L’appuntamento è per martedì prossimo a Palermo, in Piazza Politeama. I sindaci e, in generale, gli amministratori dei Comuni di tutta l’Isola avrebbero potuto incontrarsi in uno dei tanti palazzi della città, al limite, anche nel Palazzo Reale, sede del Parlamento siciliano. Invece hanno scelto la piazza più importante del capoluogo siciliano, che per l’occasione si trasformerà in un’Agorà, quasi a simboleggiare lo spirito popolare di quest’iniziativa, ossia il legame tra la politica e la gente. L’obiettivo è ambizioso: partire dalla crisi economica, finanziaria, sociale che oggi investe la Sicilia per provare a dare vita a un nuovo movimento politico che potrebbe iniziare il proprio percorso dal ‘basso’, cioè dai Comuni siciliani, abbandonati e traditi dalla politica nazionale di Matteo Renzi e da una Regione siciliana senza bussola e ormai alla frutta.
Non è un caso che questa possibile rivolta contro una fallimentare politica tradizionale parta dalla Sicilia e dai Comuni dell’Isola. La Sicilia, nella storia della Repubblica italiana, è sempre stata in prima fila nei cambiamenti, il ‘Laboratorio politico’ per antonomasia, il luogo che ha sperimentato formule politiche poi riproposte a livello nazionale. L’Isola che Goethe definiva “la chiave di tutto” ha anticipato, nei primi anni ’60 del secolo passato, i governi nazionali di centrosinistra. Nei primi anni ’70, dopo l’avanzata delle destre, con la cosiddetta ‘Solidarietà autonomista’ tra Dc e Pci, ha anticipato i governi di ‘Solidarietà nazionale’ di fine anni ’70. E dalla Sicilia, con la Rete di Leoluca Orlando, nei primi anni ’90, è iniziata la fine della Democrazia cristiana e del Psi di Bettino Craxi e il passaggio alla Seconda Repubblica.
Forse non è nemmeno un caso che oggi, alla presidenza dell’ANCI Sicilia, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, ci sia Leoluca Orlando, che è tornato dal 2012 a guidare Palermo da Sindaco. I bene informati sussurrano che uno degli ispiratori di un movimento politico trasversale per la rinascita della Sicilia sia proprio Leoluca Orlando. I sindaci siciliani, insomma, potrebbero giocarsi la carta di una nuova svolta politica, oggi ancora un po’ magmatica, ma non molto distante dalla realtà.
Quella che potrebbe sembrare una fuga in avanti da parte di un folto gruppo di sindaci siciliani è, in realtà, la risultante politica di alcuni fatti oggettivi, che in Sicilia sono sotto gli occhi di tutti, anche se sono in tanti a fare finta di non vederli. Per accorgersi di quello che sta succedendo in Sicilia bisogna fare tre cose semplici: leggere i ‘numeri’ del Bilancio regionale; mettere insieme i punti di crisi che si registrano nei territori e parlare con la gente comune di grandi medi e piccoli comuni di argomenti della vita di ogni giorno: gli stipendi, gli ospedali, le strade, le tasse.
Basta partire dal terzo punto per cominciare a capire quello che sta succedendo oggi in Sicilia. In tanti Comuni dell’Isola, ormai da mesi, non ci sono i soldi per pagare gli stipendi ai dipendenti. Sì, avete letto bene: gli stipendi dei dipendenti comunali non si possono pagare! Sempre nei Comuni mancano i soldi per pagare i circa 24 mila lavoratori precari che sono tali – cioè precari – in alcuni casi da vent’anni e oltre. L’assurdità, che va avanti da oltre un anno, è che molti sindaci, per pagare i precari e, in generale, per le spese di ogni giorno hanno indebitato i Comuni con le banche. Un solo esempio: la Regione non ha ancora versato ai Comuni una buona parte del fondo per il precariato del 2014. Si tratta di 170 milioni di euro. Una somma consistente che i Comuni, lo scorso hanno, hanno anticipato facendosi a propria volta anticipare i soldi dalle banche. Mentre scriviamo questi 170 milioni, che la Regione di Rosario Crocetta si è impegnata a erogare, non sono stati erogati. Siamo già a marzo del 2015 e molti sindaci o continuano a fare ricorso alla banche, o – come sta succedendo – non essendo più nelle condizioni di fornire garanzie alle banche per i troppi debiti accumulati, non pagano più.
