Lo statista Luigi Einaudi riteneva che il riconoscimento di ampie autonomie alle singole regioni italiane fosse “condizione necessaria per rinsaldare l’unità nazionale”. Parole pronunciate il 7 Maggio del 1947 in una famosa seduta della Consulta nazionale che rivelano l’acume del politico dinnanzi alle spinte secessionistiche che attraversavano l’Italia all’indomani del secondo conflitto mondiale. Di fatto, l’Autonomia concessa alle regioni (la Val d’Aosta e la Sicilia per prime) fu l’escamotage trovato dalle classi dirigenti di allora per evitare che alcune regioni perseverassero nel loro disegno indipendentista. L'antidoto contro quello che i partiti nazionali centralisti consideravano "il veleno dell'indipendentismo".
La Sicilia, in questo contesto, era sicuramente la regione che destava più preoccupazione. Qui, infatti, il movimento indipendentista era radicato e organizzato. Basti pensare che, tra il 1943 e il 1945, i leader separatisti si confrontavano direttamente con il governo degli alleati che, dopo lo sbarco comandavano in Sicilia (Allied Military Government Occupied Territory). Che il capo della diplomazia Usa, il colonello Charles Poletti, nominò tantissimi sindaci separatisti in Sicilia e che la stampa estera registrava, molto più di quella italiana, e senza i pregiudizi di quella italiana, la portata del fenomeno.
Tralasciando in questa sede di indagare i motivi che portarono gli alleati, dopo il 1945, a non sostenere più la causa separatista siciliana (i più spiegano questo cambiamento con i nuovi equilibri geopolitici che si stavano man mano configurando) una cosa certa è che l’Italia, tornata padrona dei territori che erano stati occupati, si trovò dinnanzi una Sicilia più che mai recalcitrante: masse popolari e borghesia (quanto fu trasversale l’indipendentismo in Sicilia lo spiega bene, ad esempio, Giuseppe Carlo Marino in Storia del Separatismo Siciliano, Editori Riuniti) non avevano nessuna voglia di continuare a fare la fame per tenere unita l’Italia.
Intanto, però, a livello nazionale si andava affermando quel partito che più di altri ha remato contro l’indipendenza Siciliana, ovvero la Democrazia Cristiana. Il Pci, non fu da meno e anche se Palmiro Togliatti non esitò a definire la questione siciliana una “questione seminazionale”, i diktat centralisti ebbero la meglio (nel libro Sicilia contro Italia di Salvatore Nicolosi, queste dinamiche sono raccontate nel dettaglio).
I grandi partiti italiani, dunque, per sedare la voglia d indipendenza, si inventarono il concetto di Autonomia.
Dopo lotte feroci, repressioni sanguinarie, errori dello stesso movimento indipendentista e varie strategie di finesse politica, la Sicilia dunque dovette accontentarsi di uno Statuto Speciale Autonomistico, per cui si spesero anche i grandi partiti (l’avvocato Guarino Amella, tra i padri dello Statuto in quota Dc, nel 1946 andava ripetendo che“in Sicilia tutti i partiti sono d’accordo con l’Autonomia”).
Statuto di cui ieri ricorreva- come vi abbiamo detto qui -il sessantanovesimo anniversario e che altro non è stato se non il frutto di un accordo ‘pattizio’ tra l’Italia e la Sicilia.
Un patto dunque. Parola che, fino a prova contraria, significa accordo tra due o più parti. Domanda: se una delle parti non rispetta gli accordi, il patto è ancora valido?
La logica suggerisce una risposta negativa. Ed è un fatto che il patto dell’’Autonomia Siciliana è stato profondamente tradito dallo Stato italiano che non ha mai consentito l’applicazione degli articoli più importanti dello Statuto. Il riferimento è alle norme finanziarie (articoli 36, 37, 38), quelle cioè che avrebbero potuto garantire benessere ai siciliani, con il principio di perequazione, della territorialità delle imposte e della fiscalità di vantaggio. Gli esperti stimano che almeno dieci miliardi l'anno che spetterebbero ai Siciliani, vengono trattenuti da Roma. Norme disattese anche grazie alla complicità dei servi siciliani dei partiti nazionali, pronti solo a garantirsi, attraverso lo Statuto, le prebende speciali.
