Così, dopo il PD, anche il Movimento 5 stelle sta provando a suicidarsi. Come mai questa epidemia?
È che un partito si regge o sui favori e il clientelismo (oggi, il lobbismo), oppure sulla struttura e sui quadri, che non sono semplici militanti ma militanti organizzati e preparati (una volta si diceva: “politicizzati”). Esempi italiani del primo tipo sono la DC, quella originaria e le sue reincarnazioni, inclusi l’Ulivo di Prodi e il PDS di Veltroni, oltre che il PDL e Forza Italia. Esempi del secondo tipo sono il fascismo ma anche il PCI, il quale purtroppo di reincarnazioni non ne ha avute. Tertium non datur: il culto di un leader, duce, CEO o celebrity che sia, è solo un aspetto secondario, possibile in entrambi i tipi di partito e che non ne modifica le condizioni fondamentali di esistenza.
Beppe Grillo ha creduto e forse ancora crede di poter fare a meno sia di clientele e lobby che di quadri, supplendo con la sua autorità, la sua energia e l’entusiasmo di migliaia di seguaci. Se non capisce in fretta che è impossibile è destinato a scomparire.
Renzi invece ha fin dal principio puntato sulle lobby e gli accordi con Berlusconi (e la scelta dei suoi ministri) puntano a rassicurarle e rafforzarle. È il sistema più consono al liberismo, ampiamente sperimentato negli Stati Uniti. Ma è un sistema che la sinistra non può fare suo se non al prezzo di snaturarsi, di rinunciare a rappresentare la gente comune, le comunità. Di cui alle lobby non importa nulla: alle lobby importano solo gli interessi degli individui che ne fanno parte. Nel caso del Pd infatti a essersi suicidata è stata la sua componente di sinistra, ancora un anno fa nettamente maggioritaria ma destrutturata e dunque facile preda della minoranza liberista e delle sue clientele.
Se con i transfughi del Pd e del M5S si vorrà ricostruire una vera sinistra in Italia, bisognerà tenere conto di questa situazione e non ripetere gli errori del passato. Oggi ancor più di prima la sinistra deve essere il partito dei senza lobby. Non una coalizione, dunque, non un movimento, non una lista, non un’alleanza. Tutte forme di aggregazione che possono dimostrarsi utili per raggiungere specifici obiettivi ma che sono inefficaci per fare politica di lunga e media durata e nel suo senso pieno, ossia il bene della polis, della comunità. Anche la Lista Tsipras, per la quale presumibilmente voterò alle europee, non è che una soluzione temporanea. Il fatto che su consiglio di qualche esperto di marketing abbiano escluso dal simbolo la parola sinistra e il colore rosso ne è la conferma.
Non credo ci siano scorciatoie: la sinistra può esprimersi solo attraverso un partito. Ma per essere di sinistra, come dicevo, un partito ha bisogno di una struttura tenuta insieme da un’ideologia di riferimento e da una rete di quadri. Quadri non significa dipendenti: quelli ci sono nei partiti clientelari. Non significa neanche manager o funzionari, incaricati di dedurre da sondaggi o indici di gradimento le tattiche più efficaci. E neppure portavoce, capaci di “bucare” lo schermo o di fare gossip.
Quadri significa attivisti in grado di lavorare sul territorio e di far prendere coscienza alla gente ordinaria, inducendola all’impegno, alla partecipazione. Quadri, soprattutto, significa militanti che condividano alcuni ideali fondamentali (che nel caso della sinistra sono eguaglianza, solidarietà, comunità) e che siano in grado di tradurli in ideologia politica e in intervento sociale, immuni al culto liberista del successo, della meritocrazia, dell’individualismo.
Nelle pagine dei Quaderni del carcere che avrebbero dovuto costituire un trattato sul partito come “moderno principe”, Antonio Gramsci li chiamò “rivoluzionari di professione”. Una definizione inattuale e inopportuna per una società come quella odierna, che considera la professionalità inconciliabile con il civismo. Per il pensiero unico liberista, professionista è chi si adegui alle leggi del mercato ed esca vincente, come individuo, dalla lotta meritocratica; certo non chi provi a incarnare la volontà collettiva e a emancipare l’intera comunità. Invece è proprio da lì che occorre ripartire. La sinistra deve riuscire a intrecciare di nuovo l’aspirazione ideale a un bene davvero comune con il pragmatismo dell’azione e organizzazione politica.