La sorpresa di queste elezioni comunali siciliane 2015 si chiama Calogero ‘Lillo’ Firetto, eletto con quasi il 60 per cento dei voti sindaco di Agrigento. Politico di scuola democristiana, Firetto (nella foto sotto, a destra), contrariamente a quello che leggiamo oggi su quasi tutti gli altri giornali on line e cartacei, non è omologabile né al centrodestra, né al centrosinistra. E, soprattutto, non ha nulla a che spartire con il Pd, partito che, anzi, ha cercato di ostacolarlo in tutti i modi. La sua è nata come candidatura civica in netta contrapposizione al vecchio sistema dei partiti che ha cercato, senza riuscirci, di imbrigliarlo. Forse l’unica formazione politica che avrebbe qualche titolo per rivendicare qualcosa su Firetto potrebbe essere l’Udc, visto che il neo sindaco di Agrigento, nel 2012, è stato eletto parlamentare regionale in questo partito. Ma nemmeno questa ‘lettura’ è corretta, perché Firetto, da tempo, non è in sintonia con l’Udc (si è dimesso da capogruppo dell'Udc al Parlamento siciliano).
Per il resto, il voto nei 53 Comuni della Sicilia registra una difficile ‘lettura’ per via della nuova legge elettorale. E tanta confusione. In tanti, oggi, parlano di una conferma del Pd e dell’alleanza di governo che oggi amministra la Sicilia. A noi questa sembra un’interpretazione forzata, affrettata’ e sbagliata. In primo luogo, perché 53 Comuni sono pochi rispetto ai circa 400 Comuni della Sicilia. In secondo luogo, perché nelle elezioni comunali giocano molto i fattori locali, che spesso hanno poco o punto a che vedere con i fatti politici regionali e nazionali. E poi perché, come vedremo, si è votato con una nuova legge elettorale che in alcuni casi ha pesato, in negativo, per i candidati sindaci.
Quanto al Movimento 5 Stelle, i ‘numeri’ non sono stati quelli sperati. Ma considerato che era la prima volta dei grillini alle elezioni comunali siciliane, il risultato è tutto sommato buono. Ha un po’ deluso, invece, la Lega di Salvini. Ribadiamo: 53 Comuni sono troppo pochi per verificare se i leghisti si vanno radicando anche in Sicilia. Qualche timido segnale la Lega di Salvini l’ha raccolto ad Agrigento con Marco Marcolin: candidato sindaco, quest’ultimo, che non ha comunque incantato.
Non sono mancati, come abbiamo già detto per Agrigento, i risultati clamorosi. A Gela, ad esempio, sono andati in scena la secca sconfitta del presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta (nativo di Gela), la sconfitta del Pd e, in generale, la sconfitta del centrosinistra. In questa cittadina del Nisseno, martoriata da un inquinamento senza eguali e da una spaventosa crisi economica e sociale, un governo regionale e un Pd che controllano praticamente tutto non sono riusciti non diciamo a fare vincere al primo turno, ma almeno a far fare una bella figura al sindaco uscente, Angelo Fasulo, che non è arrivato nemmeno al 30 per cento. Fasulo andrà al ballottaggio contro il candidato del Movimento 5 Stelle, Domenico Messinese. E rischia di perdere.
E’ andata un po’ meglio ad Enna, dove Vladimiro ‘Mirello’ Crisafulli (nella foto sotto, a sinistra), dirigente storico dell’ex Pci di questa provincia, è andato, almeno apparentemente, ben al di sotto delle attese, raggiungendo il 41 per cento dei voti. Crisafulli, che veniva dato eletto al primo turno, se la vedrà, al ballottaggio, contro Angelo Girasole. Con molta probabilità, nella mancata elezione a primo turno di Crisafulli ha pesato, più che in altre città, la nuova legge elettorale per le elezioni comunali voluta dal Parlamento siciliano. Una legge che – caso unico in tutta l’Italia – ha introdotto il cosiddetto voto confermativo per il sindaco. Proviamo a illustrare di che cosa si tratta.
Fino a prima dell’approvazione di questa legge, il voto espresso ad una qualunque lista andava automaticamente al candidato sindaco della coalizione che sosteneva lo stesso candidato sindaco. Era, questo, il cosiddetto ‘effetto di trascinamento’: il voto alla lista per il Consiglio comunale andava automaticamente anche al candidato sindaco. Oggi, con la nuova legge voluta dal Parlamento dell’Isola, non è più così. Oggi il cittadino elettore, oltre ad esprimere il voto per la lista relativa alle elezioni del Consiglio comunale, deve segnare anche il nome del candidato sindaco. Questo spiega perché, in questa tornata elettorale, soprattutto nei grandi e medi Comuni – e segnatamente a Enna – è stata registrata una grande differenza tra i voti di lista e i voti al sindaco.
