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November 6, 2014
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Midterm: i democratici hanno perso, Obama ha fallito, il progressismo americano è morto? La “maggioranza disgustata”, se ascoltata, lo resusciterà

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Barack Obama ieri alla Casa Bianca durante la conferenza stampa sul risultato delle elezioni di Midterm

Barack Obama ieri alla Casa Bianca durante la conferenza stampa sul risultato delle elezioni di Midterm

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Obama ha perso il Midterm, evviva Obama! Per chi scrive il presidente democratico ha infatti così aumentato le possibilità di vittoria per il prossimo candidato/a del suo partito alla Casa Bianca e anche per la riconquista dei democratici del Congresso. Già, non solo del Senato ma di tutto il Congresso!

Quello che scriviamo non è dettato solo dalla convinzione che questo partito repubblicano americano oggi vincitore, quello sottomesso ai dettami del cosiddetto Tea Party per intenderci, potrà contribuire con poco o nulla di positivo al futuro degli Stati Uniti e del mondo, ma soprattutto dal conforto dei numeri della statistica e della storia. Questi ci indicano che il "pendolo" elettorale americano non sbaglia (ok con qualche eccezione come Bill Clinton) e da almeno quattro decenni chi vince le elezioni di Midterm, poi prende una batosta elettorale alle tornata più importante, quella che col Congresso mette in palio anche la Casa Bianca. È semplice capirne il perché.

Chi controlla il Congresso in entrambe le Camere, resta senza scuse e quindi concede al capo della Casa Bianca e al suo partito il vantaggio di poter poi addossare ai repubblicani  il mal fatto o il non fatto della legislatura prima della sfida elettorale del novembre 2016. I repubblicani – e ripeto quelli del Tea Party e non certo quei pochi esemplari purtroppo in estinzione del partito che fu di Lincoln – pensano che il Congresso meno faccia, meno legiferi, meno intervenga nel risolvere i problemi della vita dei cittadini americani, e meglio loro avranno eseguito il mandato elettorale. Questi deputati e senatori quindi, per il loro "non fare" e "ostacolare" si sentiranno dei vincenti. E questo atteggiamento politico renderà questi pseudo vincitori repubblicani di oggi molto popolari tra i loro elettori, ma questo non si tradurrà per loro, soprattutto in quegli stati non a forma di quadrato o rettangolo, in una rielezione certa per il 2016. Al contrario, tantissimi saranno condannati ad una fugace apparizione a Capitol Hill. 

Prima di definire il Partito democratico quello degli zombi rimorenti della politica americana, bisognerebbe guardare alle cifre del voto di martedì. È vero, il GOP ha battuto il record dei seggi conquistati al Congresso USA, una maggioranza schiacciante soprattutto alla Camera e comunque al di sopra delle previsioni al Senato. Ma con che cifre? Solo un terzo di chi ha diritto al voto si è recato alle urne. Le ultime cifre parlano del 36,6%, poco più di 83 milioni di votanti, quando alle ultime presidenziali a votare sono stati 130 milioni! Non accadeva dal 1942! Questo è il record più pesante! 

Come le ultime elezioni presidenziali degli ultimi vent'anni hanno dimostrato, il voto popolare viene ormai vinto dai Democratici. Durante la corsa alla Casa Bianca, la tornata elettorale non raggiunge cifre delle elezioni in Europa, ma sicuramente non sono mai solo un terzo degli elettori a recarsi a votare. E quanti più americani vanno alle urne, tanto più il partito democratico aumenta le sue chance di vittoria.

