Mi è tornata in mente La giornata d’uno scrutatore di Italo Calvino: uscì cinquant’anni fa ma sembrerebbero cinquecento. Pensate, il protagonista è un intellettuale che viene inviato dal Partito Comunista in un istituto religioso per impedire che i pazienti, molti di loro incapaci di intendere e di volere, siano indotti dalle suore che li assistono a votare per la Democrazia Cristiana. Proprio un’altra epoca, in cui indiscusso era il diritto-dovere (così si diceva) di votare liberamente, secondo coscienza: e il gioco politico consisteva nel cercare di influenzare gli elettori o nel cercare di impedire che venissero influenzati.
Ho ripensato al romanzo di Calvino perché il nostro prossimo primo ministro non è mai stato eletto dal popolo italiano e mai ha partecipato o vinto in un’elezione con sistema proporzionale. Neppure per diventare sindaco di Firenze: nel 2008 a farlo diventare il candidato della sinistra (e dunque il sicuro vincitore) gli bastarono quindicimila preferenze, circa il 5% dei fiorentini con diritto al voto. Per farlo diventare primo ministro gli è bastato ancor meno: il consenso di neanche due milioni di italiani, il 3.7% degli aventi diritto. (L’aspetto tragicomico è che neppure occorreva che fossero iscritti al Pd: bastava che versassero due euro). Renzi si è specializzato nel vincere le primarie, dove votano in pochi e i controlli sono blandi o inesistenti: infatti non sono formalizzate o regolate da leggi dello stato e non hanno alcun valore istituzionale; non più delle votazioni dell’assemblea di un circolo sportivo.
Del resto, pochi giorni fa, per spiegare l’inclusione nella sezione culturale dell’Unità di un video di “Shakira sexy con Rihanna” è bastata la formula magica: “100 milioni di clic”. Nessuna verifica della reale rappresentatività di quei clic.
È il problema centrale del nostro tempo: una democrazia senza controlli, senza regole. Ossia una non-democrazia. Renzi è diventato popolare perché qualche sondaggio ha detto che era popolare. Sostanzialmente, ha sostituito Letta perché ha più clic di lui. O almeno così sostengono alcune agenzie, tutte private. Renzi lo hanno fatto i media. Intanto Moody’s e le agenzie di rating, private anch’esse, impongono agli stati le loro politiche economiche. L’economia globale la fanno i media.
Sarà un caso che la notizia che l’outlook dell’Italia è passato da negativo a stabile sia stata data da Moody’s poche ore dopo le dimissioni di Letta? L’ultima volta che Moody’s aveva fatto previsioni ottimistiche sul nostro paese era stato nell’agosto del 2012, quando era primo ministro Monti, un politico gradito, come Renzi, al neocapitalismo liberista: “L’Italia fuori dal tunnel nel 2013” pronosticò Moody’s nell’occasione. Balle, anzi, pura propaganda. Ma non sono organi pubblici, quelli che fanno i sondaggi e i rating: per cui dicono quello che gli pare, senza dover rispondere a nessuno dei loro errori, delle loro manipolazioni.
Occorre ripartire dai fondamenti. Dalle regole del gioco. Non serve cambiare la Costituzione. Servono norme, trasparenza, accertamenti. Servono scrutatori.
Il mio blog lo trovate qui: Controanalisi
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