Sabato scorso a Madison, Connecticut, è successo qualcosa di storico. 17 miglia a est di New Haven, sullo Shoreline della riva nord di Long Island Sound, Madison è una cittadina ridente di 18,000 abitanti, reddito medio per famiglia $100,000+, prezzo medio di una casa $500,000+, popolazione al 95+% bianca. Se lo stato di Connecticut è decisamante democratico – il governatore, Dannel Malloy, è democratico; entrambi i senatori dello stato sono democratici – la cittadina di Madison non lo è. Qui la rappresentante repubblicana della cittadina allo State Congress prese il 60% dei voti; e il sindaco – che qui va sotto il nome di First Selectman – è un repubblicano originario del Texas.
Madison dunque non è certo un focolaio di attivismo politico rivoluzionario. Madison è, infatti, una cittadina conservatrice e repubblicana. Eppure, sabato pomeriggio, per la prima volta nella sua storia, nel centro del paese erano presenti più democratici che repubblicani. Tutto questo grazie alla visita di Hillary Clinton alla libreria locale, RJ Julia, per firmare copie del suo nuovo libro Hard Choices. Dalle prime ore della mattina fino alle 4 del pomeriggio, ora dell’arrivo della Clinton, le 1000 persone che avevano acquistato il biglietto di $35, il prezzo di una copia del libro e la possibilità di farlo firmare di persona – ma senza dedica, senza foto, selfies tacitamente vietati – dalla ex-segretario di stato e ex-senatrice dello Stato di New York, ex-First Lady, facevano una fila che si estendeva lungo tutto il Main Street del paese.
Tutti contenti a Madison della visita? Certamente, la proprietaria della libreria era contenta di vendere 1,000 copie di un libro in un pomeriggio; contenti alcuni commercianti che beneficiavano della folla accorsa in centro; meno contenti altri commercianti i cui esercizi erano dentro il cordone di sicurezza. Contenti anche i fan della Clinton molti dei quali portavano il distintivo “Ready for Hillary.” Meno contenti i membri del piccolo gruppo di nemici giurati di Hillary che, confinati davanti al cinema di fronte alla libreria, il Madison Arts Cinema, urlavano gli slogan della loro protesta “Povera piccola ricca” (poor little rich girl), un riferimento al cachet che riceve per le sue conferenze; e “Hillary ha mentito/quattro sono morti” (Hillary lied/Four died), un riferimento all’uccisione dell’ambasciatore americano in Libia J. Christopher Stevens e tre membri del suo staff l’11 settembre 2012. La protesta, organizzata da Daria Novak, aspirante candidata repubblicana per il Congresso, doveva attirare 750 persone da “tutto lo stato,” come recita l’annuncio della Novak pubblicato sul Madison Patch. Previsione sbagliata, e di parecchio. Alla protesta erano presenti sì e no venti persone, e sono tutte andate via subito dopo l’arrivo di Hillary.
Una domanda era d’obbligo. Molti dei fan nei loro brevi scambi con la Clinton hanno chiesto: “si candida o no, signora?” Come ha fatto con John Stewart al Daily Show la settimana scorsa, Hillary ha evitato di rispondere difendendosi con la frase “Very sweet of you to ask.” Ma vista da una prospettiva più simbolica, la visita della Clinton a Madison può essere decifrata come un’indicazione che sia veramente sulla strada che porta alla Casa Bianca. Clinton a Madison, ma c’è anche un rapporto speciale, e tutto politico, fra Madison e Clinton. Madison prende il suo nome da James Madison, quarto presidente degli Stati Uniti, il cui vice presidente dal 1809-1812 si chiamava George Clinton, il nome della cittadina che confina con Madison, ma che prende il suo nome da un altro politico di nome Clinton, questa volta Dewitt Clinton, governatore di New York nell’ ottocento (e non da Bill). Ma nel suo libro, My Life, Bill parla di Madison come una cittadina “particolarmente vecchia e bella.” È la Madison/Clinton connection, un destino storico-politico, una premonizione che sembra portare diritto diritto alla Casa Bianca ? (Checchè ne abbia detto la Clinton a John Stewart!)
*David Ward è Professor of Italian Studies al Wellesley College