In questa fase, Matteo Renzi quello che doveva fare l’ha fatto. Ha evitato di farsi ingessare in una guerra di logoramento, sopportando senza contropartita il peso di Letta a scapito della sua scalpitante novità. Ha giocato d'anticipo, ha occupato il proscenio, detta la prima mossa e, quando probabilmente si andrà alle elezioni anticipate, perchè magari in Parlamento non passerà nessuna riforma, potrà arrembare una campagna elettorale aggressiva e all'attacco.
Certo, ha un'investitura "domestica" e non "politica", e questa è la sola critica su cui ci si deve soffermare: il resto sono rumori di sottofondo che ne accompagnano l’ascesa. Ma è un’anomalia più apparente che reale. Per due ragioni, una relativa all’Italia ed un’altra più generale.
In primo luogo, il Governo deve ottenere la fiducia del Parlamento; è una regola sempre in via di superamento, ma mai superata. Gli innesti “presidenzialistici”, auspicati o temuti, non ci sono stati. Perciò, rilevare che Renzi sarebbe un presidente del Consiglio non legittimato dal consenso popolare è una suggestione, estranea alla costituzione vigente. Se otterrà la fiducia, il suo governo avrà tutta la legittimazione costituzionale che gli serve.
Si potrebbe obiettare che la legge elettorale con cui questo Parlamento è stato eletto è stata dichiarata illegittima; ma la Corte Costituzionale ha dedicato l'ultima delle cinque pagine della sua sentenza a spiegare perchè l'attuale Parlamento può ugualmente legiferare e, specialmente, approvare una nuova legge elettorale. Sicchè, anche questa osservazione è infondata.
Tuttavia, pare che resti sullo sfondo una sensazione di anomalia, qualcosa come “l’aria che tira”, come se ci trovassimo di fronte ad attori con i costumi di sempre, ma colti a muoversi su una scena inesplorata e non più familiare.
Renzi, cioè, incarnerebbe una tendenza, sorta con la Seconda Repubblica (vale a dire, con la figura di Berlusconi politico) e volta a favorire un facile leaderismo, a discapito di una mediazione sociale effettiva. Con i suoi tradizionali soggetti, parti sociali e rappresentanti politici (deputati e senatori), questa mediazione sociale effettiva dovrebbe definire il volto di una democrazia matura e consapevole: cioè, come si dice, “partecipata”.
Questa è, nel migliore dei casi, una lode del bel tempo antico, nel peggiore, propaganda. E passiamo alla considerazione di ordine generale.
La configurazione-tipo della democrazia liberale così riproposta, rappresentanza e ricambio ciclico della dirigenza politica, come migliore garanzia del potere effettivo della comunità, è uscita dal travaglio ottocentesco, sostanzialmente sopravvivendo nelle sue linee fondanti fino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Non funziona più, né può più funzionare nei suoi termini tradizionali. Questo è un approdo consolidato nella scienza politica contemporanea.
Con l’avvento dei c.d. Big Players, cioè di istituzioni finanziare e industrie multinazionali che hanno occupato lo spazio della “decisione”, che è lo spazio politico per eccellenza, la cittadella della democrazia rappresentativa ha subito scossoni tali che ne è mutata la stessa natura. Questa nuova dimensione è stata ufficialmente riconosciuta nel 1961, da Eisenhower, nel suo discorso di commiato, evocando l’immagine del c.d. Complesso militare-industriale.
Il loro potere è tecnologico. Avere “voce in capitolo”, pertanto, non significa più solo avere chi parla al posto nostro, dicendo le stesse cose che potremmo dire noi. Ma imparare a dire cose nuove e avere chi sappia dirle al posto nostro. Il naturale squilibrio di potere fra sovrano e comunità, nell’evo contemporaneo, si chiama “asimmetria informativa”.
Questo è il quadro, generale non meno che reale, in cui anche Renzi si inserisce.
Ora, tornando a fissare lo sguardo sull’Italia, questa tendenza è favorita dall’endemico squilibrio fra i poteri, scaturito, e mai più ricomposto, dalla c.d. stagione supplente nata con Mani Pulite. La “rappresentanza” politica è stabilmente debole, stabilmente dileggiata, sempre più impotente. Ogni rappresentanza politica, per il solo fatto che è una “rappresentanza politica”, come si diceva.
Se questo è, il deficit di rappresentatività di Renzi non per tanto viene meno, ma andrebbe inquadrato in questa "contingenza" e messo in relazione e soppesato con questo altro dubbio fattore di squilibrio e di deficit democratico. Allora, la questione è forse questa: Renzi minaccia di essere un'altra anomalia per l'establishment che, anche in Italia, vive di questa “asimmetria informativa”. Non è detto che Renzi non venga presto riassorbito. Ma, ad occhio e croce, forse potrebbe rivelarsi un politico vero (non come Grillo).
Non andrebbe dimenticato che qui c'è sempre troppa gente che ha fatto "la carriera del mainstream", senza chiedere scusa per tutto il male che la sua presunzione ha fatto al nostro Paese. E pour case sono, quasi sempre, quegli stessi che, mentre soppesano con chirurgica meticolosità ogni avvisaglia di autonomia, sono pronti a rimuovere con la vanga dello spalaneve ogni traccia di quelle colpe.
Perciò, ogni questione nell'Italia del "terzo dopoguerra mondiale" e del "ritorno bismarckiano" non è mai "autarchica", ma è sempre "sistemica". Sistemica. E con i Big Players ci campa una sacco di gente che piace. Forza Renzi.