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February 18, 2014
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February 18, 2014
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Lacrime e sangue. L’Italia ai tempi della crisi e dell'”uomo nuovo”

Toni De SantolibyToni De Santoli
Time: 4 mins read

Nel 1940 Winston Churchill promise al popolo britannico soltanto “lacrime, sudore e sangue”. Nel giugno di quell’anno, col crollo repentino della Francia sotto l’urto del “Blitzkrieg” (la “guerra-lampo”), la Gran Bretagna era rimasta sola nell’apocalittica lotta contro l’Asse. Le Isole Britanniche si trovavano nella morsa dell’arma sottomarina tedesca, la situazione era disperata. Cominciavano a scarseggiare i viveri, i medicinali, i minerali. Ogni giorno i sottomarini tedeschi affondavano cargo diretti in Gran Bretagna, tonnellate a decine e decine di migliaia. Eppure, i “Britons” ce la fecero. Ce la fecero ancor prima dell’intervento militare americano sopraggiunto nel dicembre del 1941. I sudditi di Sua Maestà fecero senza indugio quadrato: conservatori e laburisti uniti con tenacia e calma olimpica nello sforzo nazionale. Sforzo titanico.

La nostra classe politica, invece, “lacrime, sudore e sangue” non ce li chiede. Ma si versano lacrime, sudore e si versa sangue. Si assiste a una tragedia nazionale che, tuttavia, a quanto ci risulta, dai mezzi d’informazione non riceve l’attenzione che essa meriterebbe. Il tono, alla TV e su parecchi giornali, resta irrimediabilmente frivolo, leggero, quindi. Fioccano i salamelecchi, ci si augura “buon lavoro”, una carezza a un parlamentare non la nega nessuno, è come trovarsi a una festa da ballo, a un ricevimento: lo sfarzo televisivo e lo sfarzo del Sistema nessuno li mette in discussione, quant’è bella, affascinante “la” politica e quanto gravosi sono i pesi che s’affastellano sulle schiene di deputati e senatori… “Buon lavoro, Onorevole”! L’Onorevole ringrazia con condiscendenza, ringrazia l’azzimato giornalista o la “overdressed” giornalista con impercettibili movimenti delle labbra, spesso guardando altrove. Ringrazia nel mutismo del padreterno, della personalità “indispensabile”; del saccente.

Intanto, seguitano a scorrere lacrime e sangue.

Sono le lacrime di chi è stato sfrattato, di chi è stato dichiarato “in esubero”; di chi un bel giorno dal padrone o dal giannizzero del padrone si sente dire che a lui il contratto a tempo determinato non potrà essere rinnovato… Se il malcapitato o la malcapitata in questione hanno superato i quaranta o cinquant’anni, abbandonino pure ogni speranza, non troveranno mai più un impiego decente; dinanzi a loro adesso c’è il buio, c’è il gelo delle incognite. E ci sono bollette da pagare, ci sono figlioli che vanno ancora a scuola, magari un figlio o una figlia disabili, perciò da mantenere com’è giusto, sacrosanto che sia. Come la mettiamo? In Italia è in corso una catastrofe sociale di cui, all’atto pratico, non si vuole prendere atto. Ci si gira dall’altra parte… Girarsi dall’altra parte vuol dire “risolvere” il problema…

So di uomini e donne che a sera fanno una gran fatica a prendere sonno. Di donne e uomini che si svegliano due, anche tre volte per notte, tanta è l’ansia, tanta è l’angoscia che li attanaglia. So di gente che si sveglia alle tre o alle quattro, dopodiché non riesce più a chiudere occhio.

Il sangue. Il sangue che scorre è quello di esercenti, di imprenditori i quali, pur forniti di coraggio e presenza di spirito, più non ce fanno, dopo strenua lotta hanno dovuto chiudere le proprie imprese, imprese che avevano aperto, lanciato, consolidato con ingegno, con creatività, orgogliosi di creare lavoro. Si tolgono così la vita… È pauroso. È disumano. Inaccettabile. E non sembra esservi rimedio.

Li hanno condannati una concorrenza sistematicamente sleale, gaglioffa, crudele, contro la quale ci pare che nessuno voglia alzare un dito. Li hanno condannati organismi che non onorano commissioni o che, semmai, le commissioni le onorano dopo novanta giorni, dopo sei mesi, un anno, due anni. Nel frattempo uno affonda; non può non affondare… Pochi anni fa un mio compagno di squadra fu costretto anche lui a chiudere la propria, piccola azienda: da allora non è più la stessa persona. Da allora è un uomo teso, incattivito; uno che ha perso il sorriso, il proprio luminoso sorriso.

Ci guardiamo intorno e assistiamo alle solite manifestazioni di culto della personalità… Ci si imbatte di nuovo nel solito luccichio, pacchiano; nei soliti sorrisi, spesso sguaiati, ‘ampollosi’, di chi ci ha “saputo fare”, di chi s’è disinvoltamente arrampicato sulla scala del Sistema.

L’uomo “del momento” adesso è Matteo Renzi, il toscano incaricato di tentare la formazione del Governo, il toscano impareggiabile sul piano della dialettica, l’astro della “politica nuova” che nuova però non è. Aspettiamo ancora che il presidente del Consiglio incaricato prenda atto delle lacrime e del sangue che bagnano la Nazione, della vergogna industrial-commerciale chiamata delocalizzazione, del cancro rappresentato da chi nel terziario non intende stare alle regole; dei metodi esosi, assurdi, cui, per propria natura, fa ricorso l’Unione Europea, campionessa dell’intimidazione, esempio di irragionevolezza.

Macché… È un conformista anche lui. Mettere in discussione la UE?? Per carità…! Picchiare sulla delocalizzazione? Ma non è il caso… Dichiarare fuori legge i contratti a termine? No, non sarebbe “realistico”!

Aspettiamoci così altre lacrime, altro sangue, care lettrici, cari lettori.

 

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Toni De Santoli

Toni De Santoli

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