Abituati alle regole del passato, molti cittadini di Enna, una volta espresso il voto per la lista che pensavano essere collegata a Crisafulli, hanno ipotizzato – sbagliando – che il loro voto sarebbe finito automaticamente allo stesso Crisafulli. Ma ormai, come abbiamo accennato, non è più così, perché non c’è più il voto di ‘trascinamento’, ma il voto confermativo per il sindaco. A dimostrare il fatto che la nuova legge, ad Enna, ha penalizzato il candidato sindaco del centrosinistra sono gli stessi risultati elettorali: le liste più o meno legate a Crisafulli, infatti, hanno preso molti più voti dello stesso candidato sindaco. Con molta probabilità, con la vecchia legge elettorale, Crisafulli sarebbe oggi sindaco con oltre il 60 per cento dei voti (e questo nonostante il mancato appoggio del suo partito, il Pd, che anzi a livello nazionale ha provato a ostacolarlo in tutti i modi).
Il ‘caso’ Crisafulli e, in generale, tutto l’andamento di queste elezioni conferma un errore commesso dal Legislatore siciliano nell’approvare la legge elettorale del voto confermativo per il sindaco. Sarebbe stato molto più razionale il ricorso alla doppia scheda: una per l’elezione del sindaco e una per l’elezione del Consiglio comunale. Questo avrebbe evitato la confusione tra gli elettori. Per il resto, sempre ad Enna, va segnalato il 17 per cento raggiunto dal candidato del Movimento 5 Stelle, Davide Solfato. Un risultato di tutto rispetto, in una città estremamente ‘politicizzata’.
Ma se ad Enna la nuova legge elettorale ha penalizzato Crisafulli, la stessa legge rende ancora più significativa la vittoria del già citato Firetto ad Agrigento. In pratica, nella Città dei Templi, sei elettori su dieci sono entrati nella cabina elettorale con in testa il suo nome. E l’hanno votato in base alla nuova legge: ‘confermando’ il suo nome e il suo cognome sulla scheda. Bene anche le sue liste del nuovo sindaco (con la vittoria al primo turno, legge alla mano, Firetto avrà un ampia maggioranza in Consiglio comunale).
Sempre per la cronaca, Firetto non ha nulla a che spartire nemmeno con il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano. Il Ministro degli Interni, agrigentino di Agrigento, ha messo il 'cappello' sulla candidatura a sindaco di Firetto. Ma questo non significa che ha funzionato l'asse Udc-Nuovo centrodestra, che non esiste né ad Agrigento, né in Sicilia. E questo per due motivi. Primo: perché Firetto, come già detto, è autonomo dall'Udc. Secondo: perché il partito del Ministro Alfano non sembra avere molto seguito ad Agrigento e in Sicilia. La vittoria di Firetto, lo ribadiamo, è la vittoria di una candidatura 'civica', al di fuori dei partiti tradizionali e, quindi, non ha nulla a che vedere con il Pd, con Udc e con il Nuovo centrodestra (anche perché senza il già citato 'effetto di trascinamento' le liste, per l'elezione del sindaco, non contano più nulla: conta solo la forza elettorale del candidato a sindaco).
Disastroso, invece, il risultato del Pd di Agrigento, le cui liste si fermano a poco più del 9 per cento. Per un partito che esprime il governo nazionale, il governo regionale, che gestisce la Provincia con un commissario, che esprime (grazie al Porcellum) quattro parlamentari nazionali, due parlamentari regionali, più il vice presidente della Regione prendere il 7-8 per cento dei voti non è una sconfitta: è una debacle.
Dobbiamo ricordare, come detto all’inizio, che il Pd ha provato a bloccare la candidatura a sindaco di Firetto inventando le primarie di centrosinistra insieme con Forza Italia, altra formazione politica che ad Agrigento città sembra in caduta libera. Primarie vinte dal berlusconiano Silvio Alessi (uno dei sette candidati a sindaco battuti da Firetto) e poi annullate dal Pd. Insomma, per questo partito le elezioni comunali di Agrigento sono da dimenticare.
Chi invece dovrà mettersi subito al lavoro è lo stesso Firetto. Sul quale pesa una responsabilità enorme. Il nuovo sindaco eredita una città che è stata amministrata malissimo. Basti pensare al sistema della depurazione delle acque, che è in tilt da Agrigento a Siculiana. Con il risultato ovvio di un mare inquinato. Cosa, questa, che per una città turistica non è il massimo. Per non parlare del problema dei rifiuti. Agrigento, nei primi anni del 2000, era la città e la provincia dove la raccolta differenziata dei rifiuti era al primo posto in Sicilia. Dal 2008 in poi la città e la provincia sono state consegnate nelle mani dei ‘Signori delle discariche’, che in questa provincia di identificano con i ‘Professionisti dell’Antimafia’. Il tutto con imposte e tasse comunali che ad Agrigento sono ai massimi livelli. In ogni caso, la crisi finanziaria non riguarda solo Agrigento, ma quasi tutti i Comuni siciliani. Alle prese non soltanto con le ‘casse’ vuote (in molti Comuni mancano i soldi per pagare i dipendenti, per non parlare dei precari), ma anche con la questione rifiuti.
