È nella natura dello stato perseguire, nelle azioni di politica estera e di difesa, l’interesse nazionale. Impossibile farlo, quando non ci sia un minimo di condivisione su come definirlo. È quello che accade da sempre in Italia, tanto più che, come ha scritto Carlo Jean in Geopolitica, nazionale è “un aggettivo che dall’8 settembre 1943 e fino a poco tempo fa era in Italia irriso o addirittura bandito dal linguaggio politico”. La non condivisione riguarda in particolare, nella presente stagione politica, l’interesse italiano a stare nell’Unione Europea e nell’euro.
È operazione complessa individuare quale, tra i tanti interessi di un popolo, possa costituirsi in “interesse” prioritario e assoluto (al singolare). È in genere la politica (lo stato), o comunque il coacervo dei poteri dominanti, a selezionarlo, peraltro non sempre in modo legittimo. Quanto serve al suo perseguimento viene quindi richiesto alla cura dell’amministrazione e ai cittadini. Nei fatti le istituzioni dello stato finiscono per esercitare opzioni soggettive, come funzione della maggioranza di governo e dei corpi intermedi che la influenzano: pezzi di stato, istituzioni, lobby, gruppi di pressione, agenti di corruttela, stakeholder. Se questi attori sono in forte e irriducibile conflitto – è il caso della presente stagione politica italiana – l’intero meccanismo di selezione si inceppa o, peggio, viene sospinto in modo inerziale fuori dal corretto binario, verso obiettivi che nulla hanno a che spartire con l’interesse nazionale. Il cosiddetto consenso politico, che nei regimi democratici si esprime attraverso persuasione e adesione ma nei regimi autoritari prende forme repressive, legittima politicamente la traslazione di un interesse di parte in interesse della nazione.
Nel pensiero politico classico, la piramide che riassume gli elementi produttivi di politica estera fa base sugli interessi nazionali, fondati a loro volta sulla visione che di se stessa ha una nazione (patriottismo e ideologia). Gli interessi generano gli obiettivi nazionali, raggiungibili attraverso la strategia nazionale ovvero la politica estera. Questa transita attraverso tre blocchi comportamentali: sicurezza nazionale, politica economica internazionale, azioni politiche. Ciò richiamato, come ha scritto Amstutz in International Conflitct and Cooperation (1995), l’interesse nazionale non può non fare riferimento ai “… basic interests of states in the light of other states’ interests”. Tra gli interessi “basic”, certamente trovano posto la sicurezza, il benessere economico dei cittadini, la preservazione dell’identità nazionale. Sono interessi perseguibili, per il nostro paese, solo tenendo l’Italia ben dentro Unione Europea ed euro. Fuori da quelle due gabbie virtuose, ci ritroveremmo presto alle prese con gli antichi e mai estinti demoni nostrani dell’autoritarismo politico e dello sfruttamento socio-economico, e rinserrati tra nazionalismo commerciale e svalutazioni competitive: in tempi di economia globale equivarrebbe al suicidio.
È per evitare detti rischi, che il nostro interesse nazionale sta nel continuare ad accettare limitazioni al principio di sovranità. In Europa ci scontreremo con gli interessi degli altri 27 partner, ma alla fine i singoli interessi nazionali potranno incontrarsi e riassumersi nel comune interesse europeo. L’euro è stata una success story nell’economia finanziaria internazionale. Altrettanto può affermarsi dell’UE. I nostri problemi vengono non dall’aver fatto i compiti europei, ma dal non aver praticato come avremmo dovuto gli impegni assunti in sede europea.