In Italia c'è un'ampia consapevolezza – seppure tacita – del fatto che Niccolò Machiavelli ha avuto un ruolo nella nascita del governo nazionale appena insediato, guidato dal giovane Matteo Renzi. Come la maggior parte dei toscani, e milioni d'altri in tutto il mondo, Renzi ha sicuramente letto Il Principe di Machiavelli, il famoso trattato XVI secolo con secchi consigli per raggiungere, conservare e rafforzare il potere politico. L'ascesa di un nuovo Machiavelli a Roma, il cui fascino telegenico chiama paragoni con l'ex leader laburista britannico Tony Blair, ha suscitato, nelle capitali straniere, la speranza che si possa porre un freno alla spirale economica discendente e la stasi politica italiane. Il timore, tuttavia, è che Renzi abbia da offrire meno di quanto possa sembrare.
Se la promessa di un rinascimento italiano fatta da Renzi dovesse rivelarsi in gran parte retorica, senza sostanza, inevitabilmente il malessere italiano, in particolare nella sfera economica, si riverberebbe negativamente in tutta Europa e oltre. L'Italia è la terza più grande economia della zona euro, così come il più importante partner commerciale della Germania in quella parte di mondo. Angela Merkel e altri leader europei non sono i soli a contare sul successo di Renzi. Ci contano anche gli investitori le cui aspettative positive si sono concretamente espresse nella forte riduzione dello "spread", la differenza tra i tassi dei titoli pubblici italiani e tedeschi.
Machiavelli sarebbe stato ammirato del fatto che l'ex – relativamente scialbo – sindaco di Firenze avrebbe usato il suo fascino puramente populista così abilmente da passarla liscia per la distruzione della delicata coalizione nazionale valorosamente tenuta insieme da Enrico Letta, uno dei leader dello stesso identico partito di centro-sinistra di cui fa parte Renzi, il PD o Partito Democratico. Un sottile sottotesto di questa conquista: Letta è nativo di Pisa, un'altra città toscana, la cui ancora viva rivalità con la Firenze di Renzi risale a secoli or sono.
Seguendo Machiavelli alla lettera, Renzi appare svincolato dall'ideologia. È esperto in dichiarazioni altisonanti, in gran parte senza sostanza. Per giornalisti, e non solo, è quasi impossibile fargli pronunciare più che molto vaghe preferenze sulle politiche pubbliche o promesse di un imminente rinascimento italiano.
Mostrando il suo cinismo machiavellico, ha raggiunto un accordo con un Silvio Berlusconi ormai politicamente caduto in disgrazia – con l'obiettivo di produrre un cambiamento necessario nel sistema elettorale italiano. Allo stesso modo, per assicurare una maggioranza in grado di lavorare nella sua coalizione, Renzi ha fatto un accordo con il leader del Nuove Centro Destra di recente costituzione, Angelino Alfano, la cui ricompensa politica è stata una posizione di governo chiave.
Da puro populista senza un suo programma specifico, Renzi ha abilmente utilizzato i mass media come strumento per suggerire che la sua giovinezza e una leadership carismatica siano da preferire a quell'approccio bizantino alla politica che per secoli ha caratterizzato l'Italia. Non uno dei principali quotidiani italiani ha accolto il nuovo governo con entusiasmo. Una reazione in qualche modo dolente che può ancora cambiare, ma solo se Matteo avrà successo con le riforme di base che ha ripetutamente promesso nei discorsi e Tweet che hanno portato alla sua ascesa al potere.
A 39 anni, Renzi è il più giovane primo ministro dai tempi in cui Benito Mussolini salì al potere all'inizio del secolo scorso. Un fatto che, di per sé, potrebbe rappresentare un sano cambiamento rispetto alla tanto criticata gerontocrazia politica italiana.
Il governo Renzi è composto da 16 ministeri, un'altra rottura netta rispetto alle precedenti pratiche di lunga data. Tre dei ministri sono, come il primo ministro, trentenni. L'età media dei membri del governo è di 62 anni, la più bassa nella storia della Repubblica. In aggiunta, per la prima volta, il governo è caratterizzato da parità di genere.
