Ogni tanto l’ex Presidente del Consiglio Massimo D’Alema riesce ad essere persino simpatico, accantonando la sua abituale maschera retoricamente puntuta e perennemente velleitaria: ingrigita fra cupezze rimuginanti e ineffabili strategie di pensiero e d’azione. Lunedì scorso il suo nome è stato indebitamente divulgato sui media, dove si potevano leggere intercettazioni telefoniche o d’altra specie, a corollario esornativo delle indagini sugli impianti di metano nell’isola di Ischia. Com’è noto, D’Alema non è persona indagata, e tuttavia, dalla sede investigativa abbiamo saputo che i suoi vini e i suoi libri piacciono e vengono venduti. Perché stupirsi? Le indagini penali in Italia, severe e istituzionali senza uguali al mondo, non temono il confronto nemmeno con dotte recensioni e raffinate degustazioni. D’altra parte, in queste ore, anche il Segretario della Fiom, Maurizio Landini, ha visto una sua fresca fatica letteraria (sul 1° Maggio, ca va sans dire) cupidamente acquistata da un accanito lettore (60000 copie: da Coop Adriatica, che, a sua volta, ne farà un cadeau per i suoi clienti), perciò nessuna meraviglia desta la fattiva ammirazione espressa anche verso l’estro compositivo dalemiano.
Ma egli si è detto “indignato e offeso”, non perchè i suoi vini si bevono e i suoi libri (peraltro la miseria di 500, rispetto alla dimensione alessandrina dell’Opera-Landini), ma perchè la notizia è stata affiancata a fatti presuntivamente criminosi. Allora si è dolorosamente chiesto: “Non sono indagato per nessun reato, perché rendere pubbliche in un atto giudiziario cose private di persone come mia moglie?”. Eh già: perchè? Nel tentativo di darsi una risposta, si è avventurato nei penetrali della ricerca pionieristica, nella solitudine del volo impavido che avanza trepido ma eroico per spazi ignoti e, giunto alle soglie dell’abisso inesplorato, ha osato: “I Pm cercano pubblicità”.
Era in allure da Icaro, sicchè non ha voluto correre il rischio che la sua audacia interpretativa e, soprattutto, politica, non suscitasse la giusta eco nella cronaca e non conquistasse il meritato posto nella storia, o addirittura non si sublimasse nel mito; perciò, al Corriere della Sera che lo intervistava, ha voluto subito aggiungere: “Non c’era alcuna necessità di utilizzare intercettazioni fra terze persone, senza valore probatorio, dove si parla di me de relato. Allora mi viene il sospetto che ci sia un motivo, per così dire, extra-processuale”. Altro che Icaro: qui siamo al Graal, alle verità nascoste che mutano le sorti del mondo, alla scintilla che solo un’ispirazione superiore può spiegare.
La conclusione non poteva che essere all’altezza di questo slancio mistico: e così ha sprigionato il fragore del tuono e il baluginìo della rivelazione predestinata, il gorgheggio profetico, la vibrazione apocalittica: “Credo però che l’organo di autogoverno della magistratura, il CSM, ma anche l’Associazione magistrati, dovrebbero esercitare una maggiore vigilanza affinché certe misure non siano superate e la magistratura non si delegittimi da sola. Non ritengo legittimo un uso delle intercettazioni come quello che è stato fatto nei miei confronti”. Lo sbigottito intervistatore, di fronte ad un D’Alema astrale, magari avrà pensato: “E par che sia una cosa venuta/ da cielo in terra a miracol mostrare”.
Ma questa non è simpatia, è magnetismo. La simpatia si è schiusa qualche giorno dopo, quando, nonostante il suo verbo messianico e chiarificatore, le folle ancora mostravano di non capire e, al gracidìo di un giovane miscredente che (peraltro ad orecchio ed infondatamente) accostava le bottiglie ad una convention del PD, mimando compostezza, ma precipitando dalle vertigini delle Sefiroth al grigiore costernato di una pattuglia stradale alla cui paletta nessuno presti il dovuto omaggio, ha intimato: “Mi dia il suo nome, la denuncio”.
Giunto sulla nuda terra, e dato che come mistico e profeta non c’era verso, si sarà interrogato sul da farsi, sul come proseguire il suo cammino fra orecchie dure, cuori ingrati e occhi ciechi: su come raccontare ai posteri l’inferno postmoderno e tecnologico che è diventata l’Italia di Orwell-Legalità: tanta sofferenza non può che indurre in chi osserva uno sguardo condolente, appunto, una simpatia. Certo, modesto com’è, alle soglie di questa nuova missione sotterranea, il Nostro si sarà chiesto: “Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede? Io non Enëa, io non Paulo sono; me degno a ciò né io né altri 'l crede”.
Siamo però certi che non si lascerà sopraffare dallo sgomento, e saprà spiegare come lui, Occhetto e gli altri rampolli di questa prodigiosa schiatta, abbiano saputo trasformare un’esperienza umana e politica nata fra carcere, confino e clandestinità, nella servitù di un apparato meccanico che imprigiona, confina e origlia: incessantemente, irresponsabilmente, trionfalmente.