amministrazione nella speranza di trovare 'sponde' nella Giustizia amministrativa.
A difendere i Comuni dalla mafia dell’acqua non è la politica siciliana che, al di là delle chiacchiere, in quasi tre anni di legislatura (il Parlamento siciliano si è insediato nel novembre del 2012 e completerà la legislatura tra circa due anni) non ha combinato nulla: l’acqua, in Sicilia, è ancora gestita dai privati, mentre il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno alla gestione pubblica dell’acqua, in accordo con i risultati del referendum popolare del 2011 (vinto con larghissima maggioranza dai fautori dell’acqua pubblica), è stato insabbiato dal Parlamento siciliano, per volontà di una borghesia mafiosa della quale la politica siciliana è serva, alla faccia dell'antimafia di facciata sventolata nelle commemorazioni ufficiali (qualche settimana fa quella di Giovanni Falcone e, nel luglio prossimo, quella di Paolo Borsellino).
La stessa commissione legislativa Territorio e Ambiente del Parlamento siciliano, presieduta da un esponente del Movimento 5 Stelle, Giampiero Trizzino, in tre anni ha prodotto solo chiacchiere e scartoffie, con la sceneggiata finale di qualche settimana fa, ovvero il solito annuncio, molto democristiano-doroteo, di un'improbabile 'riforma'. Una recita per carpire il voto agli elettori siciliani che vogliono il ritorno all’acqua pubblica. Di fatto, in Sicilia, l’acqua resta privata, mentre ai lavori della commissione Ambiente e Territorio del Parlamento siciliano, da tre anni, partecipano, non si capisce bene a che titolo, esponenti del mondo imprenditoriale con l’obiettivo di affossare ogni pallido tentativo di riformare il sistema per toglierlo dalle grinfie dei privati.
La stessa musica per la gestione dei rifiuti, ancora oggi imperniata sulla follia delle discariche, quasi tutte gestite dai privati. A differenza di quanto avviene nei Paesi civili, in Sicilia l’immondizia finisce, in massima parte, sotto terra, inquinando aria e falde idriche. Un affare losco che frutta ogni anno ai privati che gestiscono le discariche da 200 a 240 milioni di euro. Il tutto sulla pelle dei Comuni siciliani (e quindi dei cittadini siciliani che pagano le tasse!). A interrompere questo sistema truffaldino ha provato, almeno in parte, l’ex assessore regionale, Nicolò Marino. Ma è stato ostacolato dalla borghesia mafiosa e sbattuto fuori dal governo della Regione.
Si pensava che con l’arrivo del nuovo assessore che si occupa di acqua e di rifiuti – il magistrato Vania Contraffatto – lo scenario sarebbe mutato. In effetti, a parole è mutato. L’assessore Contraffato ha detto che si batterà per avviare la raccolta differenziata dei rifiuti e per superare la logica delle discariche. Ma alle sua parole, però, non stanno seguendo i fatti. Anzi, per essere precisi, seguono fatti che sembrano in antitesi con i suoi riproponi menti. E non c’è da stupirsi, dal momento che la signora Vania Contraffatto, al governo della Regione, è arrivata con la copertura politica dei renziani siciliani: cioè di quella parte del Pd che non ne vuole sapere manco a brodo né dell’acqua pubblica, né di un cambiamento radicale nella gestione dei rifiuti.
Nell’incontro di oggi a Roma i vertici di Anci Sicilia porranno anche la questione della “Riforma istituzione dei Liberi Consorzi e delle Città metropolitane, rimaste nella più nera incertezza, privando i territori di servizi ed interventi come sulle scuole, sulla viabilità sui disabili”. La riforma delle Province, in Sicilia, è rimasta impantanata perché il governo regionale e i partiti che ne fanno parte pensano di continuare a gestire le nove Province con i commissari, fino alla scadenza della legislatura. Nella speranza – smentita qualche giorno fa dai risultati elettorali dei 53 Comuni dell’isola – che tale gestione commissariale porti voti.
Altro capitolo: i fondi europei. Amenta chiede che almeno il 50 per cento dei fondi europei destinati alla Sicilia “venga destinato direttamente ai territori per le progettazioni dal basso”. Anche perché, come già accennato, la Regione siciliana autonoma ha dimostrato di non avere la capacità e le professionalità per gestire queste risorse finanziarie.
Amenta parla, poi, della “questione sociale, con la crescita ormai incontrollata della povertà e della disoccupazione, che in Sicilia ha numeri più che preoccupanti con oltre il 65% di quella giovanile e oltre il 35% di quella generale. Un fenomeno che se non arginato in tempo – conclude il Vice Presidente Paolo Amenta – rischia di diventare un vero e proprio conflitto sociale, con crescita della microcriminalità e la fornitura di manovalanza alla mafia. Queste le emergenze sulle quale vorremmo confrontarci con il governo nazionale per trovare azioni e soluzioni condivise”.
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