In Italia non c’è verso di respirare aria nuova. Si torna, con pervicacia degna di miglior causa, sul “vissuto”, sul “rivissuto”: su quanto di meno giusto, sano, proficuo ci sia stato dato sul piano sociale, industriale, economico, culturale da ormai trent’anni a questa parte. Appare impossibile lo sganciamento da un passato che ha preparato gli incubi, le sperequazioni, le ingiustizie che oggigiorno accompagnano la nostra esistenza e che nessuno, in realtà, vuole combattere e vincere, salvo i pochi che ancora si riconoscono in Rifondazione Comunista.
E’ il paludato che, ora più che mai, si stende su questo Paese incapace di comprendere quali siano i suoi veri, sacrosanti diritti; su un Paese che seguita a credere in “favole” peraltro assai ben confezionate, presentate, divulgate… Opera, questa, di professionisti di “prim’ordine”… E’ il paludato che ci fornisce un senso di sicurezza parecchio illusorio ed è proprio per questo che non ci sentiamo a nostro agio con una ufficialità che finora molto ha promesso, nulla ha mantenuto.
E’ il paludato ancora incapace di comprendere le grandi necessità della Nazione. Incapace di comprendere l’abiezione morale e sociale del “contratto a tempo determinato”, incapace di ricostruire, e rilanciare, la nostra petrolchimica; incapace di rendersi conto che da almeno mezzo secolo, se non di più, all’insegnamento nelle scuole pubbliche vengono abilitati ‘professori’ e ‘professoresse’ assolutamente inadatti, inadatte all’insegnamento; con tutti i danni, paurosi che questa plètora di tizi e tizie provoca in menti assai giovani, “impreparate”, suggestionabili.
Vedo le “facce di sempre”, le facce di chi s’assicura il potere politico, di chi con ‘eccelsa’ abilità conserva il proprio potere politico. Facce di personaggi i quali non conoscono l’Inglese, e non conoscono neanche il Francese… I quali credono che gli inglesi siano “tutti freddi” e i tedeschi soltanto “metodici”… Vedo facce di individui dall’aria di quelli investiti per “diritto divino” di poteri appunto notevoli coi quali determinare perciò il destino d’un popolo sempre più trascurato, sempre più negletto: abbandonato a se stesso nel “contentino” della ‘solidarietà’, della “profonda” comprensione, della “presa di coscienza”, esercizio, questo, di parole vuote, di intenti che veri intenti non sono, di passioni che passioni proprio non sono…
Certo che non c’è modo di respirare aria nuova in Italia. L’Italia in questi ultimi venti o venticinque anni s’è richiusa intorno a se stessa, ha sposato il “volgare” poiché il volgare è facile (nella moda, nella politica, in tv); ha abbracciato per stoltezza e ignoranza l’iniziativa privata come se l’iniziativa privata potesse garantire a tutti noi opulenza e sicurezza; ha esaltato le virtù, “formidabili”, del ‘successo’, del ‘successo’ raggiunto dai volitivi, dalle volitive, dai “fenomeni”.
Ha svenduto se stessa in mezzo mondo… Cricche varie, per loro bassi interessi, ci vengono a parlare delle bellezze, incomparabili, del Made in Italy il quale farebbe furore in Continenti vari… E invece il Made in Italy è morto… Morto e sepolto. Sulla sua stessa tomba si agita con goffaggine un’imitazione delle più tristi, delle più squallide: esempio della mendacia, del pessimo gusto degli Italiani d’oggigiorno.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, aria nuova la si è respirata soltanto fra la seconda metà degli anni Sessanta e i primi degli anni Ottanta. E’ dall’inizio degli anni Ottanta che l’Italia non è più d’esempio a nessuno. E adesso il paludato si presenta più grigio e soffocante di prima. Più che mai siamo la Nazione degli equivoci, dei sottintesi, dei misteri più fitti, dell’”eleganza” manieristica, perciò artefatta; di anomalie antropologiche che chiamano in causa la famiglia, la scuola, la religione, la politica intesa come privilegio personale o privilegio di parte: tutti responsabili del provincialismo che ci uccide e che del Paludato sono i sostenitori più entusiasti, più efficaci: infaticabili.