Ovviamente non può non ragionarci su il presidente Barack Obama, che infatti alla conferenza stampa di ieri, quella della "sconfitta", non sembrava affatto così demoralizzato. Un atteggiamento arrogante? Sprezzante del risultato elettorale? Affatto, ma l'atteggiamento ottimista di chi analizza la sconfitta e si rende conto delle occasioni che porta per il futuro. Barack la notte prima, nel vedere anche il Senato cadere sotto il controllo dell'opposizione repubblicana e la Camera arrivare a numeri di maggioranza per il GOP che non si realizzavano dagli anni Quaranta del secolo passato,  si deve essere subito accorto che due terzi degli elettori non si era recato a votare. E infatti il giorno dopo il presidente ha detto ai giornalisti che sì, aveva "ascoltato" il voto degli americani, ma ha subito aggiunto, che si rivolgeva anche ai due terzi degli americani che hanno invece snobbato le urne, che ora avrebbe ascoltato anche loro. Sono infatti quelli che non sono andati a votare martedì (soprattutto i giovani e le minoranze di americani nati all'estero) che portarono Barack alla Casa Bianca e che possono decidere chi andrà dopo di lui ad occupare la carica più potente del mondo. Sono i cittadini americani rimasti a casa nel 2014 che alla fine decideranno se confermare o meno un candidato democratico per la Casa Bianca. Se questo sarà non solo "popolare", ma corazzato di un messaggio mobilitante forte e chiaro (cosa facile per Hillary? Essere donna non le basterà, l'ex First Lady diventata Segretario di Stato, dovrà essere più Rodham e meno Clinton, più progressista e meno centrista, per poter entusiasmare chi deciderà nel 2016).

A oltre quarant'anni dalla cosiddetta "maggioranza silenziosa" evocata dal repubblicano Richard Nixon, le parti ormai si sono invertite. La maggioranza non silenziosa, ma disgustata e che ogni tanto diserta per questo le urne, non è più del GOP impregnato di "Tea" che sa di muffa, ma degli americani che vogliono vivere meglio il presente e pretendono una politica che governi il futuro. Barack Obama e il suo partito, che in questo Midterm combattevano comunque per seggi in stati dell'Unione già proibitivi, sono stati puniti da questa maggioranza disgustata e quindi rimasta silenziosa, proprio per quel loro atteggiamento ritenuto eccessivamente "paziente" nei confronti di un partito guidato non più da "conservatori", ma dai "fuori dal mondo". I democratici, e riteniamo anche non pochi elettori repubblicani traditi dal loro partito finito in ostaggio di estremisti del far nulla affinché tutto ritorni all'America com'era (anche a prima del 1860?), e quegli indipendenti determinanti nelle elezioni più importanti, sono già pronti per far tornare il pendolo della storia americana dalla parte del progresso. 

Ho letto magnifiche voci in questa nostra VOCE sempre più libera e indipendente: quella di Manlio Graziano che prevede ere "glaciali" per la politica estera già confusa di Obama; quella di Francesco Erspamer che spiega chiaramente che i successi macroeconomici della Casa Bianca non possono entusiasmare le famiglie medie americane che restano schiacciate dall'abbassamento del loro tenore di vita mentre i super ricchi ancora più straricchi sono i veri beneficiari della "ripresa" economica. Per questo, pur potendo intuire 24 ore prima cosa sarebbe successo martedì sera grazie alla lettura del nostro "cittadino di Atlantide" Marcello Cristo, non posso essere d'accordo con le conclusioni del suo professore di filosofia. La maggioranza degli americani, quella disgustata e indignata, e quindi ancora viva e attenta, non lascerà a lungo in mano agli estremisti del "Tea" che sa di muffa, il destino della più formidabile democrazia del mondo.

Siamo convinti che Obama, che avrà seri problemi negli ultimi due anni della sua presidenza con questa "scoppola" elettorale, ieri abbia voluto segnalare di aver finalmente "sentito" il richiamo di chi non è andato a votare. La sua sfida di presidente "azzoppato", sarà quindi quella di riuscire a farlo sentire, questo richiamo, anche a chi nel Partito democratico dovrà scegliere i temi per la prossima sfida elettorale. Se ci riuscirà, la riconferma alla Casa Bianca per un democratico e la riconquista del Senato, diventerà "a piece of cake". Altro che té alla muffa, ma il ritorno del dolce sapore dell' American Democracy al top.

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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