Il tradimento del patto sull’Autonomia siciliana è più che mai evidente oggi, con l’attuale Governo Siciliano guidato da Rosario Crocetta, particolarmente 'ubbidiente' nei confronti di un Governo nazionale con chiare tendenze centraliste che non esita a mettere le mani nelle tasche già vuote dei Siciliani. Un Governo nazionale, i cui esponenti, evidentemente, non hanno letto Einaudi e la sua tesi sull’importanza della concessione delle autonomie in chiave unitaria
Un tradimento che appare assai più grave se si considera che i livelli di povertà che sta toccando la Sicilia ricordano, con le dovute differenziazioni storiche, quelli degli inizi del Regno d’Italia.
E non è certo un caso che, oggi più che mai, sull’Isola torna a soffiare il vento dell’indipendentismo. A dargli forza, è proprio l’Italia che ha tradito i patti con i Siciliani, con l’aiuto di una casta siciliana che pensa solo a preservarsi.
Per inciso, i movimenti indipendentisti ci sono sempre stati (“Il fuoco dell’indipendentismo non si spegnerà mai” dicevano i leader separatisti del dopoguerra), tanti e variegati e soprattutto frazionati.
Quello che oggi sembra diverso è che molti indipendentisti si stanno riorganizzando, stanno cercando di riunirsi sotto una unica bandiera, di coinvolgere la gente comune, i professionisti, le scuole come gli intellettuali.
Ne è un esempio Sicilia Nazione, movimento che, in pochi mesi, è già passato ai fatti e alle piazze reali (non solo virtuali). Ieri, 15 Maggio, festa dell'Autonomia Siciliana, alcune centinaia di persone (cinquecento secondo gli organizzatori), nonostante il caldo afoso di scirocco, nonostante il giorno feriale, hanno sfilato per le strade di Palermo. Poi una convention in un teatro.
“Da Gennaio ad oggi siamo riusciti a coinvolgere migliaia di persone. Questo significa che il seme sta germogliando. Che molti siciliani hanno capito che la Sicilia in questa Italia ha solo da perdere- ha detto Rino Piscitello, uno dei fondatori del movimento- d’altronde è stata l’Italia a tradire la Sicilia, a depedarla delle sue risorse, e quindi oggi è chiaro che, o si rinnova un patto federativo o l’unica alternativa sarà la lotta per l’indipendenza”.
“Malta – ha aggiunto Piscitello-per avere attuato quella fiscalità di vantaggio che prevede anche il nostro Statuto, ma che lo Stato non ha mai voluto riconoscerci, ha un Pil che cresce quasi quanto quello della Cina. E noi, cosa dovremmo fare, aspettare di perire del tutto?”.
Tra gli interventi, anche quello di Massimo Costa, docente di Economia all’Università di Palermo, autore di molti studi che hanno quantificato i furti dello Stato in danno della Sicilia:
“Solo una forza interna alla Sicilia potrà fare rinascere questa terra. I Siciliani non sono così stupidi da credere che qualcuno li salverà da fuori, i Siciliani- ha dichiarato Costa- non credono più nei partiti nazionali e lo dimostrano non andando a votare. Bisogna solo farli tornare a credere in loro stessi, contro tutti quei pregiudizi confezionati ad arte dai poteri centrali”.
Una strigliata anche alla stampa: “Il silenzio stampa sugli indipendentisti è vergognoso, ma saranno costretti a parlare di noi. Alcuni anni fa nessuno aveva il coraggio di definirsi indipendentista, oggi non è più così”.
A prendere la parola anche Gaetano Armao, altro co-fondatore del movimento: “Abbiamo ben chiaro che Autonomia significa anche responsabilità, ma nessuno riuscirà a convincerci che non abbiamo le capacità per governarci da soli. La Sicilia può essere competente, competitiva, innovativa. Può vivere grazie al turismo, all'energia che produce. Dobbiamo solo liberarla dal cappio di chi la considera una colonia e da chi la governa male. La Sicilia dovrà confrontarsi direttamente con l’Europa facendo perno sulla sua insularità”.
Gli esponenti di Sicilia Nazione hanno ribadito di essere in sintonia con le lotte indipendentiste degli scozzesi, dei catalani e degli altri popoli in lotta per l’indipendenza e hanno sottolineato il fatto che una Sicilia indipendente avrebbe le risorse necessarie per costruire lo sviluppo finora negato e che comunque, come dimostrano ad esempio le lotte degli scozzesi, già la sola battaglia per l’indipendenza determina una crescita delle attenzioni e delle disponibilità da parte dello Stato centrale (il Governo di Londra è attentissimo alle loro richieste) tale da rendere comunque utile e conveniente un tale impegno.
Insomma, si scaldano i motori. Qui non si parla più solo di applicazione dell'Autonomia o dell'Autonomia tradita. L’Italia ha risvegliato l’indipendentismo siciliano.