Il 29 del mese si apriranno a Roma i lavori per l’elezione del Presidente della Repubblica Italiana, del dodicesimo Capo dello Stato repubblicano dopo De Nicola, Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano.
La macchina politica italiana quindi è in moto. Lo è da parecchio tempo, forse anche troppo. E’ una macchina che non ci piace. Serve soltanto ai novelli Notabili di quest’Italia ancora più “vecchia” di quanto lo fosse l’Italia delle scomuniche religiose che piovevano sul capo di dirigenti e militanti del Partito Comunista Italiano guidato da Palmiro Togliatti. Almeno, nel Paese d’allora rigermogliava e s’irrobustiva il movimento radicale e si levavano voci in sostegno dell’introduzione del divorzio.
Così, ora si armeggia nel quadro della successione a Giorgio Napolitano. Capi-cordata e portatori d’acqua si dànno un gran daffare nel moltiplicarsi, grottesco, di incontri segreti, semi-segreti, pubblici… E’ la “loro” gioia. La gioia di Lorsignori che in tal modo si sentono ancor più ‘protagonisti’ e assumono l’aria, assai artefatta, degli indaffarati, degli indispensabili, degli instancabili. Indaffarati lo sono; indispensabili, no; instancabili, parecchio. Ne invidio l’energia! Scattano, sfrecciano, saettano, eseguono al cellulare “siderale” dozzine di chiamate al giorno, altrettante ne ricevono; parlano, straparlano, la gola non gli si secca mai, combinano riunioni, cercano con faccia tosta ‘trombati’ o emarginati di tanto tempo fa, poiché ora anche gli ‘sconfitti’ potrebbero servire. Sono i “maestri” della tessitura politica: sono italiani per i quali ogni persona – uomo o donna che sia – ha un prezzo; per i quali l’Italia è un “grande Paese” quando oggi come oggi l’Italia brancola invece in una povertà morale, culturale, economica senza precedenti. E’ l’Italia che negli ultimi venti o ventidue anni ha inviato al Parlamento personaggi i quali si vantano di non aver letto un solo libro nella propria vita… E’ un’Italia provinciale come provinciali ci appaiono da anni e anni i suoi uomini politici, quelli di carriera cresciuti nelle sezioni di partito: comunisti poiché papà era comunista; democristiani poiché papà militava nel Parito Popolare; missini poiché il babbo era un fascistone, magari della “prima ora”!
E’ l’Italia del Presidente del Consiglio Matteo Renzi che non conosce per nulla l’Inglese, eppure in tempi recenti ha preteso di dare a tutti noi un “saggio” del suo “inglese”…
Così, il Parlamento, non il popolo, ci darà, appunto, il dodicesimo Presidente della Repubblica; il Capo di Stato in un Paese ormai disossato, spolpato, assai impoverito; d’una “espressione geografica” da cui fuggono i migliori talenti che non ne possono più di promesse non mantenute, di anticamere senza fine, di stipendi talmente bassi da risultare offensivi: di contratti a tempo determinato!
Si fanno perciò nomi. Se ne fanno a bizzeffe, complice una stampa la quale pare aver perso senso critico, senso del ridicolo, spirito d’osservazione. Si fanno i nomi di Prodi, Amato, Rodotà, Castagnetti, Fassino, Veltroni, Casini, Finocchiaro e di altri ancora mentre Berlusconi presenta il proprio candidato nella persona del giulivo, assai salottiero, trasognato Martino, l’ex-ministro della Difesa, figlio del Martino anima e cervello del Partito Liberale d’una volta. A lui, visto mercoledì sera in tv, non pareva vero… Ma non s’accorge che gli è stato così affibbiato il ruolo di ‘ripescato’, il ruolo di ‘revenant’?? Non ha ‘chance’ la sua candidatura, non può averne. Perché, allora, questa scelta?