Lo stesso discorso vale per i servizi che i Comuni dovrebbero fornire ai cittadini. Non ci sono più soldi per i servizi sociali. In pratica, in Sicilia, da un anno e forse più, non si interviene in favore degli anziani poveri e malati, non si interviene più in favore dell’infanzia, non si interviene più in favore dei minori a rischio e ci sono problemi anche per i portatori di handicap. In tutto questo sono cresciute a dismisura le comunità per miniri non accompagnati extracomunitari arrivati con i barconi: in Sicilia se ne contano oltre 350, con 12-13 minori a comunità. Tutti soggetti che aspettano il denaro pubblico. Dovrebbe pagare il ministero dell’Interno retto dal siciliano Angelino Alfano. O almeno così dovrebbe essere. Anche se ci sono da pagare gli arretrati 2013 e 2014 (in media, 70-80 milioni di euro all’anno): e non si capisce chi dovrà pagare (i titolari di questa comunità, in molti casi, vorrebbero i soldi dai Comuni).
Fine della confusione? Ma quando mai! Negli ospedali siciliani mancano i posti letto. Ma la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, propone altri tagli di posti letto. Una follia. La ministra è furba. Sta approfittando dei bambini morti nelle ultime settimane in Sicilia non per migliorare le strutture sanitarie, ma per continuare a depauperarle. Già nell’Isola si contano pochi Punti nascita. Con la scusa che sono carenti la ministra Lorenzin, invece di renderli efficienti, li sta chiudendo!
Lo stesso discorso vale per i Pronto soccorso. Per definizione un Pronto soccorso riceve un malato grave e lo smista in tempi celeri nei vari reparti. La celerità è fondamentale in un’area sanitaria di emergenza. Ma i posti letto dei reparti, in Sicilia, sono stati ridotti dai predecessori della ministra Lorenzin. E continuano ad essere ridotti dalla stessa ministra Lorenzin. Il risultato è che i malati gravi ormai stazionano per giorni e giorni nei Pronto soccorso, creando enormi disservizi. Questo perché i medici delle aree di emergenza, che già sono pochi (dovete sapere, cari lettori americani, che in Italia i risparmi nella sanità si fanno riducendo il personale medico e infermieristico!), invece di fare i medici di Pronto soccorso sono costretti ad occuparsi dei malati che non riescono a ricoverare a causa della mancanza di posti letto tagliati dalla ministra Lorenzin.
In tutto questo, l’assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino, una specie di Alice nel Paese delle ‘meraviglie’ della sanità pubblica siciliana, invece di scatenare un casino contro Roma e, in particolare, contro la ministra Lorenzin, avalla questi tagli e ne propone addirittura altri! Da qui lo sfascio, ormai quasi integrale, della sanità pubblica siciliana. Con i medici e gli infermieri sempre più pochi e sempre più stressati, con un servizio di elisoccorso che oggi funziona e domani no è anche normale che ci scappi l’incidente.
E che dire delle strade? L’abbiamo scritto nei giorni scorsi: le strade provinciali della Sicilia, da due anni a questa parte, sono state abbandonate. Il governo regionale di Rosario Crocetta e il Parlamento siciliano hanno commissariato le Province dell’Isola. E le hanno lasciate senza soldi. Da qui l’abbandono delle strade provinciali, che stanno franando una dietro l’altra. Se n’è accorta persino il sindaco di Pollina, un paese della provincia di Palermo. Magda Culotta, questo il nome del sindaco di questo centro delle Madonie, è anche parlamentare nazionale del Pd. E da alcune settimane verga comunicati stampa al vetriolo per sensibilizzare i governi su questo incredibile problema della viabilità che, soprattutto nelle aree montane e collinari della Sicilia, isola intere comunità.