Una città dove il centrosinistra ha vinto – anche se non ha eletto il sindaco al primo turno – è Marsala. Qui Alberto Di Girolamo, ex segretario dei Democratici di sinistra negli anni ’90, ha sfiorato il 50 per cento dei voti. Di Girolamo andrà al ballottaggio contro Massimo Grillo, candidato moderato (Grillo è stato parlamentare regionale, poi parlamentare nazionale e, come molti ex democristiani, ha ‘navigato’ sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra). Buona la prestazione del candidato grillino, Antonio Angileri, che ha raggiunto il 14 per cento. Per i grillini va segnalato il buon risultato nel Comune di Augusta dove la candidata, Cettina Di Pietro, ha raggiunto il 30 per cento e andrà al ballottaggio contro l’ex assessore provinciale, Nicky Paci. I grillini – altro elemento degno di nota – conquistano anche il Comune di Pietraperzia, nell’Ennese, con Antonio Bevilacqua.
Per il resto, il significato di questo passaggio elettorale è più di politica locale che regionale. Da segnalare il caso di Caltavuturo, provincia di Palermo, il paese delle basse Madonie rimasto isolato dopo la frana della collina che ha travolto il viadotto Imera lungo l’autostrada Palermo-Catania (nella foto a destra, la frana vista dall'alto). Alle elezioni si è presentato un solo candidato: Domenico Giannopolo, già sindaco di Caltavuturo e già parlamentare regionale di centrosinistra. In questi casi, legge alla mano, è sufficiente che alle urne si rechi il 50 per cento più no degli elettori. E così è stato.
Insomma, Giannopolo correva contro se stesso (la stessa cosa è avvenuta nel Comune di Lascari, sempre in provincia di Palermo). Segnaliamo il caso di Caltavuturo perché qui ha fatto tutto il centrosinistra, che governa la Regione siciliana dal 2008 (e Caltavuturo da decenni): non ha fatto nulla, negli ultimi sette anni, per evitare che la collina franasse sull’autostrada (le segnalazioni di eventuali pericoli risalgono agli anni ’90!) e sta facendo poco o nulla per risolvere i problemi che si sono creati dopo la frana.
Da quando l’autostrada Palermo-Catania è stata chiusa al traffico, né il governo nazionale di centrosinistra, né il governo regionale di Rosario Crocetta hanno fatto nulla di concreto (a parte la nomina di due commissari, uno nazionale e uno regionale, che dovrebbero gestire gli appalti: metà tu e metà io…). Tant’è vero che l’autostrada è ancora chiusa con enormi disagi per gli abitanti di questi luoghi e, in generale, per l’economia siciliana.
Hanno fatto qualcosa gli abitanti di Caltavuturo, che hanno creato una strada alternativa tra i poderi privati. Hanno fatto quello che non ha fatto, in tutti questi anni, l’amministrazione comunale di Caltavuturo: e cioè creare un’alternativa a un’autostrada nata male (sulla Palermo-Catania indagava Rocco Chinnici nei primi anni ’80 del secolo passato) e che da anni è a rischio. Nonostante tale sfascio, questa cittadina non è riuscita ad esprimere un candidato alternativo a uno schieramento politico – e ai vecchi politici – protagonisti, alla fine, di tale sfascio. E hanno eletto sindaco un personaggio che è espressione del governo nazionale e del governo regionale: due governi che non sono riusciti ancora a riaprire l’autostrada.
Per chiudere, qualche considerazione finale. L’affluenza al voto, nel complesso, è stata un po’ più bassa rispetto alle elezioni amministrative precedenti. Il tutto in uno scenario che, per i Comuni siciliani, definire catastrofico è poco, tra crisi finanziaria, crisi nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti e via continuandoi con altri problemi.
Segnaliamo un altro particolare che è passato inosservato, ma che ha pesato, e non poco, in queste elezioni: gli sbarchi di migranti e il giro di affari che sta dietro l’assistenza. In pratica, la Sicilia è andata al voto, in queste elezioni amministrative, con i centri di assistenza ai migranti che gestiscono forniture per decine e decine di milioni di euro senza il ricorso ad evidenza pubblica (in pratica, per assegnazione diretta da parte di chi gestisce questo affare); e con assunzioni di personale per chiamata diretta (si pensi a psicologi, assistenti sociali e ad altre figure). Per capire di che cosa stiamo parlando, ricordiamo che la sola assistenza prestata dagli oltre 350 centri ai minori non accompagnati arrivati con i barconi presenti nella nostra Isola costa circa 80 milioni di euro all’anno. Ai quali si aggiungono i copiosi fondi per la gestione del Cara di Mineo e gli altri fondi, altrettanto copiosi, per gestire i centri sparsi per l’Isola.
Che dire? Meno male che non c’è voto di scambio, sennò…