L’ora è grave, anzi, gravissima. Eppure non si vuol prendere coscienza dello stato di prostrazione generale di cui soffre il Paese. Non si vuol capire che sarebbe il caso di cambiare, di cambiare sul serio e farla quindi finita coi falsi proclami di “cambiamento”, di “svolta”, di “mutamento”. Il Parlamento è chiamato a eleggere un uomo, o una donna, che dovrà rappresentarci per sette anni di fronte al resto del mondo. Dai tempi di Sandro Pertini, la carica di Capo di Stato ha assunto un peso che prima non aveva; una risonanza assai maggiore della risonanza esercitata da De Nicola, Einaudi; dallo stesso Gronchi.
Di Presidenti della Repubblica Italiana, dobbiamo confessare che nessuno di essi ha acceso in noi grandi entusiasmi, grandi amori, eccezion fatta per Antonio Segni che al Quirinale riportò classe e stile dopo le “stravaganze”, le tentazioni “imperiali” di Giovanni Gronchi. Il primo e il secondo, due Presidenti parecchio diversi l’uno dall’altro. “Atlantico” il nobiluomo sardo, non tanto “atlantico”, invece, il toscano sindacalista bianco e sottosegretario all’Industria nel primo Governo Mussolini. Avrà avuto i suoi difettacci, Giovanni Gronchi, ma, almeno, si dette sempre un gran daffare sul fronte della guerra, poi perduta, disastrosamente perduta, contro le multinazionali.
Ora, come Capo di Stato Ora, come Capo di Stato dai Notabili Terzo Millennio ci verrà presentato un altro “insider”, un altro “insider” ancora… Sarebbe invece la volta di aprire a un “outsider” il portone del Quirinale. dai Notabili Terzo Millennio ci verrà presentato un altro “insider”, un altro “insider” ancora… Sarebbe invece la volta di aprire a un “outsider” il portone del Quirinale. Dovrebbe essere l’occasione per dimostrare finalmente una certa freschezza di pensiero, di comportamento. Un ben diverso stile, genuinamente, intelligentemente “casual” nel rigore, tuttavia, intellettuale, culturale, e diciamo anche mondano: anche per restituire aplomb e sostanza a una mondanità da troppo tempo dominata da gente “vestita a festa”, dai pretenziosi, dalle pretenziose: dai venditori e venditrici di fumo.
La girandola di nomi tristemente scontati continua a ritmo sempre più serrato, ma, a quanto ci risulta, ci sono due nomi che non ricorrono, i nomi di due “outsider”. Chi sono questi due personaggi comunque non estranei alla politica, ma mai “impastati” di politica? Eccoli: Marco Pannella, Vittorio Sgarbi. Due uomini liberi, ma liberi, indipendenti davvero. Due che non puoi pilotare, non puoi condizionare; non puoi piegare. Due italiani di grande, nobile cultura, la cultura che rappresenta il Sapere nella mente di uomini forti delle loro convinzioni, tuttavia portati al dubbio, all’esercizio del dubbio. Così diversi dai motteggiatori, dagli ‘eruditi’, dagli spiritosi.
Vorremmo un Presidente della Repubblica che scriva e parli in un Inglese di prim’ordine e che all’Inglese aggiunga magari il Francese o il Tedesco. Un Presidente della Repubblica dallo spirito genuinamente cosmopolita, ma attento nella difesa di quel poco che resta del nostro patrimonio di italiani nati e cresciuti parecchio tempo prima dell’avvento della Ue, dell’avvento dell’Euro. Un moderno, non un “modernista”! Un Capo di Stato che non abbia letto ‘soltanto’ Bevilacqua, Moravia, Cassola, ma che conosca ‘anche’, e bene, gli Arrabbiati Inglesi, il Dr Johnson, Proust, Camus. Un leader capace di rovesciare come un calzino l’Italia poiché è di questo che ha bisogno l’Italia.
Vorremmo, eccome, un Capo di Stato lontano dalle consorterie della politica “classica” la quale dagli Anni Ottanta in poi non ci ha procurato che sventure.
Vorremmo un Presidente che non ci venga a parlare di “inevitabilità”, dell’inevitabilità in base alla quale accettare tutti noi senza fiatare ciò che c’impoverisce, c’intristisce, ci umilia e pone pericoli e insidie alle nuove generazioni.
Ma non avremo un Presidente così.