Siamo arrivati al velen della questione: il Pd. Magda Culotta è parlamentare nazionale del Pd. Ma è proprio il Pd di Renzi che ha tagliato i soldi alla Sicilia. Che, a propria volta, li ha tagliati alle Province che da due anni non fanno manutenzione nelle strade. E’ un effetto a catena. Ma Renzi, direttamente e indirettamente, ha affamato tutta la Sicilia. Alla Regione siciliana, negli ultimi due anni, ha scippato circa 5 miliardi di euro. Così la Regione ha tagliato, a catena, i soldi alle Province, ai Comuni (la Regione, tra fondo ordinario degli enti locali e il già citato fondo per il precariato, solo per il 2014, non ha ancora erogato ai Comuni dell’Isola 400 milioni di euro!), alle Aziende sanitarie e ospedaliere, agli operai della Forestale, agli enti e alle società regionali e via continuando.
Abbiamo parlato della vergogna dei Comuni siciliani che non hanno i soldi per i vecchi, per l’infanzia e per i minori a rischio. L’ultimo taglio a questi fondi risale al dicembre scorso. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Graziano Delrio, ha tagliato al Sud 5 miliardi di euro di fondi Pac (Piano di azione e coesione). Erano, per lo più, fondi europei non spesi che le Regioni del Mezzogiorno d’Italia avrebbero dovuto utilizzare dal gennaio di quest’anno al dicembre del 2017. Renzi e Delrio si sono presi questi soldi e li stanno distribuendo come sgravi contributivi alle imprese, quasi tutte del Centro Nord Italia. Solo alla Sicilia hanno scippato un miliardo e 200 milioni di euro. Più della metà di questi soldi – circa 600 milioni di euro – avrebbero dovuto essere utilizzati dai Comuni siciliani per anziani in difficoltà, per l’infanzia e per i minori della Sicilia. Invece, grazie a Renzi e a Delrio, sono finiti alle imprese del Centro Nord Italia.
Fine degli scippi? Neanche per sogno. Incredibile quello che sta succedendo in agricoltura. Dove i fondi europei della Programmazione 2007-2013 – oltre 2 miliardi di euro destinati da Bruxelles alla Sicilia – invece di sostenere gli agricoltori dell’Isola, sono finiti in parte nelle tasche di parenti e amici di politici e di burocrati e in parte nella tasche degli amici degli amici. Non contenti di aver fatto sparire, non si sa come, una buona parte dei fondi del Piano di sviluppo rurale europeo 2007-2013, il governo regionale di Crocetta e il Parlamento siciliano, lo scorso gennaio, hanno scippato agli agricoltori un fondo di rotazione di 20 milioni di euro. Con l’impegno che, appena la Regione avrebbe contratto il mutuo da quasi 2 miliardi di euro, il fondo di rotazione sarebbe stato ripristinato.
Il mutuo da quasi 2 miliardi di euro la Regione l’ha già contratto (un’altra follia: contrarre debiti per pagare i debiti provocati dagli scippi finanziari del governo Renzi!). Ma il fondo di rotazione da 20 milioni di euro non è stato ripristinato. In compenso, il governo Renzi ha appioppato agli agricoltori l’Imu sui terreni agricoli. Insomma, invece di essere risarciti dopo aver subito lo scippo del fondo di rotazione da 20 milioni di euro, gli agricoltori siciliani debbono mettere le mani nel portafoglio e pagare a Renzi l’Imu sui terreni agricoli. Una beffa!
In queste condizioni, è chiaro, è impossibile, per la Sicilia, difendersi. Da un lato, infatti, c’è un presidente della Regione, Crocetta, che ha ampiamente dimostrato di essere inadeguato (Crocetta, la scorsa estate, è riuscito a farsi infinocchiare da Renzi che, sulla base di mirabolanti promesse che poi non ha mantenuto, ha convinto il presidente della Regione siciliana a non mettere in esecuzione una sentenza sulla territorializzazione delle imposte della Corte Costituzionale favorevole alla Sicilia: un’altra follia di questo governatore dell’Isola incapace che ha fatto venire meno alle ‘casse’ della Regione una barca di soldi!). Dall’altra parte c’è un Parlamento siciliano di ‘zombie’ che ormai è incapace persino di approvare una legge. Basti pensare alla gestione idrica fallimentare (in queste ore mezza provincia di Palermo rischia di restare senz’acqua) con il Parlamento dell’Isola che, in due anni e mezzo, non è riuscito a varare la riforma del settore idrico perché i mafiosi tradizionali e quelli con i ‘colletti bianchi’ non vogliono la gestione pubblica dell’acqua.