Quello stesso approccio essenzialmente machiavellico, ha portato Renzi a creare un governo composto non soltanto da elementi della politica di destra e di sinistra, una tattica imposta a più di uno dei suoi predecessori. I media hanno espresso reazioni contrastanti a questa leadership giovanile. È vero che il governo comprende persone politicamente navigate, come Angelino Alfano, al ministero degli interni, e Piercarlo Padoan le cui esperienze al Fondo Monetario Internazionale e nell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo ne fanno una risorsa preziosa al Tesoro. Tuttavia, alcuni membri del governo mai prima d'ora messi alla prova sono ora responsabili di ministeri politicamente sensibili – come gli affari esteri, lo sviluppo economico, la difesa e la pubblica amministrazione – e qualche rischio è implicito.
Ora che Renzi si è assicurato i poteri di un'alta carica, Machiavelli avrebbe molti consigli su come comportarsi. Renzi ha promesso che il suo governo si muoverà rapidamente – alcuni direbbero con pericolosa fretta – nel varare le riforme. La legge elettorale universalmente considerata la prima causa della persistente paralisi governativa – e motivo di sgomento tra i partner europei – è in cima alla lista.
L'accordo di Renzi con Berlusconi è degno di nota e riconosce che quest'ultimo, pur se costretto fuori dal Parlamento, resta in controllo assoluto del partito Forza Italia. Senza il sostegno di Berlusconi, è improbabile che la riforma elettorale si concretizzi. Secondo la proposta di legge, i piccoli partiti, che hanno compromesso la stabilità Parlamentare, non avrebbero diritto alla rappresentanza in Parlamento a meno che non raggiungano, da soli o in coalizione con altri partiti, almeno il 4.5 per cento dei voti espressi alle elezioni nazionali.
Sulla tempistica di questa riforma disperatamente necessaria grava un altro accordo raggiunto da Renzi, quello con l'NCD di Alfano, in base al quale ogni nuova legge elettorale rimarrebbe in sospeso e non operativa fino a che un emendamento costituzionale non vada a modificare l'attuale "bicameralismo perfetto" nei seguenti modi: il Senato non sarebbe più elettivo, i suoi membri sarebbero rappresentati dai presidenti delle 18 amministrazioni regionali italiane più alcuni sindaci, e i suoi poteri legislativi, ora simili a quelli del Senato degli Stati Uniti, sarebbero in gran parte aboliti.
Emendamenti costituzionali di questo tipo richiedono quattro distinti voti di maggioranza in Parlamento, un processo che potrebbe durare 18 mesi. Nel migliore dei casi, queste due grandi riforme non si svilupperebbero fino a verso la fine di questa legislatura che scade nel 2018.
Renzi ha promesso una riforma del lavoro intesa ad affrontare il problema dell'elevata disoccupazione, soprattutto giovanile. La sua agenda di riforme comprende anche cambiamenti fondamentali nel sistema fiscale italiano che, insieme alla normativa vigente che rende quasi impossibile licenziare i lavoratori, anche se per giusta causa, resta il principale motivo di un afflusso di investimenti diretti esteri (IDE) relativamente basso. Per decenni, nonostante le enormi differenze – l'Italia ha una popolazione di 61 milioni e un PIL di oltre 1.800 miliardi dollari, mentre la Svezia ha 9,6 milioni di persone e un PIL di 385 miliardi dollari – l'Italia ha attirato pochi più capitali esteri della Svezia. Il recente forte calo degli investimenti diretti esteri da quei già notevolmente bassi livelli, è comprensibilmente suonato come un necessario allarme negli ambienti della politica italiana.
Renzi ha anche promesso una riforma della burocrazia, con una drastica riduzione delle procedure che paralizzano le imprese commerciali che operano in Italia. Cambiamenti come questi aiuteranno l'Italia ad emerge dalla stasi economica che ha fatto impantanare la decima economia al mondo in un tasso di crescita che è il più basso tra le principali economie dell'Unione Europea.
Questo ambizioso programma è compito arduo. Le possibilità di successo sono minate dai cinici metodi antidemocratici che hanno accompagnato l'ascesa di Renzi al potere. Tutto questo gli sarà perdonato, soprattutto in Europa, se riuscirà a produrre un nuovo miracolo economico italiano, da cui tutti potrebbero trarre beneficio. Se la sua vaga agenda politica non dovesse riuscire in questa missione, ciò favorirebbe un'ulteriore crescita del populismo radicale di destra in tutta Europa.
*Joseph LaPalombara è Arnold Wolfers Professor Emeritus di Scienze Politiche e Management alla Yale University.
Questo articolo è stato originariamento pubblicato su Yale Global Online. Traduzione di Maurita Cardone.