E’ andata come previsto un po’ da tutti; e al tempo stesso è una sorpresa. Paradosso solo in apparenza: che Matteo Renzi, dopo aver vinto le consultazioni interne, quelle più squisitamente d’apparato, avesse in mano anche le primarie, non lo dubitava nessuno. Le dimensioni, piuttosto, sono per tanti versi sorprendenti, e anche la percentuale dei consensi raccolti. Anche perché sappiamo che il cuore dell’apparato del Partito Democratico non batte per Renzi, piuttosto – sia pure rassegnato alla sconfitta – aveva scelto come candidato Gianni Cuperlo che tuttavia raccoglie assai meno consensi di quanto pronosticato (per converso, ne conquista più di quanto si credeva il “terzo incomodo”, Pippo Civati).
Cosa significa? Forse una parte dell’apparato non è andato a votare; più probabile però che si sia verificato quel fenomeno che nel mondo anglosassone definiscono climb on the bandwagon, andare secondo corrente, con il più forte; e nelle ultime settimane nel “carro” renziano sono saliti in molti: Walter Veltroni i cattolici dell’ala Dario Franceschini e Beppe Fioroni, perfino tutta la “pancia” emiliana, fino a ieri fedelissima di Pierluigi Bersani…
Tuttavia, quei circa tre milioni di cittadini che sono accorsi ai gazebo, sono un dato di fatto, il vero alloro sul capo di Renzi. Ma sono anche un preciso messaggio, che potrebbe rivelarsi un boomerang, qualora Renzi non sapesse corrispondervi. Il sindaco di Firenze ha sì vinto, quel 70 per cento dei consensi mietuti lo certifica. Affluenza e percentuale qualche significato ce l’hanno: la vittoria di Renzi significa soprattutto che il “partito” PD ha perso: il suo elettorato non ne può più di una politica politicante fatta di meschine furbizie, affarismo poco limpido (la storia del Monte dei Paschi di Siena, per dirne di uno), piccinerie e confusione, velleità e demagogia. E’ insomma il gruppo dirigente che ha governato il PD a uscire pesantemente sconfitto.
Già: aria nuova. Piaccia o no, Renzi viene percepito come il “nuovo” e “altro” rispetto a una nomenklatura ansimante che non sa più parlare al suo elettorato e a cui si rimprovera una lunga serie di sconfitte e avvilenti compromessi. Vogliamo, per esempio, prendere Massimo D'Alema, tra i principali sponsor di una persona per bene come Gianni Cuperlo, che dalla sua “benedizione” non c’è dubbio è stato penalizzato? Mentre in tutti i partiti progressisti e socialdemocratici d’Europa, quando il leader perde, fa gli scatoloni, sgombra la scrivania e formula i migliori auguri al successore, in Italia, non si schioda neppure a cannonate, a dispetto dei mille errori compiuti, delle complicità e dei compromessi.
Il voto di domenica di buona parte di quei tre milioni di elettori è un atto di accusa a un gruppo dirigente che non si è saputo rinnovare, non ha fiutato l’aria che cambiava, ha continuato a baloccarsi con mille giochetti con Berlusconi e il suo partito, non ha saputo risolvere, quando poteva farlo, il conflitto d’interessi, non ha realizzato alcuna riforma sostanziale, fosse quella elettorale o del lavoro, non ha saputo produrre neppure un germe di politica riformatrice.
Un processo inevitabile, osserverà qualcuno, non a torto. Il PD è nato “vecchio”, con un gruppo dirigente sommatoria di due partiti in liquidazione, che ha lavorato con sconcertante puntualità perché Berlusconi vincesse; è stato capace di perdere le elezioni anche quando le vinceva; in nulla si è distinto quando si è trattato di gestire la cosa pubblica: i Penati in Lombardia in cosa erano diversi dai Formigoni? E davvero si poteva pensare di condurre impunemente, in Lazio, una bonifica di consiglieri regionali conniventi nei fatti con i Fiorino e le Polverini non candidandoli più alla Regione, ma spedendoli alla Camera, al Senato, a fare i sindaci? (Nel contempo, chi aveva sollevato lo scandalo, i due consiglieri regionali radicali, non sono stati più messi in lista)…Non c’è regione che sia immune da scandali e inchieste della magistratura, per sperperi e ruberie; e al tempo stesso il cittadino ogni volta che riceve la busta paga viene spennato con doppie addizionali regionali. Davvero si pensava che alla fine il conto non sarebbe stato presentato?
Ecco perché Renzi ha stravinto. Perché chi ha guidato il PD fino a ieri è riuscito a perdere in febbraio elezioni già vinte; ha fatto un governo con Berlusconi dopo aver giurato il minuto prima che mai l’avrebbe fatto; ha impallinato con cento voti di parlamentari del PD Prodi candidato al Quirinale. In breve: chi ha votato Renzi lo ha fatto per rottamare una classe dirigente che ritiene responsabile di aver portato il paese al disastro.
Ora Renzi deve dimostrare di essere all’altezza della situazione. Chissà. Il sindaco di Firenze, insuperabile nell’arte del “piacionismo”, finora ha svolto la sua personale campagna elettorale sulla base dei gusti che emergevano via via dai risultati dei sondaggi demoscopici. In una parola, ha detto e promesso di fare quello che la “pancia” dell’opinione pubblica ama sentirsi dire. Si chiama demagogia. Difficile scorgere nel suo operato una strategia coerente. E' piuttosto un agitarsi episodico, molto sensibile agli effetti mediatici. Il paese però è in una situazione in cui occorre essere capaci di scelte impopolari per non essere antipopolari. Ne sarà capace, Renzi?