Che dire, poi, della disastrosa gestione dei rifiuti, settore sostanzialmente governato da interessi inconfessabili e ancora oggi imperniato sulle discariche? Con la prospettiva di inceneritori super-inquinanti al posto della raccolta differenziata dei rifiuti. Un fallimento totale.
Poi c’è Confindustria Sicilia, grande sponsor del governo Crocetta, che si ritrova con il proprio presidente, Antonello Montante, ‘paladino’ dell’antimafia inquisito per mafia. Quasi un perfido gioco degli specchi dove il comune cittadino non riesce più a capire dove sta la mafia e dove sta l’antimafia.
In questa dialettica dell’oscurantismo economico e politico si inseriscono le cronache semi-serie del Pd siciliano che, sempre nel nome dell’antimafia, ha pensato bene, a partire da Agrigento, di allearsi con gli uomini di Marcello Dell’Utri. Sì, proprio lui, l’ex senatore condannato per mafia tornato agli onori delle cronache politiche, se è vero che uno dei suoi pupilli, Riccardo Gallo, parlamentare nazionale di Forza Italia eletto in Sicilia, parteciperà con un proprio simbolo alla primarie del Pd di Agrigento per il candidato sindaco!
Dell’Utri e il Pd: bella quest’accoppiata ‘vincente’, no? Per l’occasione il Partito democratico è disposto a passare sopra gli stallieri di Arcore e gli harem di Berlusconi (guarda caso assolto proprio in queste ore per la telenovela Ruby-nipote di Mubarak). Del resto, proprio in Sicilia un Pd, che sembra ormai un carro di Carnevale, oltre ai ‘nipotini’ di Dell’Utri, ha ‘imbarcato’ tra le proprie fila un’accozzaglia di ex democristiani e persino di ex fascisti da Trapani a Catania. Tutti insieme nello stesso partito. Perché nella politica siciliana tradizionale, ormai, tutto fa brodo.
In tutto questo ‘bordello’ politico, sociale, economico e finanziario, con la politica tradizionale ormai in tilt, con la mafia pronta a dare vita a nuove ‘trattative’, magari per gestire le elezioni, qualcuno che prenda in mano la situazione politica per dare qualche certezza ai siciliani ci deve essere. Ci potrebbero provare i sindaci siciliani. Anche se non tutti i primi cittadini sono sulla stessa linea.
Enzo Bianco, sindaco di Catania, e Gianfranco Garozzo, sindaco di Siracusa, per citare due esempi, restano nel Pd a fare la guardia al ‘bidone’. La scorsa estate, quando a Catania gli alberi abbandonati cadevano sulle teste dei catanesi, Enzo Bianco rimproverava al vice presidente dell’ANCI Sicilia, Paolo Amenta, sindaco di Canicattini Bagni, in provincia di Siracusa, di essere andato fuori dal seminato. Che aveva fatto Amenta? Si era permesso di criticare Renzi arrivato a Catania con i suoi corefei a fare passerella. Per Bianco, vecchio partitocrate, i panni sporchi si lavano in casa. E Amenta sbagliava a chiedere Renzi conto e ragione dei soldi che il governo nazionale ha depredato alla Sicilia!
In questo scenario, con il governo Crocetta inviso a tutti i siciliani, con un Parlamento dell’isola delegittimato, con un Pd che ‘imbarca’ affaristi ed ex fascisti e si accorda con Forza Italia, la Lega di Salvini rischia di fare il pieno dei voti. Da qui la mossa dei sindaci, forse gli unici, oggi, in grado di interpretare il malessere della società siciliana e, magari, di frenare l’avanzata della Lega.